5.3. Diffrazioni audiovisive: la sperimentazione a partire dall’esperienza Her Noise

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La diffrazione è un fenomeno fisico che permette a un'onda di aggirare un ostacolo che si trova sul suo cammino e oltrepassarlo. Con la diffrazione le onde non si limitano a superare l'ostacolo, ma ne invadono anche lo spazio retrostante.

L'impedimento alla promozione di un'arte sonora e audiovisiva sperimentale femminile è il fulcro della nascita del progetto Her Noise, all'interno del quale sono nati dibattiti e ricerche, volti a individuarne le possibili motivazioni. Una delle cause sembra essere una mancanza di autoconsapevolezza e fiducia da parte delle artiste all'interno di un campo culturalmente e storicamente dominato dagli uomini. Nonostante le donne abbiano accesso allo studio del suono, spesso si sentono escluse da questo discorso, vedendolo come un diritto non ancora acquisito. Le donne sembrano essere emarginate dall'area musicale sperimentale e tecnologica, provocando un vuoto e una mancanza che ha radici sociologiche e culturali.

Her Noise è una strategia femminista di protesta che vuole rispondere a questa sorta di mascolinità con una controparte femminile, per ricalibrare lo sbilanciamento e colmare l'amnesia della storiografia dominante. È una sorgente di onde secondarie che si intrecciano e interferiscono, un'apertura attraverso cui l’energia dell’onda si propaga e illumina zone d'ombra, invadendo anche quegli spazi nei quali essa non potrebbe giungere. Il messaggio di Her Noise è: un'arte sonora sperimentale al femminile esiste ed ha una sua storia.

Le curatrici, Lina Džuverović e Anne Hilde Neset, co-fondatrici nel 2003 dell'organizzazione artistica londinese Electra, dal 1998 al 2000 hanno collaborato a una serie di eventi di arte audiovisiva, presso la LUX Gallery di Londra, chiamata Interference, rendendosi conto di quanto il progetto fosse «molto elettronico, molto occidentale e molto maschile» (Lina Džuverović, Her Noise: Feminisms and the Sonic Symposium 2012). Un'intervista di Kim Gordon e Thurston Moore, per la rivista musicale The Wire, per cui lavoravano, ha confermato l'effettiva e frequente esclusione delle donne dai canali culturali e l'impaludamento di un panorama ineguale che relegava il genere femminile dell'industria musicale a ruoli spesso stereotipati o subalterni.

L'ambizione di Džuverović e Neset diventa, quindi, quella di costruire un network, un canale che creasse la possibilità di inserirsi nel contesto sperimentale, e fondare un archivio (The Her Noise Archive), che fosse di proprietà condivisa e che rendesse accessibili informazioni su questo specifico campo. Oltre cento artiste e musiciste sono state ricercate per la possibile inclusione nel programma Her Noise tra cui Pauline Oliveros, Maryanne Amacher, Diamanda Galas, Else Marie Pade, Jutta Koether, Marina Rosenfeld, Kevin Blechdom, Kembra Pfahler, Kim Gordon, Lydia Lunch, Peaches, Susan Philipsz. La sotto-serie VHS e DVD dell'archivio ospita opere di Vivienne Dick, Beth B, e Lucy Thane tra le altre; filmati di Nam June Paik e Charlotte Moorman; Violin Power di Steina Vasulka (1978); cortometraggi e film della scena underground e di denuncia contro razzismo e sessismo.

La ricchezza di informazioni raccolte ha mostrato un'articolata rete di concetti, storie e metodologie, che non hanno un centro tematico o gerarchico, ma sono vivificate dall'energia diffusa e dirompente insita nella sperimentazione sonora. «Her Noise è iniziato da una frustrazione» (Lina Džuverović, 2012), contiene una prospettiva di genere e una politica implicita, che auspica ad andare oltre l'ostacolo e a rivolgersi a quel suono invadente e inascoltato, personale, intimo e condiviso. Rumoroso.

Questo è il suono che irrompe nella mostra del 2005 alla South London Gallery, in eventi satelliti, performance e programmi radio. Seguendo una ricontestualizzazione dell'etica riot grrrl, punk, DIY nell'ambito delle arti visive, unita allo spirito Fluxus, l'arte promossa era un'arte partecipata che utilizzava il suono come collante di relazioni sociali. Oltre 64 gallerie e organizzazioni artistiche sono state contattate tra il 2001 e il 2004 in tutto il Regno Unito, prima che la South London Gallery accettasse di ospitare la mostra, in un periodo in cui «i termini femminismo e suono erano entrambi molto impopolari e la combinazione dei due era letale» (Lina Džuverović 2012).

L'archivio quindi non è una categoria omogenea, ma un quadro interdisciplinare e interartistico da cui emergono alcune interessanti personalità che esplorano e rivoluzionano il linguaggio audiovisivo. L'artista multimediale People Like Us, nome d'arte di Vicki Bennett, lavora con il collage audiovisivo, intrecciando narrazioni surrealiste e spesso ironiche e fondendo il campo sperimentale a quello popolare e iconico.

Semiconductor è una collaborazione tra gli artisti britannici Ruth Jarman (di cui l'archivio conserva la proposta di videoinstallazione Inaudible Cities) e Joe Gerhardt. Il duo è attivo nell'ambito di progetti audiovisivi innovativi (video, installazioni e performance multimediali).

Le opere creano un corto circuito concettuale costante tra fenomeno fisico e interpretazione sensibile, utilizzando dati scientifici tratti dagli archivi di varie istituzioni, tra cui CERN e NASA.

Tecniche, processi, strumenti, approcci e filosofie della scienza destabilizzano la percezione dello spettatore che si ritrova al centro di uno scambio linguistico continuo tra arte e scienza, finzione e realtà, natura e tecnologia.

L'occhio della macchina osserva, filtrato dalla sensibilità dell'artista, cerca una materia che esiste al di là della nostra coscienza. Ma se l'arte comunica attraverso il linguaggio scientifico-tecnologico, non perde quel fascino destabilizzante di un ignoto soggettivo, dal gusto talvolta involontariamente mistico; l'informazione oggettiva muta in oggetto di estremo godimento estetico e mostra un'iperrealtà mutevole che sfonda il limite dell'esperienza quotidiana e potenzia le nostre capacità sensoriali [figg.1-2].

In questa rinnovata esperienza distopica, l'immagine subisce costantemente un'aggressione acustica. Ci troviamo a vivere spazi, tempi ed eventi di una realtà percettivamente e concettualmente trasgressiva, forse più vera, forse no.

Dall'estetica del ‘sublime tecnologico’ di Semiconductor, che trasforma la fisica in sculture e scenografie audiovisive, ci spostiamo verso una ricerca più intima e personale, ma che pone la stessa domanda all'ascoltatore: qual è il tuo punto di vista?

Christina Kubisch, artista e musicista tedesca, che tra gli anni Sessanta e Settanta esplora quella terra di ibridazione estremamente fertile che si pone tra le arti, dilata il concetto di sonorità e riscopre un universo acustico sepolto nella tecnologia. Con le Electrical Walks il fruitore può ascoltare in ogni angolo della città, grazie a cuffie wireless a induzione elettromagnetica, suoni provenienti dai dispositivi elettrici. Ogni città ha una sua impronta sonora specifica e i rumori ‘elettrici’, ricchi di timbri, volumi, frequenze, musicalità, ritmi e trame, sono onnipresenti, densi, inattesi, ed estranei. Altre opere, come Cloud o Security, sono delle sculture di cavi elettrici. Indossando le cuffie, il movimento intorno e attraverso l'installazione determina il volume, la sequenza, la sovrapposizione di suoni o una pausa di silenzio [fig. 3].

Se le passeggiate di Kubisch si snodano tra flussi sonori temporanei e individuali, dalla fisionomia totalmente imprevedibile, quelle di Janet Cardiff contengono una linea guida: la voce dell'artista che sussurra una narrazione, generando un rapporto simbiotico e intimo tra chi parla e chi ascolta.

Janet Cardiff (di cui l'archivio conserva pagine tratte da Survey of works including collaborations with Goerge Bures Miller) con George Bures Miller lavora a opere multimediali che combinano scultura, cinema, installazione sonora e narrativa.

Nelle video walks i partecipanti indossano delle cuffie che trasmettono un audio registrato in modo binaurale nello stesso luogo ma in un momento diverso, collegate ad una videocamera, tablet o smartphone [figg. 4-5-6]. Le immagini sembrano come riaffiorare da un ricordo o da un sogno. Si vive un doppio presente, come una discrepanza con un passato o un futuro che coesistono, o forse una realtà parallela; non c'è nessuna linearità temporale. Ciò che vediamo e ascoltiamo non sempre combacia con quello che ci circonda, provocando uno straniamento evocativo. Il suono tridimensionale dimostra la sua capacità peculiare di alterare la relazione con le altre percezioni, agendo sulla memoria in modo diretto e irreversibile.

La narrazione interattiva di Cardiff non è rappresentata su uno schermo, ma deriva dalla collisione con quello che c'è oltre lo schermo, quasi raggiungendo uno stato di sinestesia tale che non c'è più nessuna possibilità di scissione tra il mondo mediato e quello reale.

Nel 2010 l'Her Noise Archive è stato acquisito dal CRiSAP del London College of Communication dell'University of the Arts di Londra e, con i suoi oltre 60 video, 300 registrazioni audio, 40 libri e cataloghi e 250 fanzine e materiali digitali contenuti sul sito http://hernoise.org, ha ispirato ulteriori ricerche accademiche e pratiche sul femminismo e i sound studies oltre a eventi come Her Noise: Feminisms and the Sonic Symposium alla Tate Modern (2012) e il Sound::Gender::Feminism::Activism, con l'obiettivo di ampliare discussioni, ricerche e network. Nel 2019-2020 l'archivio è tornato in mostra alla South London Gallery, per ispirare una nuova generazione di studiose/i e artiste/i.

 

Bibliografia

A. Egoyan, ‘Janet Cardiff’, Bombmagazine, 79, April 2002 [accessed 01.09.2020].

H. Ingleton, ‘Her Noise: Identifying Feminist Strategies’, Reflections on Process in Sound, 1, Autumn 2012 [accessed 01.09.2020].

 

Sitografia

Christina Kubisch website, <http://www.christinakubisch.de/en/home> [accessed 01.09.2020].

Her Noise Archive, <http://hernoise.org> [accessed 01.09.2020].

Semiconductor website, <https://semiconductorfilms.com/> [accessed 1-09-2020].