The article focuses on the role that Toni Servillo has been playing in the Italian cinema of the last decade. Servillo’s theatrical education is highly detectable in his cinematic performances, though he has to adapt his movements, gestures and voice to the syntax of a different medium. Facing the camera, Servillo never gives up the potentialities of his whole body and such a behavior, to some extent, forces his directors to adapt the style and language of film to the actor’s performance, which becomes the most significant element in the movie and the main emotion marker for the audience. In other words, Servillo’s performances question the relationship between theater and cinema: did Servillo bring in Italian cinema a theatrical language able to influence the style of many young Italian directors such as Paolo Sorrentino, Andrea Molaioli, Claudio Cupellini, or even Stefano Incerti? And how do his silences, his stillness, his powerful eye contact contribute to this particular ‘Servillian’ cinema? Long-takes, false frame-stops, idle times are just the results of a performance that programmatically aims to challenge the resources of film language. This conception of performance implies a new kind of character that recovers a grotesque tradition long-time forgotten and recreates a cinema of well-defined anthropological masks we can notice in Servillo’s camouflages. The final goal of the paper is to show how Toni Servillo has brought a new conception of the role of the actor in contemporary Italian cinema and how his theatrical origin has influenced the style of many Italian directors.

Proposte

In un articolo apparso nel primo libro interamente dedicato alla figura cinematografica di Toni Servillo e intitolato Toni Servillo. L’attore in più, si legge che il volto dell’attore campano sarebbe in grado di rappresentare di per sé la complessa stagione del più contemporaneo cinema italiano, vale a dire quella cominciata negli anni Duemila.[1] Nel 2008 Servillo è stato il simbolo di quella che venne definita la rinascita del cinema italiano, legittimata dai premi di Cannes, interpretando sia il ruolo di Franco in Gomorra di Matteo Garrone, sia quello di Giulio Andreotti nel Divo di Paolo Sorrentino. Ma prima di questa definitiva ed internazionale consacrazione a capofila del divismo nostrano, Servillo era stato impegnato a sostenere il lavoro di giovani registi, dimostrando una straordinaria sensibilità nei confronti di progetti di valore che necessitavano del coraggio di uomini della sua esperienza per prendere corpo.[2] Oltre a Sorrentino, cui spesso – come vedremo – le figura di Servillo viene sovrapposta in una relazione di assoluta reciprocità autoriale, basterà ricordare il peso che l’attore ha avuto nell’esordio di Andrea Molaioli (La ragazza del lago, 2007), nel fin qui più ambizioso e riuscito lavoro di Claudio Cupellini (Una vita tranquilla, 2010), o addirittura in opere che – è il caso di dirlo – semplicemente non sarebbero nemmeno esistite se Servillo non ci avesse messo il suo corpo (l’ottimo Gorbaciof di Stefano Incerti, 2010). Dopo le concitate presentazioni veneziane, mentre scrivo, Servillo è nelle sale con il discusso e riuscito film di Marco Bellocchio Bella addormentata e con È stato il figlio, prima prova da regista di Daniele Ciprì senza Franco Maresco – un film, quest’ultimo, che funziona secondo quelle dinamiche attoriali che saranno al centro del nostro discorso. Sempre in questi giorni è sul set del nuovo film italiano di Sorrentino: La grande bellezza. Insomma, come si legge in uno speciale recentemente dedicato – con tanto di copertina – all’attore, Toni Servillo si conferma da ormai un decennio «il centravanti di sfondamento del cinema italiano».[3]

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