In un recente volume curato da Jean-Marc Larrue e Marie-Madeleine Mervant-Roux, Le son du théâtre. (XIXe-XXIe siècle),[1] i due autori si chiedono se il perimetro entro il quale si muovono i Sound Studies possa essere considerato come uno studio sul suono (études du son) o una ricerca sul suono e sull’ascolto (recherches sur le son et l’écoute). Quando estendiamo la domanda allo specifico campo degli studi teatrali gli interrogativi finiscono per moltiplicarsi: la ricerca sul suono e sull’ascolto a teatro può attivare nuove riflessioni che rimettono al centro del dibattito molte questioni che sembrano date per certe.[2]
La natura della percezione uditiva – che è ampiamente discussa, ad esempio, dalla filosofia analitica –[3] ha incrinato la centralità della visione e attivato domande sull’interazione tra soggetto e ambiente. Attraverso l’ascolto dei suoni la nostra percezione dello spazio e del tempo cambia, ma se questo accade nella vita quotidiana – dove molti comportamenti sono guidati da indizi sonori così familiari che la coscienza non percepisce più – a teatro la questione finisce con l’amplificarsi.
Chiaramente il processo d’ascolto, ovvero il modo in cui il nostro apparato uditivo recepisce i suoni, funziona sempre nello stesso modo, ma è lecito chiedersi come e quanto possa influenzare la scena teatrale, i suoi processi di creazione e quelli di ricezione.