2.2. ‘É mesmo azul?’ Tracce di Barbablù in area lusofona

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Le ricerche sulla presenza di Barbablù in area lusofona compiute fino a questo momento non hanno dato un esito molto incoraggiante. In effetti, nonostante il tema del marito violento sia più volte visitato, dalle prime testimonianze poetiche galego-portoghesi fino all’attualità, la letteratura lusofona colta e popolare ha fatto raramente ricorso alla figura di Barbablù in modo diretto, cioè con questo nome e con questa caratteristica, preferendo attingere a tradizioni considerate parallele dalla critica e non proponendo riscritture particolarmente significative. Ho potuto registrare qualche riferimento intertestuale, tra cui, per esempio, quello del pluripremiato romanziere António Lobo Antunes, il quale, nel titolo del suo ventinovesimo romanzo, A última porta antes da noite (2018), rimanda all’opera Il castello del principe Barbablù di Béla Bartók e Béla Balázs via George Steiner. Lobo Antunes aveva già usato il motivo ‘barbabluesco’ dell’infrazione del divieto di varcare la soglia nel suo quattordicesimo romanzo Não entre tão depressa nesta noite escura (2000), nel quale la protagonista trasgredisce al divieto di entrare in soffitta, venendo così a conoscenza dei segreti del padre moribondo. Più diretto riferimento a Barbablù è, invece, il microracconto della scrittrice italo-brasiliana Marina Colasanti De um certo tom azulado (in Contos de amor rasgado, 1986), nel quale, tuttavia, il ribaltamento comico della conclusione disinnesca il potenziale terrifico del marito uxoricida (dietro la porta segreta vi sono le ex-mogli che attendono l’ultima consorte per una partita di burraco).

Comunque sia, la tradizione di Barbablù nel mondo lusofono si dipana tra tardive traduzioni di Perrault, tempestive traduzioni dei racconti dei fratelli Grimm (Cortez 2001), e alcuni testi popolari autoctoni. Sebbene esistano testimonianze sulla circolazione delle fiabe di Perrault coeve al tempo dell’elaborazione della raccolta (1697), la prima traduzione fu data alle stampe solo nel 1898. I racconti dei Grimm, invece, iniziano a circolare in lingua portoghese nel 1837, in versioni vergate attraverso il francese. La storia del terribile ‘ammazzamogli’ nelle sue diverse riproposizioni era dunque nota e godette, nel corso del tempo, di numerose versioni e riproposizioni (Silva Bárbara 2014). Se ci concentriamo nel periodo di maggior fortuna della storia del tremendo marito, possiamo facilmente annoverare il Portogallo tra i paesi di accoglimento entusiasta delle riproposizioni finanche teatrali e musicali del tema. I più brillanti esponenti della cosiddetta ‘Generazione del 70’, Eça de Queirós e Antero de Quental, dichiarano a più riprese e su varie testate il loro apprezzamento per l’opera di Offenbach, tradotta e rappresentata anche a Lisbona tra il 1868 e il 1869 (Vieira de Carvalho 2000). Nei repertori delle rappresentazioni teatrali troviamo, inoltre, numerosissimi titoli che rimandano alla ricca tradizione franco-tedesca della fiaba e ad adattamenti che la collocano in uno scenario tutto portoghese, come, tra le altre, Barba Azul e a grã duquesa em Cacilhas (1869) di José Quintino Travasso Lopes, o, ancora, la pièce di uno dei più noti autori di teatro umoristico nel Portogallo di primo Novecento: A sogra de Barba Azul (1927) di André Brun [fig. 1].

Nel ricco sostrato della cultura folclorica si nota che tanto in Portogallo quanto in Brasile, non solo troviamo alcune riproposizioni della fiaba di Perrault o dei Grimm, ma verifichiamo l’esistenza di leggende che riprendono in parte i motivi centrali di entrambe le versioni. Nella raccolta di racconti popolari portoghesi Contos populares portuguezes (1879) di Adolfo Coelho troviamo il racconto O colhereiro, che con A mão do finado, catalogato tra i Contos tradicionais do povo português da Teofilo Braga nel 1883, e altre narrazioni congeneri appartiene a quello che è stato definito ‘Ciclo di Barbablù’: entrambe le versioni, fertilizzando il suolo creativo portoghese, fungeranno in seguito da ipotesto a racconti dei grandi nomi della prosa della prima metà del Novecento, come, fra molti altri, Aquilino Ribeiro (Špánková 2017).

In O colhereiro la curiosità ‘che costa cara’ non è soltanto femminile: anzi, è il padre delle tre figlie che per primo pecca di curiosità e che metterà nei guai se stesso e soprattutto le figlie. Dopo un avvio originale (un intagliatore di cucchiai, nel bosco, trova un buco in un albero e non resiste alla tentazione di sapere cosa nasconde: vi trova il ricchissimo palazzo di un mouro encantado),[1] la narrazione segue la versione della fiaba dei Grimm, tradizionalmente collegata al tema del Barbablù, dal titolo Il falso uccello e lo sposo stregone (sebbene sia presente solo la chiave, e non l’uovo, come oggetto rivelatore dell’infrazione, e il teschio agghindato sia sostituito da un fantoccio di paglia). Il salvataggio delle sorelle da parte della più piccola avviene in modo ancor più ‘frankensteiniano’ rispetto alla fiaba dei Grimm, con la ragazza che non solo mette insieme i pezzi delle sorelle ma li irrora pure del loro sangue ancora caldo, conservato dal mouro in boccette, infondendo loro di nuovo la vita. Il mouro encantado nella sua funzione può essere avvicinato al diavolo della versione italiana Naso d’argento, con cui O colhereiro ha più di un elemento in comune [fig. 2].

Le altre versioni del ‘Ciclo di Barbablù’, invece, si allontanano in parte sia dalla versione Grimm sia da quella Perrault, includendo tutta una serie di motivi che appartengono ad altre narrazioni (le sorelle vanitose, le mele avvelenate, il principe prigioniero, etc.). In queste l’asse si sposta dal divieto/infrazione del divieto, e dalla condanna della curiosità femminile, patente di Perrault, alla rivendicazione dell’intelligenza dei deboli contro l’arroganza dei potenti e al tema della vendetta, motivo invero caratteristico della letteratura popolare. Protagonista di A mão do finado è, in effetti, la figlia più giovane del ricco mercante vedovo, la quale ­– prudente, diligente e sospettosa – riesce a sventare il furto in casa propria, mutilando il ladro per sempre. Il ladro, covando rancore e architettando la sua vendetta, punisce trasversalmente la giovane sabida, sposando e assassinando le sorelle di questa. In questa tradizione il motivo della ‘stanza proibita’ diventa accessorio, aggiuntivo e non strutturale. La storia, infatti, prosegue includendo questo motivo in modo poco organico. Ma sarà sempre il sospetto, la prudenza e la lungimiranza della giovane donna a far sì che il piano criminale ordito sia sventato e che, finalmente, il ladro assassino sia giustiziato.

In questa tradizione, dunque, la curiosità non è condannata. È invece condannata l’arroganza, la leggerezza e la vanità delle donne: le sorelle più grandi, infatti, non danno ascolto né al padre né alla piccola, e ne pagano le conseguenze con la vita – la più giovane non le salva. Anche il desiderio di vendetta è un motivo dominante nel racconto portoghese: ma non è la vendetta della donna riguardo alla morte delle sue sorelle, bensì quella più primordiale, tutta ‘maschile’, dettata dal rancore e dall’onore perduto, mentre è esaltato il coraggio e l’intraprendenza della donna, nella più complessa tradizione della cosiddetta Maria Sabida (o della Donzela Teodora).

Se passiamo dall’ambito popolare europeo a quello brasiliano, troviamo che la figura di Barbablù soffre un processo sia di sedimentazione sia di ribaltamento. Come era da aspettarsi, anche in Brasile, a fine Ottocento, si traducono le più note fiabe tramandate dalla tradizione europea (Perrault, Grimm) e si cominciano a raccogliere racconti della tradizione orale autoctona. Capostipite di tali raccolte sono i Contos da Carochinha (1894) di Figueiredo Pimentel, volume nel quale, appunto, si trova anche Barbablù (Damasceno Teixeira Barbosa 2009). Le versioni della fiaba conosciute in Brasile non erano solo quelle della tradizione favolistica franco-tedesca, ma dovettero essere note anche le reinterpretazioni di Maeterlinck e Anatole France. Infatti, presto in Brasile Barbablù è sottoposto a un doppio riuso che presuppone il rovesciamento dell’intreccio e di tutti i principali personaggi: a livello popolare, di literatura de cordel, si assiste all’intensificazione dell’aspetto negativo di Barbablù, corroborato dalle notizie di cronaca (come per esempio, nel folheto intitolato Barba Azul da França. O homem que matava por prazer, 1946, elaborato sulla figura storica del medico francese Marcel Petiot, 1897-1946); mentre nella letteratura colta per l’infanzia è preferita la parodizzazione della figura convenzionale. Entrambi i processi presuppongono una radicata conoscenza della figura di Barbablù [fig. 3].

Lasciando da parte la tradizione di cordel e tornando alla letteratura per l’infanzia, ci si imbatte in Monteiro Lobato, il quale, nel racconto Barba Azul (in Negrinha, 1922) rivisita ironicamente la vicenda allora d’attualità di Henri Landru e, nella sezione Cara de coruja (in Reinações de Narizinho, 1931), parodizza i personaggi delle fiabe europee tradizionali stabilendo con il personaggio Narizinho e il luogo dove tutto è possibile (il sítio do Pica Pau Amarelo) un mondo delle fiabe che, ‘antropofagicamente’, riusa la tradizione europea facendosene beffe [fig. 4].

Queste sono le tracce trovate finora in area lusofona in attesa di essere approfondite per rispondere alla domanda del titolo: é mesmo azul?

 

 

Bibliografia

M.T. Cortez, Os Contos de Grimm em Portugal. Estudo da recepção dos Kinder-und Hausmärchen entre 1837 e 1910, Coimbra, Livraria Minerva - Centro Interuniversitário de Estu­dos Germanísticos - Universidade de Aveiro, 2001.

M.E. da Silva Bárbara, Os contos de Perrault em Portugal no Estado Novo, Tese de Doutoramento em Letras, área de Estudos de Tradução, Coimbra, Universidade de Coimbra, 2014.

Â. M. Damasceno Teixeira Barbosa, ‘Antigos contos, novas histórias na literatura infantil brasileira’, Revista Travessia, 3, 3, 2009, pp. 11-22.

S. Špánková, ‘O imaginário popular no conto “Os Senhores de Montalvo” de Aquilino Ribeiro’, Svět literatury – Časopis pro novodobé literatury, 2017, pp. 80-91.

M. Vieira de Carvalho, ‘A cultura músico-teatral na crónica e na ficção queirosiana. Pistas para a definição de um perfil estético’, Revista Camões, 9-10, 2000, pp. 114-126.

 


1 Ricordo che la figura del mouro encantado discende più dalla tradizione celtica che araba. Mouro (e il suo pendant femminile moura) rimanda alla radice *mrwo> *marwo (morto) o ‘mahra’ e ‘mahr’ (spirito) e solo in seguito si sarà sovrapposto al mouro derivato da maurus. Comunque sia, nella tradizione il mouro o la moura encantada sono assimilati al diavolo.