5.1. Risemantizzare lo sguardo. Appunti per un’antropologia visiva femminista: l’archivio vivo Lunàdigas

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Le radici della nostra individualità ci sfuggono;

altri le hanno coltivate per noi, a nostra insaputa.

Elena Gianini Belotti

 

Il corpo è uno spazio aperto,

un campo di battaglia dei conflitti.

Julia Kristeva

 

Sperimentale riguarda qualcosa creato grazie all’esperienza e che si fonda e che procede grazie ad un esperimento. Nella sua accezione più ampia, quindi, la sperimentazione riguarda la ricerca. Nello specifico dei linguaggi audiovisivi, la sperimentazione si riferisce a quelle opere di ricerca che vengono concepite quasi sempre da un’insoddisfazione nei confronti della rappresentazione offerta dai media mainstream, dal desiderio di sperimentare un procedimento e di applicarlo ad una specifica questione come, ad esempio, la messa in discussione degli immaginari sessisti. Non a caso, negli ultimi venti - trent’anni la riflessione sui gender studies riguarda sia l’analisi delle differenze di genere sia quelle relative ad altri tipi di differenze, fra cui quelle generazionali, di razza, di classe ecc. Sono state le studiose afroamericane – da Bell Hooks in poi – a farci ragionare sulla molteplicità delle donne invitandoci ad abbandonare le concezioni di univocità delle cosiddette ‘minoranze’. Tra gli obiettivi più urgenti negli studi socio antropologici sul genere persiste quello di scardinare gli stereotipi patriarcali e gerarchizzanti sulle donne.Ad un rapido e generico sguardo, nel corso della storia dell’umanità, le donne sono state raccontate attraverso il filtro della maternità e della femminilità. Rarissimi sono gli studi che capovolgono questi dispositivi culturali e che si rivolgono ad altre possibilità. Come ha sottolineato l’antropologa Alessandra Gribaldo:

[…] Molte ricerche hanno dimostrato l’impossibilità di separare il desiderio di figli dalla costruzione dell’identitàdi genere femminile e dalle contraddizioni che la costituiscono. “Ibridoculturale”: così è stata chiamata l’identità femminile italiana da due studiose economiste per il fatto di essere costituita da elementi difficilmente conciliabili nel contesto socio economico italiano, la componente materna e quella lavorativa (Gribaldo 2010, p.90).

Tra i progetti documentaristici che si situano in questo solco, e che allo sguardo antropologico appare illuminante, si colloca Lunàdigas - ovvero delle donne senza figli di Nicoletta Nesler e Marilisa Piga [fig. 1]. Cattive, egoiste, imperfette, sbagliate, rami secchi, strane, diverse sono solo alcuni degli aggettivi con cui si designano le donne che scelgono di non essere madri (per scelta o per destino). In inglese, childfree o childless. Nella lingua italiana manca un sostantivo specifico, ma gli aggettivi giudicanti abbondano e, quindi, si viene definite solo con la preposizione impropria del senza. Attraversando prima la forma del webodc (2015) e poi del documentario (2016), Lunàdigas – che in sardo indica quelle pecore che non si riproducono – oggi, è un progetto d’archivio vivo [fig. 2], un serbatoio mnestico che r/accoglie le testimonianze di donne (famose e non) senza figli. In queste brevi righe tenteremo di raccontare questo progetto attraverso il filtro dell’antropologia visiva femminista: un campo disciplinare ancora poco esplorato in Italia che ha, tra i tanti obiettivi, l’analisi (visuale/visiva) della costruzione sociale dei generi e dei rapporti tra di essi in diversi campi dell'agire umano. L’antropologia che si occupa di genere sostiene che la società va compresa attraverso il genere e le relazioni sessuali (Ribeiro Corossacz, Gribaldo 2010). Le riflessioni socio-antropologiche hanno evidenziato come dietro le nozioni di razza, sesso e classe siano all’opera identici dispositivi di naturalizzazione, destorificazione e rimozione strettamente legati ai rapporti di potere e come dietro ogni processo di differenziazione si celi un’operazione di gerarchizzazione. Ènella relazione tra antropologia di genere e il suo oggetto di studi che è in gioco la rimessa in discussione del modo di pensare la relazione sé/altro, la nozione di differenza nel femminismo e nella disciplina antropologica. Riflettere antropologicamente su un lavoro come Lunàdigas e il suo archivio vivo significa mettere in discussione quegli immaginari individuali e collettivi che intendono rappresentare la donna in maniera univoca e non eterogenea:

Se infatti la maternità, vissuta o immaginata, rappresenta un punto cruciale attraverso cui la dimensione sociale si intreccia con quella fantasmatica, essa però “non è l’origine, lo specifico, o la condizione della sessualità femminile (De Lauretis 1996, p.181).

L’archivio vivo Lunàdigas costituisce una raccolta multimediale di voci, volti e vite, rappresenta la naturale evoluzione del webdoc e del film [fig. 2]. Le due registe intendono rappresentare:

Donne che si raccontano all’interno di ambienti domestici, i quali spesso manifestano per la loro conformazione e i loro arredi la condizione della non maternità. Possono nascere speciali curiosità: in cosa si differenziano i cassetti e le borsette delle donne senza figli dai cassetti e dalle borsette delle donne che hanno avuto a che fare con propri figli?! Altre volte, le donne parlano e si muovono anche in gruppo, per esempio in un tiepido pomeriggio d’estate e si raccontano passandosi il testimone nella corte di un casale fiorentino. In casi come questi, le protagoniste vengono riprese con camera a spalla, in modo tale da restituire agilmente la vivacità delle testimonianze, spesso incrociate e scoppiettanti(Nesler, Piga 2015).

Lo scopo delle due autrici è quella di pubblicare tutte le testimonianze integrali raccolte e clip inedite per creare uno spazio di condivisione e ricerca che continui a crescere. Sul sito, ad oggi, sono presenti video testimonianze: in questo modo, dal privato di ciascuna delle intervistate il progetto diventa corale ed universale [fig. 3]. La scelta di utilizzare uno strumento a carattere biografico si inscrive in una tradizione etnografica femminista che, nonostante la varietà di forme testuali e di strategie alternative, continua a rappresentare un elemento irrinunciabile della ricerca (Moore 1998). Lunàdigas rappresenta più di un archivio: è un laboratorio aperto, in divenire. Un laboratorio dedicato a tutte quelle donne che cercano di dare un senso alle contraddizioni in cui vivono quotidianamente.

 

Il paesaggio interiore di queste donne emerge dal loro modo di raccontarsi. Il loro paesaggio fisico è messo in scena con luci usate di taglio per ottenere effetti di contrappunto e contrasto. È, per esempio, la luce dei giorni di maestrale a Cagliari. È la luce delle ore mattutine e pomeridiane che poi non arrivano al tramonto. Questo è un tentativo di rappresentare il dentro e il fuori di ognuna, l’interno e l’esterno. È il lato metaforico di un argomento pieno di chiaroscuri che noi scegliamo, per contrasto, di tratteggiare con luci forti e nette, naturali o artificiali che siano. Abbiamo scelto di allestire troupe leggerissime e composte da donne, per favorire l’intimità del rapporto tra noi autrici e le protagoniste (Nesler, Piga 2015).

La sperimentazione del progetto Lunàdigas si colloca anche al di fuori della rappresentazione visuale d’archivio e filmica: la sua eco nei social network allunga il confronto e lo scambio. Da un punto di vista antropologico, il progetto nella sua totalità appare avere più scopi: tra i tanti, quello di capire come stanno veramente le cose man mano che si va avanti, ma anche nell'aiutare chi accede all’archivio ad avere fiducia in quella scelta indipendentemente da ciò che impone lo spirito socio-culturale del nostro tempo.  Èun lavoro politico, recuperandone il significato autentico: il posizionamento critico c’è e si avverte ma è luminoso (non appesantito da ideologie complicate) e si apre a molteplici sguardi per:

Lasciare che emergano molteplicità di narrazioni sulle donne significa permettersi di immaginare forme di auto-rappresentazione femminile in cui le differenze tra donne (e tra generazioni di donne) non vengano né represse né occultate, ma possano emergere al contrario nei termini di una possibilità, di un agire o di una rottura che porta con sé desideri e processi di soggettivazione(Gribaldo, Zapperi, 2011).

 

Bibliografia

T. de Lauretis, Sui generi. Scritti di teoria femminista, Milano, Feltrinelli, 1996.

A. Gribaldo, Scelte moderne, identità ambivalenti. Genere, classe e fecondità nell’Italia urbana, in V. Ribeiro Corossacz, A. Gribaldo (a cura di), La produzione del genere. Ricerche etnografiche sul femminile e sul maschile, Verona, Ombre corte, 2010.

A. Gribaldo, G. Zapperi (a cura di), Lo schermo del potere. Femminismo e regime di visibilità, Verona, Ombre corte, 2011.

H. L. Moore, Feminism and Anthropology, South Minneapolis, University of Minnesota Press, 1988.

N. Nesler, M. Piga, ‘Lunàdigas’, Sardegna soprattutto, 27 gennaio 2015 <http://www.sardegnasoprattutto.com/archives/5845> [accessed 31.08.2020].

Per consultare l’archivio vivo del progetto Lunàdigas: <https://www.lunadigas.com/archivio-vivo/> [accessed 31.08.2020].