5.5. Sperimentali italiane ‘fuori porta’: comunità immaginaria o da immaginare?

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Le poche pagine che seguono si interrogano se sia ravvisabile una ‘comunità’ di sperimentali italiane ‘fuori porta’. Esistono evidentemente personalità di artiste e creative sperimentali italiane che vivono all’estero il cui lavoro è approdato a un’attenzione, se non diffusa, quantomeno attestata in determinati settori. L’ipotesi qui sul campo mira piuttosto a una pluralità di professioniste del cinema e dell’audiovisivo che hanno trovato fuori dall’Italia continuità produttiva e riconoscimento, poco note in patria e talora anche tra loro. Il rapporto con la qualificazione di ‘sperimentali’ è da un lato plausibile in termini probabilistici, considerati i dati offerti dai monitoraggi di settore, dall’altro sollecitata da indizi, apparentemente casuali – in realtà non completamente – che hanno predisposto il terreno per la disposizione immaginativa. L’occasione di un primo momento di confronto al riguardo è stato offerta dalla composizione del panel Women within Italian film industries. Transits or transitions? Coordinato da Maria Grazia Fanchi (Fanchi, Barotzi, Tarantino, Polato), previsto nel quadro di Necs 2020, poi inabissatosi nel gran naufragio del Covid 19.

 

1. Parte 1: narrazioni

È stata un’amica e collega a mettermi in contatto con Chiara Cremaschi, affermando che secondo lei avremmo avuto molto da dirci. Innesco, una relazione sull’attrice Ester Elisha (ora passata anche alla regia), amica di Chiara e che aveva sollecitato in Chiara il progetto di docu-fiction. Chiara era intervenuta precedentemente all’edizione di FAScinA 2014, ma io quel giorno non c’ero. Abbiamo deciso di incontrarci al festival di Bergamo, città natale di Chiara che però vive a Parigi da molti anni, anche se mantiene salde le relazioni, tanto affettive quanto lavorative,con il capoluogo lombardo e in generale con il territorio limitrofo, per quanto il suo orizzonte – come afferma – si estenda a tutti i luoghi che la intercettano. All’inizio abbiamo parlato solo dei film del festival che, spesso separatamente, andavamo a vedere. Sono venuta a conoscenza in questo modo di un curriculum solido, con attestazioni ed esperienze lavorative significative.

My Home, in Libya (2018) di Martina Melilli è stato selezionato a Locarno. Nel circuito padovano delle sale è uscito solo in occasione di un festival cittadino e di una iniziativa universitaria. Martina mi ha contattata alcuni anni fa. Era tornata da poco a Legnaro (PD) da Bruxelles dove, da generazione Erasmus, era approdata anni prima, forse non con un progetto delineato ma certamente con una progettualità che andava definendosi. Mi ha parlato del suo lavoro, che toccava miei interessi e linee di ricerca. My Home stava allora per trovare le vie per la sua realizzazione. Martina ha condiviso anche altri suoi lavori, alcuni allora praticamente sconosciuti e che hanno poi trovato a loro volta le proprie strade.

Con Chiara [figg.1-4] e Martina [figg. 4-8], rispettivamente, si è consolidato poco a poco un rapporto fatto di collaborazioni ora occasionali ora più continuative, di conversazioni. Mi interessavano nelle due artiste e filmmaker, pur nella peculiarità degli approcci e dei lavori, la ricerca condotta sulla dimensione della memoria, la loro frequentazione e interrogazione degli archivi, la restituzione della materica concretezza dei materiali che entravano nel processo audiovisivo, la capacità di far dialogare innesti biografici e familiari con i contesti vivi del presente, i risvolti fortemente partecipativi e collaborativi. Martina e Chiara non si conoscevano, è accaduto per le giornate di studio e proiezioni Floating Memories, Back to the Present / Tracciati genealogici e memorie erratiche (Padova, 13-14 novembre 2019), promosse nell’ambito del progetto Travelling Identities, cui si appoggerà per gli sviluppi riguardanti la comunità delle filmmaker italiane ‘fuori porta’.

 

2. Parte II: altre narrazioni

Gender gap al cinema, fallito l’obiettivo 50|50 nel 2020 è la narrazione proposta da Alessandra Magliaro (2019) del seminario annuale sulla gender equality della scorsa edizione della Mostra del cinema di Venezia. Per l’appuntamento veneziano On Gender Equality and Inclusivity in the Film Industry, di questo settembre 2020, la ‘storia italiana’ trova sintesi nello sconfortato ‘che cosa non ha funzionato?’ con cui Iole Maria Giannattasio (per MIBACT, Direzione Generale Cinema e Audiovisivo e Italian statistics) suggella l’esposizione dei dati relativi al panorama nazionale, su cui pesa il darsi, in Italia, di una bassa autopropositività delle donne rispetto agli interventi e alle opportunità istituzionalmente predisposti.‘E pur si muove!’ potrebbe essere invece la linea narrativa suggerita da Susan Newman-Baudais (per Eurimages, Pan-European statistics) e certamente quella rivendicata dalla Biennale di Venezia per la propria circoscrizione.

Seppur qualcosa appaia muoversi e si intravvedano delle linee di controtendenza, il panorama europeo complessivo conferma un gender embalance che manca ancora una volta lo sfondamento del 30% delle regie al femminile (l’Italia sotto la media europea), conferma un trend di budget di finanziamento mediamente inferiore per le donne, malgrado l’affidabilità maggiore constatata. Impervia resta la scalata al lungometraggio di finzione e una sfida la continuità produttiva. Formati e declinazioni audiovisive ‘alternative’, stante lungo e fiction come termini di definizione particolarmente dirimenti nelle prassi distributive italiane, mantengono saldamente le posizioni come territori di incisiva frequentazione femminile.

 

3. Re-imagination

L’orizzonte narrativo sviluppabile dai monitoraggi è evidentemente più complesso di quanto qui riportabile, per altro da riassestare nel contesto pandemico. A interessare nello specifico è il persistente accento sull’ ‘interstizialità’ femminile (del resto associabile in generale ai soggetti in condizioni di subalternità) declinabile come marginalizzazione, secondo quella proporzione inversa tra compattezza – economica, politica sociale e culturale – del medium e spazio di agency femminile, così ineccepibilmente additata da Maria Grazia Fanchi, come riappropriazione espressiva (messa in rilievo da Hamid Naficy anche nel portato transnazionale), infine come deliberato posizionamento, sia questo anche strategico. Lungi dal porsi come mutuamente esclusive, piuttosto esposte agli assestamenti della loro coesistenza esperienziale, tali declinazioni sono cangianti e sensibili alle ottiche con cui sono inquadrate e se ne concepiscono le interazioni, da parte sia degli osservatori sia degli stessi soggetti.

La dimensione dell’interstizialità, il carattere ‘alternativo’ attribuito a certi formati, moduli narrativi e compositivi, materiali e prassi, se certamente non esauriscono il termine ‘sperimentale’vi entrano però in risonanza. Sul versante di genere, negli anni Settanta la stagione della FFT trova inscrizione nel pionieristico intervento in cui Laura Mulvey (1975) incitava a sbarazzarsi del piacere della narrazione classica/patriarcale mobilitando le donne a fruire e realizzare forme ‘altre’ di narrazione e di visione. Alcuni anni dopo la medesima Mulvey ritorna sul testo con Afterthoughts: non un disconoscimento, bensì una retractatio (come precisava Luisa Muraro per il suo L’ordine simbolico della madre in una lezione del 2005) vale a dire un ‘ritorno a’ per ri-pensare e ri-guardare da un’altra distanza, da lontano. Da questa lontananza possiamo assegnare la valenza fondativa di Piacere visivo e cinema narrativo, più che nei contenuti specifici, all’impulso generatore di un serrato dibattito che ha irrorato processi di consapevolezza anche là dove sia sfociato in altri lidi. Quello che in questa cornice torna oggi (qui e ora) a risuonare come attuale è l’orizzonte storicamente esperienziale della dimensione sperimentale: sollecitazione allo strappo e alla mutilazione inizialmente necessaria (il piacere) in Mulvey, ‘riserva’ da rigenerare nell’Europa e nell’Italia dei sistemi dominanti oggi. In un’Italia politicamente e culturalmente in affanno rispetto agli statuti delle professionalità intermittenti e dello spettacolo, in cui si aggrava il gap di genere (come di altre subalternità, nella pluralità delle combinazioni e variabili di pesi),sperimentale, esperienziale, internazionale diventano allora tre coordinate strategiche per poter supporre comunità di filmmakers ‘fuori porta’, che hanno varcato le frontiere italiane per poter ‘agire’ professionalità e creatività. Più o meno visibili a seconda degli osservatori da cui ci si affaccia, ora si raccordano le une alle altre da fili di empatia o progettualità, ora avanzano come navigatrici solitarie.

L’interazione di ottiche è favorevole all’emersione del fuori quadro nei singoli campi di visione e punti di osservazione. In una preminenza della postazione più funzionale a restituire il quadro d’insieme, possono sfuggire ‘le figurine’ che lo abitano, con i va e vieni propri delle necessità e dei desideri che permeano le biografie di ciascuna e che circolano invece nelle conversazioni, nei passaparola che tracciano affinità, discontinuità, relazioni, casualità disegnando e ridisegnando reti inconsapevoli. Del resto, è a tali assi di circolazione e comunicazioni che da sempre si costruiscono strategie di esistenza – e di resistenza – come gli studi sui saperi delle donne e sulle pratiche di opposizione dei subalterni hanno ampiamente insegnato (Guha 1982). Arrivata a dare un corpo alla comunità, definitisi i termini perché potesse essere immaginata, si trattava di raggiungerne le figure; subentrava qui l’esigenza di predisporre, più che mappature, una mappa quale oggetto materiale, ospitante e ospitale (Rossetto2019) sensibile alle tracce e ai segni delle donne che condividono tratti di esperienze e dove vettorialità e localizzazioni, colte all’altezza di persona, si saldassero a voci e corpi, che contano.

Il movimento è decollato nei modi di una staffetta,in forma deliberatamente a-sistemica, che vede Chiara Cremaschi (e, a monte,Micaela Veronesi) raccogliere il testimone, e Martina Melilli indicare alcune direzioni. Inaspettatamente, il passaggio è effettuato in fretta; sorprendentemente, senza garanzia alcuna, arrivano disponibilità a raccontarsi e a rispondere a domande che avrebbero potuto forse essere rigettate con fastidio. Mi piace pensare che le domande fossero, in qualche modo, da tempo attese. E allora, tu che mi racconti «Perchè altrove?», Quali sentimenti dall'altrove?… necessità, curiosità, affetti? rigenerazione, nostalgia, reindirizzamento di sguardo…? Il tuo altrove… fondamentalmente o impositivamente nomadico?, intermittente (un po' qua un po' là...) oppure sedentario (decisamente là)? E infine… Sperimentale, come abito su misura o modello che ti sta stretto?

Se ne uscirà una mappa, sarà la cartografia di una rete di relazioni, oltre che di informazioni, nel suo progressivo dipanarsi, includere, reagire, sottrarsi … dove i ‘buchi’– come i geografi ci hanno insegnato– non sono aree deserte ma – quando non funzionalmente ‘sgomberate’ (come accaduto per le terre dei Calmucchi e dei Cosacchi, steppe nelle mappe dell’impero russo; Farinelli 2009, p. 79) – sono invece promesse di immaginazioni future.

 

Bibliografia

F. Farinelli, La crisi della ragione cartografica, Torino, Einaudi, 2009.

R. Guha (a cura di ), Subaltern Studies 1 – Writings on South Asian History and Society, New Delhi, Oxford UP India, 1982.

A. Magliaro, ‘Gender gap al cinema, fallito l’obiettivo 50|50 nel 2020’, Ansa.it – lifestyle, 2 settembre 2019 <https://www.ansa.it/canale_lifestyle/notizie/societa_diritti/2019/09/02/gender-gap-al-cinema-fallito-lobiettivo-5050-nel-2020-_b5dfb596-d38f-4c59-926f-647c76b52ed2.html> [accessed 10.09.2020]

L. Mulvey, ‘Visual Pleasure and Narrative Cinema’, Screen, 16, Autumn 1975, pp. 6-18.

L. Mulvey, ‘Afterthoughts on “Visual Pleasure and Narrative Cinema” inspired by King Vidor’s Duel in the Sun (1946)’, Framework, 1981.

H. Naficy, An Accented Cinema: Exilic and Diasporic Filmmaking, Princeton, Princeton University Press, 2001.

T. Rossetto, Object-Oriented Cartography: Maps as Things, Oxon, Routledge, 2019.

La diretta del seminario On Gender Equality and Inclusivity in the Film Industry, su VPB CHANNEL, [accessed 10.09.2020].

Programma: <http://veniceproductionbridge.org/vpb-programme-2020/programme/seminar-gender-equality-and-inclusivity-film-industry> [accessed 10.09.2020].