4.4. «Ma tu di viso sei stupenda»: erotismo, corpi non conformi e femminismo pubblico

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Instagram è un social network proprietario collegato al gruppo Facebook, che marchi e celebrities usano come vetrina a livello globale, e che vede un continuo ricorrere di immagini di corpi basati sui canoni dominanti. La condivisione di selfie e altre immagini corporee, spesso pubblica e aperta, e il confronto continuo con le regole della communitysono fra gli elementi che sottolineano come questa piattaforma si configuri come dispositivo di controllo e pattugliamento dei confini per le performance soggettive. Esemplare è la questione relativa al confine della ‘nudità’ su Instagram, che ha portato al movimento #freethenipple e alla necessità di non confinare i corpi privi di vestiti nella sola pornografia.

In molte reclamano il bisogno di ‘normalizzare’ lo sguardo sui corpi che abitiamo come strumento di lotta ed empowerment: scegliere di mostrare il proprio corpo diviene essenziale per riappropriarsi del proprio diritto ad occupare spazio e possedere una agency sia individuale che collettiva (per un esempio, si veda il rapporto fra immagine e testo in questo post dell’autrice ed attivista Carlotta Vagnoli: https://www.instagram.com/p/CEi-OKElj95/). Troppo spesso invece il discorso pubblico si scaglia violentemente contro la messa in scena di posizionamenti che non si conformino agli scenari della normatività estetica, secondo cui solo ciò che appartiene alla cultura del ‘bello’ è mostrabile senza necessità di giustificazioni o spiegazioni.

In questo scenario, sempre e solo una è la prospettiva valida e condivisibile, mentre tutto il resto è inappropriato; le persone trans e i corpi non conformi sono coloro che sempre più spesso producono immagini che incarnano la ribellione contro il pattugliamento dei confini di ciò che è ritenuto ‘visibile’. Un recente caso è quello dell’attivista e performer Alok (@alokvmenon), che mette il corpo in posa come nell’iconografia religiosa, ma circondato dagli screenshot delle frasi violente estratte dai commenti ad altri post del profilo [fig. 1]. Attraverso l’incontro fra le strutture visive, l’immagine intreccia il retaggio culturale indiano di Alok, la consapevolezza delle dinamiche del colonialismo e del razzismo, l’esperienza dell’essere una persona transgender e la ricerca della propria agency nella performance corporea e teatrale, trasformando la violenza in empowerment. In un’altra didascalia, che accompagna un’immagine simile, Alok espone una posizione volutamente provocatoria sulla problematicità della legittimazione pubblica del corpo, se essa dovesse finire per dipendere dall’adesione obbligatoria a canoni estetici prima ancora che identitari: https://www.instagram.com/p/CFInuLjBRsz/.

In questi ed altri casi, Instagram, è divenutospazio comune e linguaggio condivisodi grande potenza per la circolazione di narrazioni alternative e posizionamenti non conformi, anche grazie al rapporto fra facilità di utilizzo, flessibilità del mezzo e suo raggio d’azione. L’intuitività delle interfacce permette uno scambio reticolare di saperi e informazioni che non richiede particolari competenze digitali; inoltre, si tratta di un ambiente abitato da persone di generazioni e retroterra culturali molto diversi, che possono entrare in contatto grazie all’uso di strutture concettuali reticolari e flessibili come gli hashtag. In questo senso, può essere terreno fertile non solo per forme di violenza e semplificazione, ma anche per le pratiche di riflessione e militanza dei femminismi contemporanei (Butler in Ferber 2020).

Sono dunque moltissimi gli scritti che si occupano di affrontare le relazioni fra femminismi, attivismi e i social network, soprattutto da parte di studiose per le quali militanza e attività accademica sono inscindibili, come sottolineato anche da Suzanna Danuta Walters nell’introduzione al recente numero di Signs dedicato proprio alle ‘femministe pubbliche’. Le possibilità aperte dai profili presenti sui social network contribuiscono anche a questo scenario in cui passioni, politiche e teorie si incarnano talvolta in ritratti e corpi non previsti. Instagram non è solo uno spazio di articolazione e aggregazione, ma uno specificatamente visuale: l’estrema integrazione fra immagini e testi vede infatti la presenza dentro la piattaforma di persone che cercano di costruire un nuovo immaginario di riferimento per corpi, soggettività ed emozioni.

Le micropolitiche del web della quarta ondata del femminismo (Munro 2013) si uniscono a nuovi punti di riferimento sensoriali e sentimentali per la messa in scena del sé, soprattutto nelle migliaia di immagini che vanno a comporre il nostro feed quotidiano. Instagram in particolare permette di confrontarsi con un mosaico di posizionamenti, corpi, soggettività multiformi. Un profilo Instagram non è soltanto legato a paradigmi complessi della cultura visuale contemporanea, che permette di costruire una configurazione articolata del rapporto fra soggettività ed esperienza (Marmo 2018); è anche un modello di riconoscimento del sé, che si interseca secondo strutture reticolari in continua trasformazione con i modelli prodotti dagli altri profili con cui si va a confrontare. L’apparente fissità del dittico immagine/didascalia si rifrange in una miriade infinita di possibilità di utilizzo: ciascuna immagine può avere la permanenza del post o la labilità della story, può essere fissa o in movimento, essere composita con testo e suono oppure priva di entrambi, ecc. Ma si rifrange anche nel mosaico di altre immagini, esemplificando (e talvolta semplificando) la stratificazione delle (mis)identificazioni aperte per la soggettività.

 

1. Femminismi pubblici: la community di I weigh e le disegnatrici per la sex-positivity

Una piattaforma come I weigh ci racconta proprio di questa costellazione di posizionamenti. Si tratta di un account creato su Instagram, e poi debordato in altri spazi del discorso pubblico, dall’attrice e modella Jameela Jamil con l’esplicito intento di dare vita a una comunità femminista, uno spazio inclusivo da cui partire per poter ascoltare voci diverse. Si tratta di un profilo con oltre 1 milione e 300mila followers, poco più di 1/3 rispetto a quelli della sua fondatrice; quindi abbastanza visibile, ma ben lontano dagli oltre 150 milioni di Beyoncé (l’epitome del celebrityfeminism contemporaneo: Walters 2020).

Il profilo di I weigh appare come una costellazione di posizionamenti diversi, in cui il rifiuto del sessismo si accompagna alla necessità di dare legittimità a identificazioni ed esperienze variegate. Come possibile vedere in una sezione recente ma anche casuale del profilo [fig. 2], si spazia da questioni relative alla salute mentale, al contesto politico statunitense, a riferimenti al podcast condotto da Jamil e le persone intervistate. Ma una parte importante riguarda il lavoro di riappropriazione dello spazio pubblico da parte di corpi non conformi, dando loro spazio di rappresentazione e dunque legittimità anche dal punto di vista estetico ed artistico.

Soprattutto, ciò avviene attraverso il riferimento ad artiste, soprattutto disegnatrici, che siano in linea con le posizioni antisessiste della body e sex-positivity, a cui il canale fa da cassa di risonanza. Nella sezione di profilo presente in questa immagine, faccio riferimento al disegno di Hazel Mead sulla «tridimensionalità del sesso – strano, divertente, emotivo, può essere una cosa bellissima, può essere traumatico, e qualunque aggettivo vi sembri adatto», come scrive la stessa autrice nel post che accompagna il disegno sul proprio profilo [fig. 3]. Un aspetto di grande impatto, che questa disegnatrice condivide con molte altre (come ad esempio la più famosa Erika Moen) è la ricerca di inclusività nel mettere in scena corpi desideranti e desiderabili, a cui si aggiunge un tratto grafico improntato ad esprimere gli aspetti più ludici e gioiosi della sessualità e sensorialità condivise.

Una celebrazione della diversità resa possibile dalla divulgazione dei discorsi femministi sulla rappresentazione dei corpi e l’autocoscienza è quella proposta dal profilo The Vulva Gallery di Hilde Atalanta. La messa in scena di vulve disegnate a partire da modelli esistenti fa parte della messa in relazione fra la conoscenza del proprio corpo e la sua rappresentabilità pubblica come strumenti ancora necessari di lotta femminista. Ancora una volta, si tratta di rompere le strutture dominanti dello sguardo pornografico e univoco sui corpi nudi, a favore di una attività di messa in scena che contribuisca alla auto-legittimazione delle infinite forme della carnalità. La struttura a mosaico del profilo di Instagram si presta in modo particolarmente adeguato a questa prospettiva, e si replica inoltre nelle tavole [fig. 4]; mentre le stories, sia nella loro forma più volatile e quotidiana che nelle sezioni permanenti, vengono usate fra l’altro per raccontare l’artista e il progetto, per pubblicizzare in modo diretto gli spazi dello shop online, per mettere in scena tramite affascinanti time-lapse il gesto artistico con cui si raggiunge il prodotto finito.

 

2. Reclamare un posto nel desiderio e nell’immaginario: le militanti per la bodyneutrality

Il moltiplicarsi e rifrangersi delle possibilità di identificazione e rispecchiamento è particolarmente forte nell’ambito del movimento per l’accettazione e la normalizzazione dei corpi grassi. Si tratta di un movimentoche interseca fortemente le tematiche dei femminismi e degli attivismi queer, come dimostrato fra l’altro dal lavoro di Roxane Gay. Anche in questo caso, la battaglia del privilegio si svolge sul controllo di corpi che rifiutano di aderire ad uno stampo etnicamente e culturalmente (ma non numericamente) dominante. Diviene dunque fondamentale creare comunità e genalogie che permettano a ciascun* di riconoscere la propria agency, secondo le pratiche imparate proprio dai femminismi, ma rielaborate in funzione degli strumenti di relazione e riconoscimento portati dalla rete (Borghi 2018).

Ad esempio, le giovani donne messe in scena dal documentario danese Fat Front (Louise Detlefsen e Louise Unmack Kjeldsen, 2020) hanno trovato la forza del loro posizionamento nella militanza femminista e queer oltre che in quella della bodypositivity proprio attraverso le possibilità di incontro e confronto date da Instagram [fig. 5]. Alcune di loro si sono scontrate con le pratiche censorie della piattaforma, così come capitato a numerosissime celebrities e influencer negli ultimi anni (Strapagiel 2020); ma questo ha talvolta solo aumentato il loro raggio d’azione.

Un uso paradossalmente dirompente della piattaforma è fatto da celebrities come Lizzo, proprio perché non pone limiti alla messa in scena del proprio corpo di donna nera e grassa, per la cui visibilità lotta ogni giorno. Anche quest’estate ha denunciato in un post (che ha ricevuto a oggi quasi 5 milioni di visualizzazioni) gli insulti subiti dalle persone grasse online, ma anche come sia indispensabile vedersi rappresentat* per cambiare la storia dei corpi “accettabili” e dunque inclusi nel racconto [fig. 6]. Al di là del testo scritto, il potere del post sta nell’essere un breve montaggio video basato su riprese del corpo di Lizzo in movimento, mentre si allena o si mette in posa per la fotocamera, accompagnato dalla voce della cantante che riafferma il potere di ciascuno di reclamare la propria bellezza e autorevolezza sul mondo, indipendentemente dalla propria taglia (https://www.instagram.com/p/CBUUvXKAQ-S/). Questo tipo di impatto verso la ‘normalizzazione’ dei corpi neri e grassi le ha permesso di conquistare – prima donna nera non magra ma vestita da Valentino – anche la copertina di Vogue di ottobre 2020 [fig. 7], mentre nell’intervista di accompagnamento reclama il proprio posizionamento a favore della body neutrality (Rankine 2020).

La presenza di Lizzo su Instagram, con oltre 9 milioni di follower, e la sua militanza femminista e antirazzista fa parte di una produzione di «hackeraggi, cioè dei protocolli di riappropriazione delle tecnologie, per moltiplicare il potenziale delle nostre pratiche trasformative». (Ferrante 2019, p. 25). È indubbiamente vero che l’algoritmo su cui si basano i social network elabora i feed di ciascun* in base a interessi e opinioni già espresse; si tratta della cosiddetta ‘bolla’, in cui ogni opinione trova nuova forza e il feed in generale crea una realtà alternativa, fatta su misura per la persona che la abita (DiElle 2019). Ma è altrettanto vero che questo permette un riconoscimento reciproco e una legittimazione in proporzioni sinora sconosciute. Artiste e attiviste creano una circolazione di contenuti di grande originalità, che permette un confronto immediato e a volte va a coinvolgere altr* utenti che, pur interessat* all’argomento in generale, possono vederlo sotto una prospettiva magari inedita.

Uno dei casi in questo senso di grande impatto è il profilo di Belle di faccia, gestito da @chiaralascura e @frauleinstalker, interamente dedicato a grassofobia, fat acceptance e body positivity. Attraverso la sinergia fra disegni e didascalie, le due attiviste spiegano alle oltre 44mila persone che le seguono in che modo si le posizioni femministe si intrecciano con la body positivity e l’inclusività [fig. 8, https://www.instagram.com/p/CBaDwiilWWV/], andando talvolta anche a inquadrare questioni che non sono chiarissime neppure all’interno della comunità stessa a cui si rivolgono. Oltre a post con riferimenti a libri o ad altre realtà online come strumento di conoscenza, parte del loro lavoro sta proprio nell’aprire un dialogo costante tramite i commenti, rispondendo pazientemente a richieste di chiarimenti o a interventi polemici. Un esempio particolarmente interessante è la discussione agguerritissima che si è sviluppata nei commenti ad un lungo post dedicato al privilegio della magrezza e a quella che viene chiamata ‘fattax’, ovvero il sovrapprezzo per tutta una serie di prodotti dedicati alle persone grasse (https://www.instagram.com/p/B4EwywSo9UP/).

In tutti i casi qui elencati, l’esistenza stessa di corpi non conformi, prima ancora del loro rivendicare una accettazione e normalizzazione, è ritenuta nei fatti una provocazione nei confronti di un discorso pubblico che non vorrebbe essere costretto a confrontarsi con le complessità teoriche, esperienziali, emotive che questi corpi portano con sé. La possibilità offerta da Instagram di lavorare sui confini del visibile e del rappresentabile riporta al centro del dibattito teorico l’interrogativo sui modi in cui l’esperienza concreta delle soggettività possa integrarsi alla sperimentazione sulla messa in scena e alla circolazione di saperi e poteri, lavorando sugli interstizi e le crepe aperte nel dispositivo dalle sue stesse regole di produzione.

 

 

Bibliografia

R. Borghi, Appunti dai margini al centro, in C. Cossutta, V. Greco. A. Mainardi, S. Voli (a cura di), Smagliature digitali. Corpi, generi e tecnologie, Milano, Agenzia X, 2018, pp. 141-154.

Di Elle, ‘Dal web 2.0 alla rete femminista. Limiti, contraddizioni, resistenze’, DWF, 3 (123), 2019, pp. 11-23.

A. Ferber, ‘Judith Butler on the culture wars, JK Rowling and living in “anti-intellectualtimes”’, New Statesman, 22 settembre 2020, <https://www.newstatesman.com/international/2020/09/judith-butler-culture-wars-jk-rowling-and-living-anti-intellectual-times> [accessed 31.08.2020].

A.A. Ferrante, ‘Facebook Red, Facebook Blue. Governance e resistenze transfemministe nel capitalismo delle piattaforme’, DWF, 3 (123), 2019, pp. 24-29.

L. Marmo, Fotografia, aura e atmosfera: l’esperienza filtrata ai tempi di Instagram, in E. Menduni, L. Marmo con G. Ravesi (a cura di), Fotografia e culture visuali del XXI secolo, Roma TrE-Press, Roma 2018, pp. 537-554, <http://romatrepress.uniroma3.it/libro/fotografia-e-culture-visuali-del-xxi-secolo/> [accessed 31.08.2020].

E. Munro, Feminism: A Fourth Wave?,Political Insight, v. 4, n. 2, 2013, pp. 22-25.

C. Rankine, ‘Lizzo on Hope, Justice, and the Election’, Vogue, October 2020, <https://www.vogue.com/article/lizzo-cover-october-2020> [accessed 31.08.2020].

L. Strapagiel, ‘Influencers Say Instagram Is Biased Against Plus-Size Bodies, And They May Be Right’, BuzzFeed News, 21 maggio 2020, <https://www.buzzfeednews.com/article/laurenstrapagiel/influencers-say-instagram-is-more-likely-to-remove-photos> [accessed 31.08.2020].

S.D. Walters, Introduction: We Are All (Public) Feminists Now, Signs. Journal of Women in Culture and Society, v. 45, n. 4, 2020, pp. 785-793.