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La Cancellatura rappresenta il codice più identificativo del poeta, scrittore e drammaturgo Emilio Isgrò. Assieme alla poesia visiva, delinea ancora oggi l’indagine che l’artista siciliano conduce sul fronte linguistico, alla ricerca sempre di un significato nuovo della parola e dell’immagine, minacciate dalla cultura massmediatica. Negli stessi anni George Steiner riflette attraverso una serie di saggi raccolti in Linguaggio e Silenzio, sul senso della parola nel Novecento e sui valori ormai sbiaditi della cultura umanistica europea. Entrambi gli autori si soffermano, quindi, su una questione cruciale che riguarda il destino della parola e il suo valore semantico. Il linguaggio di Isgrò si affianca anche a quello di altri poeti e artisti che hanno rinnovato le loro espressività attraverso il silenzio e cercato con esso di sanare il rapporto con la parola per rinnovarne significati e rigenerare discorsi umani. 

The Erasure represents the most identifying code of the poet, writer and playwright Emilio Isgrò. It still outlines, together with visual poetry, the investigation that the Sicilian artist leads on the linguistic front, always looking for a new meaning of words and images, threatened by the mass media culture. In the same years, George Steiner reflects, through a series of essays collected in Linguaggio e Silenzio, on the meaning of the word in the twentieth century and on the faded values of the European humanistic culture. Therefore, both authors focus on a crucial issue that concern the destiny of the word and its semantic value. Isgrò's language also joins that of other poets and artists who have renewed their expressiveness through the silence and have tried, through it, to heal the relationship with the word to renew its meanings and to regenerate human discourses.

 

 

 

 

Nel 1964 Emilio Isgrò scopre la cancellatura. L’episodio che ricorda l’occasione di tale scoperta è quello avvenuto a Venezia negli anni in cui l’artista curava le pagine culturali de Il Gazzettino. L’articolo di giornale tanto incriminato apparteneva forse a Comisso, Palazzeschi o Zanzotto e i dubbi sul contenuto di quella scrittura costrinsero l’artista ancora giovane a cancellare tutte le parti ritenute spurie. Sebbene Isgrò rievochi quell’editing come una mezza bugia – che della parte opposta rivela una profonda verità – quell’episodio si ritiene significativo non solo per lui, che da quel momento diventa il ‘maestro cancellatore’, quanto per l’eco incisiva che quell’atto, quasi sacrilego, fece scaturire nel mondo dell’arte e della letteratura. L’invenzione della cancellatura, accompagnata dalla profonda e duratura riflessione sul suo valore estetico, sta a fianco alle audaci sperimentazioni del Novecento e diventava un gesto che, seppur nato quasi per caso, è destinato a diventare un linguaggio.

La cancellatura fino al quel momento era stata considerata, infatti, una pratica di poco valore, un segno funzionale alla scrittura, l’impronta di una mente che ragiona sull’errore. Cancellare significava mettere in discussione una parola o una frase (un’immagine) che per motivi di natura grammaticale o sintattica, semantica, non meritava di essere pronunciata sul foglio. Da Isgrò in poi, invece, all’interno del ‘mondo naturale’ della scrittura e del linguaggio, questo gesto quasi incauto diviene esso stesso segno poetico. L’artista lo considera «un processo dialettico in vitro»,[2] che riqualifica il gesto dell’errore, non interrompe più discorsi e significati ma è capace di generarne di nuovi. Sembra seguire un principio ‘fisico’ ben preciso; analogo a una ‘materia oscura’ del linguaggio, esiste come massa che conserva e si conserva. Non distrugge e non crea, ma trasforma le parole e le cose. «Una parola cancellata sarà sempre una macchia. Ma resta pur sempre una parola»,[3] una macchia che copre e la libera, separandola dal mondo.[4] L’intuizione profonda di quell’atto fisico rappresenta, nell’immediato, l’inizio di una ricerca che riflette sulle dubbie sorti della parola, sulla condizione del linguaggio che non sembra riuscire più a sprigionare vigore semantico. Sin dagli esordi della cancellatura però Emilio Isgrò medita anche sull’impatto visuale, suggestivo, che la parola cancellata, negata alla sua vocazione alfabetica e fonetica, aveva nell’universo delle immagini. Diventa dunque anche occasione per queste ultime, così volgarmente reiterate e consumate, per purificarsi nel segno della cancellatura.

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Anche quando sembra materialmente assente il silenzio a teatro è evocato come parte della sostanza dei suoni stessi, rintracciabile tra gli interstizi della parola, nel mezzo dei suoi flussi continui. Il saggio si propone di rompere la rigida dicotomia tra suono e silenzio, poiché, come sostiene il sociologo David Le Breton: «la parola è una modulazione del silenzio e il silenzio una modulazione della parola». Accade negli ultimi tempi che la questione del silenzio a teatro venga suggerita da alcune opere che si concentrano prettamente sul suono. A questo proposito si propongono come casi studio due recenti lavori di Chiara Guidi: Monsieur Teste. Una prosa filosofica per contrabbasso, percussione e voce (2016) e Edipo re di Sofocle. Esercizio di memoria per quattro voci femminili (2019). Già in ambito filosofico Jean-Luc Nancy si chiede se la filosofia abbia forzatamente sostituito all’ascolto qualcosa che invece è più vicino all’ordine dell’intendersi (entente); così in queste pagine ci domandiamo quale parola a teatro possa essere intesa come declinazione di vuoti e di pieni, puro attraversamento del silenzio.

Even when it seems materially absent, silence in the theatre is evoked as part of the substance of the sounds themselves, traceable between the interstices of the word, during its continuous flows. The essay aims to break the rigid dichotomy between sound and silence, since as sociologist David Le Breton maintains: «the word is a modulation of silence and the silence a modulation of the word». In recent times the question of silence in the theatre has been suggested by some works that focus strictly on sound. We propose as case studies two recent works of Chiara Guidi: Monsieur Teste. Una prosa filosofica per contrabbasso, percussione e voce and Edipo re di Sofocle. Esercizio di memoria per quattro voci femminili. Already in the philosophical field, Jean-Luc Nancy wonders if philosophy has replaced listening with something closer to understanding; so in these pages we ask ourselves which word in theatre can be understood as a declination of empty and full, a pure crossing of silence.

In un recente volume curato da Jean-Marc Larrue e Marie-Madeleine Mervant-Roux, Le son du théâtre. (XIXe-XXIe siècle),[1] i due autori si chiedono se il perimetro entro il quale si muovono i Sound Studies possa essere considerato come uno studio sul suono (études du son) o una ricerca sul suono e sull’ascolto (recherches sur le son et l’écoute). Quando estendiamo la domanda allo specifico campo degli studi teatrali gli interrogativi finiscono per moltiplicarsi: la ricerca sul suono e sull’ascolto a teatro può attivare nuove riflessioni che rimettono al centro del dibattito molte questioni che sembrano date per certe.[2]

La natura della percezione uditiva – che è ampiamente discussa, ad esempio, dalla filosofia analitica –[3] ha incrinato la centralità della visione e attivato domande sull’interazione tra soggetto e ambiente. Attraverso l’ascolto dei suoni la nostra percezione dello spazio e del tempo cambia, ma se questo accade nella vita quotidiana – dove molti comportamenti sono guidati da indizi sonori così familiari che la coscienza non percepisce più – a teatro la questione finisce con l’amplificarsi.

Chiaramente il processo d’ascolto, ovvero il modo in cui il nostro apparato uditivo recepisce i suoni, funziona sempre nello stesso modo, ma è lecito chiedersi come e quanto possa influenzare la scena teatrale, i suoi processi di creazione e quelli di ricezione.

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