2.2. Dalla fotografia al video: l’evoluzione artistica di Giusy Calia

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Nell’estate del 2018, Giusy Calia decide di realizzare un progetto che ha in cantiere da tempo, quello di ‘mettere in movimento’ alcuni scatti fotografici presenti nel suo archivio. Secondo Calia, infatti, alcune foto da lei scattate non avevano ancora esaurito il loro potenziale narrativo; solo con l’aggiunta del suono e del movimento avrebbero potuto continuare a comunicare.

In questa spinta a riprendere alcuni dei suoi scatti per aprirli alle possibilità fornite dal medium video (in una genealogia del rapporto tra immagine statica e immagine in movimento che ha lontane radici), l’artista sembra dialogare con il noto concetto di punctum teorizzato da Roland Barthes. Secondo il semiologo francese, il punctum di una fotografia «è quella fatalità che, in essa, [mi] punge (ma anche [mi] ferisce, [mi] ghermisce)» (Barthes 1980, p. 28). Insomma, un elemento che cattura lo sguardo e trova espressione nel campo magmatico, e difficilmente definibile, delle emozioni – «ciò che io posso definire non può realmente pungermi. La impossibilità di definire è un buon sintomo di turbamento» (ivi, p. 52). Mi sembra di aver ravvisato nel procedere di Calia la stessa spinta, la stessa presenza di un aspetto pungente che turba e muove alla ricerca di un «campo cieco» (ivi, p. 58) da esplorare.

Giusy Calia (Nuoro, 1971), comincia a fare foto all’età di quindici anni quando le viene prestata la prima macchina fotografica. Il primo luogo che sceglie è l’inceneritore di Nuoro, abitato da spazzatura e gabbiani e preferito proprio per il fascino che in lei esercitano gli spazi solitamente scartati e ritenuti non degni di essere fotografati. È dunque in quel disordine che decide di realizzare i suoi primi scatti. L’interesse non era quello di documentare una data realtà, ma di fissare uno spazio e un tempo. Per dirla con le parole di Susan Sontag: «fare una fotografia significa avere interesse per le cose quali sono», catturarne quindi l’essenza ed «essere complici di ciò che rende un soggetto interessante e degno di essere fotografato» (Sontag 1973, p. 12).

Lo sguardo di Calia non si sofferma ad un racconto soggettivo di una realtà in quanto tale, ma la porta col tempo alla creazione di nuovi mondi e nuovi immaginari. Se da alcuni luoghi e alcune persone cerca di ricavare una narrazione senza variarne l’essenza, in altri casi si ritrova invece ad allestire una scena nella quale far muovere le protagoniste dei suoi scatti.

Approda alla produzione video con determinazione. Nel 2007 frequenta il corso di Alta Definizione Cinematografica presso la New York Academy per la quale realizza Corpi Liquidi, presentato lo stesso anno a Sassari [fig. 1]; di seguito, nel corso della sua ricerca artistica, realizza altri video, espressione di mondi interiori ed onirici che proprio con l’immagine in movimento Calia indaga ed esplora.

L’idea di dare nuova voce ad alcuni suoi scatti arriva però solo nel 2017. Durante l’intervista che Calia mi ha concesso, quando le domando come mai da alcune foto ha deciso di approdare al video, mi risponde:

 

Nel video c’è un discorso. Nel video c’è la possibilità di sviluppare più percezioni come il suono, il silenzio, il movimento, quello che manca alla foto; la foto blocca l’istante, ma non hai la possibilità di mettere in scena tutte queste cose che comunque fanno parte della mia visione. Quindi con il video puoi esprimerti nella maniera più consona a portare avanti quelle che sono le tensioni interiori, accompagnandole con un suono, un’immagine, un silenzio oppure con un semplice movimento.

Alcune foto da lei scattate continuavano a parlare e premevano affinché il loro significato venisse espanso e potesse oltrepassare i limiti imposti dalla staticità della foto e dalla fissità del quadro.

Lo stesso punctum di Barthes prevede la presenza di un fuori campo, perché è l’immagine stessa a proiettare «il desiderio al di là di ciò che essa dà a vedere» (Barthes 1980, p. 60).

Tenendo conto di queste premesse, verrebbe naturale immaginare i lavori di Calia come un’estensione non solo a livello formale, ma anche a livello narrativo. I video che vorrei analizzare in questa sede sono due, entrambi molto brevi ed entrambi senza titolo. Per questa ragione, per facilità di lettura, utilizzerò il nome della protagonista e il luogo nel quale il video è stato girato per poterli identificare. Calia, partendo dalle fotografie, realizza un totale di venticinque video; non potendo fare un’analisi di tutti i lavori, ho selezionato quelli che mi sembravano più significativi da un punto di vista tematico e formale. Per quanto riguarda Corpi Liquidi, sebbene anch’esso sia legato a un progetto fotografico, non rientra negli standard che mi sono prefissata in quanto video e foto sono stati realizzati nel corso del medesimo set.

Rita alla diga è stato realizzato alla diga di Santa Chiara del lago Omodeo, bacino artificiale in provincia di Oristano. Nella valle della diga oramai dismessa, è presente la vecchia casa del custode che per gran parte dell’anno risulta sommersa dall’acqua del bacino. Nei periodi di secca, riemerge prepotente un passato non troppo lontano ed è possibile vedere la casa e il suo giardinetto antistante. È come se l’acqua la proteggesse dagli agenti esterni per poi restituircela intonsa e pronta per essere ammirata. Calia realizza un primo progetto fotografico con l’aiuto di Rita Fiori, sua cara amica, che inserisce in questo contesto come se fosse una presenza legata a quel luogo fantasmatico. Nel corso del video vediamo dapprima una donna che esce dalla vecchia abitazione con in mano una valigia; interagisce con lo spazio, poi entra in acqua. Del suo corpo rimane solo il vestito. Dalla casa, a questo punto, viene fuori la donna coperta da un lungo drappo bianco che, sul finale, si siede e osserva l’acqua nello stesso punto dal quale era prima entrata. Ogni inquadratura della donna è intervallata da frammenti della diga [figg. 2-3].

Sylva al lago è stato girato al lago di Gusana, bacino artificiale in provincia di Nuoro. Sylva è una donna di 94 anni che per Calia rappresenta le possibilità di compiere le follie che la vita ci riserva. La loro amicizia e il loro sodalizio artistico dura da tanti anni. Sono numerosi gli scatti che ritraggono Sylva in diversi luoghi, compreso l’ospedale di Sassari durante un ricovero della donna. Calia è riuscita a far emergere la gioia e la parte più teneramente infantile di una persona che, data la sua età, viene spesso identificata socialmente come priva o scarna di energie vitali.

Il video comincia con una ripresa dell’acqua che, con il movimento della superficie e i riflessi del sole, formano un reticolato. La protagonista è seduta su una roccia, tiene un bastone da passeggio e un cordino fatto di perle. Maramao perché sei morto, interpretato dal Trio Lescano e Maria Jottini, comincia a risuonare. L’inquadratura cambia, si allarga, e vediamo che alla corda è legato un cervo di plastica, come un animale al guinzaglio. Sul finire del brano musicale, vediamo le scarpe di Sylva poggiate sulla roccia e il cervo che si allontana portato dalla corrente. Il passaggio di un’ombra riflessa sull’acqua chiude il video [figg. 4-5].

In entrambi i video l’acqua è centrale: si tratta di un elemento fondamentale nella ricerca artistica di Calia, che la identifica come portatrice di memoria e veicolo di ricordi. Se nel primo lavoro è connessa al passato del luogo abbandonato e nuovamente abitato, come se fosse stata l’acqua stessa a riportarne lo spettro nel presente, nel secondo, al contrario, l’acqua accoglie un presente che sta per chiudersi e conduce il ricordo dell’anziana donna verso tempi futuri. Non a caso, infatti, Sylva sul finale sparisce dalla scena, lasciando intendere che diventerà fantasma in un tempo che ancora non conosciamo.

Dal punto di vista della post-produzione, il processo creativo di tutti i video è stato analogo: le immagini sono state modificate fino quasi, in alcuni casi, a renderne illeggibile il contenuto; i colori sono stati distorti per accentuare il loro tono onirico e surreale. Si è trattato principalmente di una ricerca di nuovi significati, in una rielaborazione dell’immagine che dialoga con alcune pratiche tipiche della videoarte. Calia ha cercato di espandere il significato contenuto delle immagini sfruttando le possibilità di distorsione più affini al suo sentire. Un’esplorazione che ha investito anche il tappeto sonoro: le riprese sono avvenute interamente senza audio e tutti gli effetti sonori sono stati aggiunti in post-produzione.

Come accennato all’inizio, Calia, con il medium video, dilata il tempo di lettura della foto, indirizzando lo spettatore verso significati altri grazie alle suggestioni date dal movimento e dal sonoro. Un percorso artistico che non solo dialoga con esperienze di cinema sperimentale e di videoarte dove emerge l’intreccio tra immagine immobile e mobile – basti pensare a La Jetée di Chris Marker o a Cartes postales vidéo di Robert Cahen (Lischi 2001; Di Marino 2016) – ma accoglie ed espande le tesi di Barthes: Calia affonda, infatti, nell’idea della «pensosità» (Barthes 1980, p. 56) legata alla staticità fotografica, provando a declinarla in una messa in movimento dell’immagine attraverso l’espansione del suo universo creativo.

 

 

Bibliografia

R. Bellour, Fra le immagini. Fotografia, cinema, video, trad. it. di V. Costantino e A. Lissoni, Milano, Mondadori, 2007.

R. Barthes, La camera chiara. Nota sulla fotografia [1980], trad. it. di R. Guidieri, Torino, Einaudi, 2003.

A. Bazin, Che cos’è il cinema? [1958], trad. it. di A. Aprà, Milano, Garzanti, 2016.

S. Cargioli (a cura di), Le arti del video, Pisa, ETS, 2004.

F. Casetti, ‘La paura della fotografia’, in E. Menduni, L. Marmo (a cura di), Fotografia e culture visuali del XXI secolo, Roma, Roma Tre Press, 2018, pp. 13-29.

B. Di Marino, Pose in movimento. Fotografia e cinema, Torino, Bollati Boringhieri, 2016.

S. Lischi, Visioni Elettroniche. Loltre del cinema e larte del video, Roma, Scuola Nazionale di Cinema, 2001.

S. Lischi, Il linguaggio del video, Roma, Carocci, 2005.

S. Sontag, Sulla fotografia. Realtà e immagine nella nostra società [1973], trad. it. di E. Capriolo, Torino, Einaudi, 2004.