1.2. Attrici su carta. Ritrattistica e fotografia di scena, dalle origini agli anni Trenta

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«La forza di una fotografia è nel conservare passibili di indagine momenti che il normale fluire del tempo sostituisce immediatamente».

Susan Sontag, Sulla fotografia

 

 

Passare attraverso la porta della fotografia per accedere ai mondi di carta abitati dalle attrici, oltre la danza dei corpi e le voci dal vivo, che si perdono sui palchi o dagli schermi. La porta della fotografia apre un altro sguardo su un orizzonte attoriale legato non solo al tempo della performance (simultanea se dal vivo, diffratta se riprodotta) ma anche allo spazio delle immagini che, impresse su carta con imperituri inchiostri, collaborano alla costruzione dello spettacolo filmico o teatrale.

Alla storia in movimento raccontata dai film, dai documenti d’archivio e dalle matite appuntite della critica corrisponde un’altra storia, più statica e silenziosa, raccontata dalle carte disperse su cui si sono sedimentate, disordinatamente, le fotografie d’attore. Le fotografie di scena, i ritratti ripresi in posa o scattati durante l’azione, insieme alle immagini promozionali che tematizzano il corpo attoriale, costituiscono un materiale di studio spesso ridotto allo stato di paratesto illustrativo, che merita invece di essere rivalutato in quanto prodotto autonomo e come fonte inedita per lo studio dei film e della prassi attoriale.

 

1. L’eredità della fotografia di scena teatrale

L’incontro tra il fotografico e i corpi della scena avviene in ambito teatrale: già molto prima della nascita del cinema, la fotografia di teatro soddisfa il desiderio d’icone coltivando e consolidando il mito dei grandi attori, spesso ritratti in ambienti spogli e poco ʻteatralizzatiʼ, fissati nei gesti e nei costumi, nelle espressioni mimiche e nelle pose sceniche. Ereditando forme e stile dal consolidato connubio tra fotografia e teatro, il cinema, già dal primo decennio, ritorna al fotografico per sostanziare il suo nascente apparato promozionale, per sedurre oltre l’esperienza della sala, per favorire l’ingresso dei suoi mondi narrati tra i beni primari del vivere quotidiano.

Il mondo dinamico del cinema, che può essere invertito nelle retrospettive, recuperato nelle immagini della memoria o proiettato in visioni future, trasfigura lo spazio statico e frontale della scena teatrale, e dà avvio al redditizio commercio delle sue immagini, depositate su supporti economici, leggeri e circolanti, prima tra tutti la cartolina postale, a cui seguono locandine e manifesti [fig. 1].

 

2. Proto-fotografie di scena e ritrattistica d’attore

A invadere gli spazi delle fotografie, presto diffuse anche tra le pagine e sulle copertine delle più importanti riviste specializzate (insieme alle intense scenografie, ai fondali e agli scenari monumentali dei kolossal), sono i corpi e le pose dei divi e delle dive del cinema muto. Soprattutto le attrici attirano l’obiettivo dei primi, inconsapevoli, fotografi di scena: operatori considerati alla stregua di tecnici e artigiani, assoldati dalle produzioni al fine di creare un apparato di immagini spendibile, attraverso i vari supporti, prima e durante il lancio promozionale del film. La produzione di queste immagini, durante il primo ventennio, è strettamente vincolata alle convenzioni e ai limiti tecnici, che rendono necessaria una lunga messa in posa successiva alla ripresa, scrupolosamente sorvegliata dal regista, pronto ad intervenire sui gesti e sulle pose per renderli il più possibile simili alla scena girata. I soggetti sono netti e definiti, in sintonia con lo scopo informativo e didascalico delle immagini, che spesso risultano identiche al fotogramma, tanto da rendere arduo riuscire a distinguere, oggi, tra fotografia originale e ingrandimento da fotogramma [fig. 2]. Mentre sulle più importanti riviste di settore incalza il dibattito sulla specificità artistica del fotografico, la prassi di composizione delle immagini del cinema rimane ancorata alle strategie formali e stilistiche più funzionali alle esigenze della produzione: gli scenari sono nitidi e ben visibili, gli attori inseriti nella fissità prospettica del quadro, col risultato di descrivere la scena, sottraendo la fotografia alle manierate morbidezze del pittorialismo e della fotografia d’antan. La pionieristica fotografia di scena, fino alla prima metà degli anni Dieci, ingloba i corpi degli attori nella struttura rudimentale e bidimensionale delle prime fotografie, appiattendoli all’interno degli scenari e creando immagini puramente descrittive, utili ad integrare l’apparato comunicativo dell’evento filmico, e scevre da ogni velleità artistica [fig. 3].

Dalla metà del decennio, la grazie alla crescente fortuna del primo divismo e alla piena maturità raggiunta dalla ritrattistica d’attore (forte della lezione di eccellenti dilettanti, ad esempio gli Alinari e Mario Nunes Vais), si afferma un altro tipo di immagine, che capitalizza la potenziale esplosività del corpo femminile, puntando sulla fotogenia e sulla fascinazione delle grandi dive [fig. 4]. Le prestazioni della diva su carta proiettano il film oltre la sala, offrendosi ripetibili allo sguardo di tutti. Nel dicembre 1915 La vita cinematografica raccoglie in un numero speciale un centinaio di ritratti dei più importanti attori italiani, realizzati da fotografi professionisti secondo le accattivanti strategie figurative della composizione d’atelier, non sempre immune alle suggestioni pittoriche e alle tecniche del flou. Primeggia tra gli altri una lunga galleria dedicata alle immagini di Francesca Bertini, nelle sue diverse interpretazioni [fig. 5].

Se nel primo dopoguerra, la produzione del cinema italiano rifluisce a causa di una crisi profonda, lo stesso non si può dire per la ricerca fotografica: la ritrattistica, disinteressata all’indagine sociologica e documentaria sugli effetti della guerra, continua a compiacere la borghesia orgogliosa delle propria celebrazione fotografica, abilmente migliorata dal prodigio del ritocco.

Il ritratto d’attore si sviluppa grazie all’eclettismo dei fratelli Bragaglia (soprattutto Arturo e Carlo Ludovico), che spaziano dalla più tradizionale composizione ritrattistica alla sperimentazione fotodinamica, e ai contributi originali di Elio Luxardo e Arturo Ghergo, capaci di scardinare la convenzionale fissità degli scatti di scena. Il successo del ritratto d’attore è confermato dall’intensa presenza di questa produzione nella storica Prima Esposizione di Fotografia Ottica e Cinematografia, svoltasi a Torino sotto l’alto patronato del Re Vittorio Emanuele III nel 1923. In quello stesso periodo appare un nuovo prodotto editoriale, che raggiungerà il suo momento apicale sulla soglia degli anni Trenta: la diffusione delle immagini delle spettacolo, oltre che nelle consuete riviste di settore, inizia a essere veicolata infatti attraverso il rotocalco. La cultura visiva penetra e si radica nella società; mentre dilaga la crisi della produzione cinematografica italiana, sulla carta stampata non si smettono di ammirare i ritratti e le foto rubate alle grandi dive, soprattutto americane. Lo stato di afflizione del cinema italiano, tamponato dai provvedimenti governativi che cercano di frenare l’importazione dei prodotti internazionali, viene sanato dall’impresa di Stefano Pittaluga, che rileva e restaura i teatri della Cines, dotandoli per la prima volta di un reparto fotografico: come riferisce Osvaldo Civirani, l’autore delle future e rivoluzionarie immagini di Ossessione, il coordinamento viene affidato allo storico obiettivo di Aurelio Pesce, che può vantare la fama di primo fotografo di scena del cinema italiano.

Con La canzone dell’amore (1930) [fig. 6] iniziano due storie ufficiali: quella decantata celebre del cinema sonoro e quella più ignota della fotografia di scena: una storia, quest’ultima, non di biografie, registi, autori e film ma di immagini frammentarie e disperse, parallela agli spettacoli e ancora tutta da esplorare e far rivivere.

 

 

Bibliografia

M.I. Aliverti, ‘Dalla fotografia alla teatralità’, in M. Agus, C. Chiarelli (a cura di), Occhi di scena. Fotografia e teatralità, Pisa, Titivillus, pp. 9-14.

P. Bertetto, ‘Immagini sul set’, in E. Bruscolini (a cura di), Fotografi sul set, Venezia, Marsilio, 1996.

O. Civirani, Un fotografo a Cinecittà, Roma, Gremese Editore, 1995.

R. De Berti, Dallo schermo alla carta. Romanzi, fotoromanzi, rotocalchi cinematografici, il film e i suoi paratesti, Milano, Vita e Pensiero, 2000.

D. Reteuna, Cinema di carta. Storia fotografica del cinema italiano, Alessandria, Falsopiano, 2000.

I. Zannier, ‘De visu. Piccola storia del ritratto fotografico in Italia’, in Id. (a cura di), L’io e il suo doppio. Un secolo di ritratto fotografico in Italia (1895-1995), Firenze, Alinari, 1995.