3.5. Il garofano rosso una storia transmediale: dal feuilleton allo schermo (1933-1976)

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  • Un istinto da rabdomante. Elio Vittorini e le arti visive →

1. L’esordio narrativo

 

Nel 1926, Elio Vittorini aveva diciassette anni quando vide pubblicato il suo primo articolo sulla rivista di impronta fascista La Conquista dello Stato, diretta dallo scrittore Curzio Malaparte. La stagione iniziale degli scritti vittoriniani fu «caratterizzata anzitutto per l’accentuata prosa e mimesi con il pensiero di Malaparte» (Rodondi 2008, p. XXIV), che gli procurò il soprannome di ‘pseudomalaparte’ (Greco 1983). Verso il 1929 lo stile strapaesano si rivelò troppo stretto per Vittorini che entrò a far parte della redazione di Solaria. Nello stesso periodo lo scrittore confessò a Falqui, con il quale stava lavorando all’antologia Scrittori Nuovi, la sua irrevocabile «svolta» verso la narrativa, le sue motivazioni e i suoi «grandi» esempi: «II mio rondismo s’inquina ... Non era inquinato anche il rondismo dei selvaggi? [...]. Ma non parlare di moda. Proust e Stendhal, spero, sono fuori della moda. Essi fanno i miei maestri» (LAS I, p. XIX).

Per la rappresentazione interiore di «personaggi giovani», era soprattutto il nostalgico Proust che per Vittorini riusciva a rendere in modo esemplare i sentimenti dell’animo giovanile nella scrittura in prosa: «Proust è il nostro maestro più genuino […]. Per mezzo di Proust si è stabilito uno scambio effettivo tra l’Europa e noi» (LAS I, pp. 124-125).

La svolta di Vittorini verso la narrativa divenne ufficiale con la pubblicazione della raccolta di racconti Piccola borghesia che uscì nel 1931 e del suo primo romanzo Il garofano Rosso, pubblicato a puntate a partire dal febbraio del 1933 sulla rivista Solaria [fig. 1].

Il garofano rosso si svolge fra il 1922 e il 1924, nel periodo fra la marcia su Roma e il delitto Matteotti. Per lo scrittore la storia funse da «documento» della società e della generazione a cui egli apparteneva, poiché era «come se fosse stato scritto impersonalmente, da tutti coloro che hanno avuto o conosciuto o comunque sfiorato la [sua] stessa esperienza» (Vittorini 1974, p. 445).

Le tematiche centrali ne Il garofano rosso (la condizione giovanile, l’ideologia fascista) vengono alternate ad esempi di sessualità sregolata e di vita disordinata. Per capire quanto l’opera toccasse nel vivo la morale del regime è sufficiente seguire le vicende della prima edizione: delle varie puntate apparse sulla rivista Solaria tra il 1933 e il 1934, la sesta fu sequestrata e la settima censurata (cfr. Bonsaver 2003). L’ultima puntata uscì molto dopo, nel 1936, in edizione limitata. Solo nel 1948 il romanzo fu pubblicato in volume, nella collana Medusa di Mondadori, nonostante le bozze del manoscritto epurato e autocensurato fossero già pronte per la stampa da dieci anni [fig. 2].

Dall’immagine si vede come già dalla prima pubblicazione su Solaria le puntate furono sottoposte ad una censura da parte della redazione. I passi censurati venivano contraddistinti da una serie di puntini. Questo ci fa capire come dal testo originale furono tolte delle parole, delle frasi, o addirittura delle pagine intere. La censura in rivista avvenne soprattutto per ragioni morali (Vittorini fu accusato di pornografia) e anche il manoscritto finale non ricevette l’approvazione ministeriale di Roma e venne categoricamente rifiutato. Vittorini epurò la versione originale e la rielaborò completamente nel periodo compreso tra il 1935 e il 1938. Tuttavia questa nuova versione venne pubblicata da Mondadori soltanto nel 1948.

 

 

2. Il garofano rosso, romanzo di una generazione fra realtà e finzione

 

Da un punto di vista contenutistico, Il garofano rosso si profila come una storia impegnata, attuale, urgente e d’impronta realistica. Tuttavia dal punto di vista formale e stilistico il romanzo espone una serie di simboli che si riferiscono all’oggetto reale in forza di convenzioni di vario tipo (filosofico, religioso, mitico – per esempio stereotipi legati a paesi esotici e ‘lontani’). Questi simboli fanno parte dell’immaginario fantastico del protagonista, il sedicenne Alessio Mainardi, che si trova in bilico fra due mondi opposti. Da una parte vi è il mondo fiabesco e onirico fatto di odori, colori e sentimenti che si mescolano e s’intrecciano fra di loro. Questo mondo onirico appartiene agli anni dell’infanzia vissuta nella «Campagna delle Fornaci», ma che si protrae anche nell’adolescenza attraverso il fascino per un misterioso Oriente su cui continua a fantasticare. Dall’altra parte vi è il mondo reale, incarnato soprattutto dalla grande città dove studia, che promette esperienze fervide e stimolanti, politiche e amorose. Il passaggio dall’infanzia all’adolescenza viene accelerato dalle emozioni sconvolgenti provate da Alessio durante gli incontri con Giovanna, «una signorina della seconda» che gli dà un garofano rosso, una promessa di amore che lo disorienta.

I protagonisti e gli antagonisti maschili (Alessio e Tarquinio) e femminili (Giovanna e Zobeida) nella storia si incrociano (ma non s’incontrano mai tutti insieme) quasi come in un quadrato semiotico perfetto, fatto di opposizioni fugaci piene di significato. Se Giovanna dagli occhi grigi e dal vestito verde per Alessio resta un ‘fiore blu’, ovvero un amore platonico mai raggiunto, ella si concederà a Tarquinio che porta in tasca il fazzoletto macchiato di rosso. D’altro canto vi è Zobeida con i capelli biondi e gli occhi scuri, che Tarquinio aveva tanto sognato ma che finirà fra le braccia di Alessio nel momento fatidico in cui si scatena una tempesta. Nella prima versione de Il garofano rosso si legge che il diluvio e i tuoni che tanto piacevano ad Alessio lo hanno diretto al salotto di Madame per cercare riparo, facendo cambiare rotta a Tarquinio, terrorizzato dai fulmini, che in quel preciso momento decise di non andare più da Zobeida. Alessio s’invaghisce completamente di Zobeida, anche se a momenti la immagina con gli occhi grigi e verdi, che ricordano Giovanna e la sorella Menta, e in altre occasioni la vede bionda e fiera come la Madonna a cavallo, simbolo della donna forte a cui si affezionò dai tempi della sua infanzia, per via di una figurina colorata a fischietto (‘sufolo’) di terracotta portato al collo [fig. 3]:

 
Una volta i tuoni e il diluvio erano della Madonna a cavallo, nel paese attraversato dal fiume tutto sassi. […] La Madonna era anch’essa bionda, con la corona di guerriera sulla testa e sotto gli zoccoli del cavallo pestava i saraceni, e io la pregavo di farmi sposare una donna come lei quando sarei stato grande. Però lei aveva gli occhi grigi come Giovanna, e Zobeida li aveva neri, ma Zobeida aveva la faccia di portare una corona sulla testa e di andare a cavallo (Vittorini 1974, p. 368).

 

Sin dalle prime pagine, Il garofano rosso si presenta come una storia dedicata alle sorti di una generazione. La storia si apre con una scena di gruppo, che presenta alcuni ragazzi seduti nel ‘loro’ bar, nella ‘loro’ strada («la via principale della città, dai borghesi detta Corso e da noi Parasanghea», ivi, p. 225). L’appartenenza del protagonista al gruppo di coetanei si manifesta chiaramente nell’uso del ‘noi’, ma anche dai vari modi di dire del linguaggio giovanile, venato di romanticismo puerile e creatività verbale nell’utilizzo di nomi estrosi per luoghi e persone, dalla stanza («il campo»), al letto («la tenda») agli amici di scuola («i lacedemoni», «guerrieri spartani») ecc. Nel mondo favoloso di Alessio si parla un linguaggio ‘arabo-orientale’, con parole legate a zone geografiche lontane (l’Arabia, la Persia, la Mesopotamia, il Pamir), alla loro fauna e flora tropicali (fichi, eucalipti, palme), attraversate da eroi e avventurieri d’oltreoceano (Aladino, il gran Mogol, un visir, un samurai) in cerca di animali feroci (impersonati da Gatto, il gatto biondo di casa, che ogni tanto diventa una tigre, altre volte una pantera). Questa espressività di linguaggio è molto più chiara nella prima edizione (in Solaria) mentre la seconda, uscita quindici anni dopo in versione epurata e modificata, risulta molto più «convenzionale» (Lauta 2013).

Non è soltanto l’espressività linguistica a risentire della riscrittura da un medium all’altro (in questo caso dalla pubblicazione in rivista al romanzo). Se nella prima edizione in Solaria figurarono molti personaggi secondari, di origine turca, araba, danese, normanna e vi furono molti riferimenti a luoghi ‘esotici’, nella seconda versione (il libro pubblicato da Mondadori) molti di questi riferimenti sono stati eliminati. Personaggi secondari come il compagno di classe Francovich, il nonno Skander e la prostituta viennese spariscono del tutto. Anche le frasi in francese vengono tolte. Uno dei tagli più importanti è la rimozione quasi totale delle pagine in cui Zobeida racconta la storia inventata del suo passato e le vicende surreali del principe che si trasforma in una statua di pietra. Delle dodici cartelle uscite in rivista nel periodo interbellico solo due pagine sopravvivranno nel libro uscito nel 1948.

 

 

3. Il garofano rosso allo schermo

 

A cavallo tra gli anni ’60 e ’70 vi è una rinata attenzione per lo scrittore siciliano, attraverso una serie di ‘inviti alla lettura’ all’opera vittoriniana, che dopo la morte nel ’66 viene commemorato da studiosi e scrittori, fra cui Italo Calvino. Nel 1976, vengono mandati in onda, quasi in contemporanea, due adattamenti televisivi che si basano sulla storia de Il garofano rosso: lo sceneggiato diretto da Piero Schivazappa che viene trasmesso su Rete Due in due puntate, e il film televisivo prodotto da Arturo Zavattini e diretto da Luigi Faccini, che ha una durata complessiva di 150 minuti (ridotto in seguito a 110 minuti) [fig. 4]. In realtà a Faccini non piacque la storia de Il garofano rosso e la sua idea iniziale era di creare un film attuale e politico, basandosi su un altro romanzo più recente dello scrittore:

 

Non doveva essere Garofano rosso la mia carta d’identità. Elio Vittorini, certamente. […] Cinematografico mi dissero che Vittorini era autore bene accetto, ma che Le donne di Messina era una storia “ancora troppo a caldo, troppo politica”. Si trattava di una censura preventiva, uno sbarramento tassativo. Fu allora che la mia scelta cadde su Il garofano rosso. Datato storicamente, ma non estraneo ai miei interessi storiografici. Non riuscii ad amare quel libro del mio scrittore preferito. Furono gli echi di Flaubert e di Alain Fournier che mi attrassero (Faccini 2006, p. 63).

 

Già dai titoli di testa si legge che la trama del film è stata «liberamente tratta dal romanzo» dell’edizione mondadoriana. La storia, i temi e i nomi di personaggi infatti si riconoscono chiaramente. I differenti punti di vista ‘ideologici’ dei personaggi fascisti e antifascisti sono stati rappresentati in modo abbastanza neutro, nel senso che non si è cercato di cancellare né di ammorbidire troppo l’allora adesione dei giovani alla politica. Faccini, tuttavia, ha rivelato senza dare ulteriori dettagli di essere stato pedinato da un misterioso Comitato Vittorini che gli chiese di inserire «tradimenti» nella sceneggiatura; il regista ha ricordato l’episodio come «un’esperienza tremenda» (ibidem).

Nell’adattamento televisivo vengono a mancare tutti i riferimenti alle sinestesie e agli impulsi sensoriali (olfatto, gusto, vista, udito) che contribuiscono al valore simbolico della lettura a più livelli. Vengono a mancare le opposizioni cromatiche, le simbologie meteorologiche, i salti fra realtà, mito e immaginazione, che si trovavano soprattutto nei frammenti di prosa descrittivi e riflessivi. Zobeida, per fare un esempio, non viene raffigurata come una bionda ‘sultana’ ma nel ruolo interpretato da Elsa Martinelli è una donna italiana mora.

Si notino due particolari nella raffigurazione dei personaggi di origine turca, i compagni di stanza di Alessio (interpretato da Miguel Bosè): se nella prima edizione della storia, apparsa in Solaria, il gruppo dei turchi era abbastanza numeroso, nel romanzo mondadoriano e nel film di Faccini il numero è in forte discesa. Si legge nelle versioni scritte che uno di questi ragazzi turchi «somigliava a Trozkij», benché il film richiami palesemente la figura di Antonio Gramsci, contraddistinto dal taglio di capelli e dagli occhiali tondi [fig. 5].

Lo studioso e critico cinematografico padre Luigi Bini descrive Garofano rosso come un film «sostanzialmente fedele a Vittorini. E lo è nell’altrettanto sostanziale infedeltà che si richiede a chiunque non voglia essere semplicemente l’illustratore di un altrui prodotto artistico». Secondo padre Bini il regista si svincola dal romanziere «più che nel rispetto della struttura narrativa e nell’intreccio, nell’attenuazione del fervore lirico riscontrabile nel libro, nella scomparsa dei toni declamatori e della carica simbologica che sono una costante dello stile e dell’universo poetico-linguistico vittoriniano». Egli conclude che «il film è apprezzabile per la sua misura stilistica e la sua capacità di evitare i codici naturalistici e impressionistici, senza cadere nelle astrazioni del simbolismo» (Faccini 2006, p. 63).

Un elemento che Faccini stesso menziona come punto forte è la fotografia, frutto di una collaborazione con Arturo (figlio di Cesare) Zavattini [fig. 6]:

 

Arturo aveva fatto con me la fotografia di Garofano rosso. Tra le più belle “sicilie” del cinema italiano. Cesare [Zavattini] era spaventato dall’eventualità di avere intorno quaranta-cinquanta persone di troupe. Trasecolò quando gli raccontai (Garofano rosso era del 1976) che Arturo smorzava la luce del sole, in esterni, con grandi lenzuoli bianchi, per poi illuminare la faccia di un attore con una lampada da diecimila per fargli un primo piano. Lui voleva che tutto accadesse istantaneamente. Senza grandi preparativi. Come nella vita. I tempi di allestimento del cinema lo tramortivano, togliendogli spontaneità, energia, creatività (ivi, p. 294).

 

4. Il garofano rosso dipinto

 

Il film di Zavattini e di Faccini mette in rilievo la parte engagée della storia de Il garofano rosso, soprattutto per quel che riguarda tema, contenuto e ambientazione. Tralascia, invece, la vena ‘proustiana’ omettendo le descrizioni oniriche, sensoriali legate all’adolescenza e alla Bildung dei personaggi giovani. Il quadro del pittore fiammingo Frank Rombouts, che descriveremo qui di seguito, parte proprio da questa opposizione carica di simbologia fra personaggi e colori. Nel maggio del 2017 si è tenuta a Milano una mostra ‘letteraria’ in cui l’artista belga attraverso dieci dipinti ha raffigurato alcuni brani letterari famosi scelti da grandi romanzi della storia letteraria romanza (in lingua italiana, francese, spagnola) riassumendo così una parte della storia letteraria europea su tela. Fra i dieci quadri figura anche il titolo Desiderio – Il garofano rosso. Basandosi sul romanzo vittoriniano, Rombouts parte dall’opposizione cromatica e simbolica per raffigurare le varie dicotomie della storia [fig. 7].

Dalla nota introduttiva al quadro si legge che gran parte della tela è occupata da un’ombra femminile sullo sfondo. Si tratta di Giovanna, il primo grande amore del protagonista, di cui non si vede il volto. È un amore ‘desiderato’ che ha luogo soprattutto nella testa del ragazzo e perciò è reso offuscato, non limpido e non tangibile. La farfalla si riferisce alla seconda donna nella vita amorosa di Alessio. La splendida Zobeida, donna dal nome delle mille-e-una-notte, incarna il lato erotico e fisico dell’amore. Per il mondo esterno Zobeida è considerata una prostituta – che come una farfalla ‘aleggia’ da un uomo all’altro – ma lei concentra tutte le sue attenzioni su Alessio. Con lui riesce a rivivere un amore semplice e spensierato. La casa di tolleranza per lei è soprattutto una copertura per distogliere l’attenzione dai suoi legami con la malavita e il traffico di droga. Invece di raffigurare una seconda figura femminile, l’artista ha scelto di rappresentare Zobeida come una farfalla, e in particolare come una farfalla notturna. La tensione tra il dettaglio colorato, messo chiaramente in evidenza in primo piano, e lo sfondo sfocato sta a simboleggiare come Alessio viva l’amore con queste due donne: platonico e mentale da una parte, fisico e terreno dall’altra. Il primo incontro con Giovanna, anche se è stato effimero, rimarrà fondamentale e di grande importanza nell’iniziazione di Alessio all’amore, e riceve perciò ampio spazio nel dipinto. Con lei Alessio ha scambiato poche parole e un solo bacio, magari è stato anche per scherzo. Rimarrà tutto rinchiuso in quell’unico momento... (cfr. Rombouts, Van den Bergh 2017).

In questa galleria si è voluto analizzare la storia Il garofano rosso e la sua travagliata genesi testuale (dal 1933 al 1948) e alcuni adattamenti ‘visivi’ che sono stati pubblicati in periodi più recenti. In particolar modo l’adattamento cinematografico del 1976 diretto da Luigi Faccini e una pittura recente del 2017 del pittore fiammingo Frank Rombouts sono come due facce della stessa medaglia che si completano a vicenda, mettendo in risalto elementi diversi sia per contenuto che per forma. Attraverso le differenti versioni scritte e rimediate della stessa storia vi è stata un’alterazione delle sfumature sensoriali nonché un affievolimento di un certo numero di personaggi (scomodi o secondari). Questi cambiamenti si sono tradotti, da una versione all’altra, dalla rivista al libro e altri media, nell’adattamento di alcune valenze simboliche che Vittorini originariamente aveva organizzato nel testo attraverso una palette di riferimenti sensoriali.

 

Bibliografia

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Filmografia

Garfano rosso, di L. Faccini, Italia, 1976.