Gli anni Cinquanta, come scrive De Tassis, erano stati quelli della ʻmutazioneʼ per un cinema italiano che non si accontentava più delle maggiorate e del fisico ʻfiammeggianteʼ di Lollobrigida, Loren o Pampanini. Lucia Bosé, una nuova Mangano ed Elsa Martinelli ne erano state le protagoniste, fino ai ruoli antonioniani e non solo di Monica Vitti. I corpi delle donne affiorano in primo piano come i loro desideri, invadendo gli spazi della piccola posta, le copertine dei rotocalchi, le pagine della cronaca. Ma saranno le ragazze nate nel decennio successivo a trovare nelle coetanee Jacqueline Sassard e Catherine Spaak (le ʻstraniereʼ alle quali era più facile affidare ruoli scomodi e sregolati) le figure in cui specchiarsi o grazie alle quali concepire il sogno, che non sarà solo tale, di un possibile e radicale cambiamento. Le loro ʻpersonaggeʼ metteranno in scena, tra la fine degli anni Cinquanta e per tutti i Sessanta, quelle aspirazioni e nuove immagini di sé, che cominciano a emergere in forte contrasto con una società che nella sua corsa verso la modernizzazione pretende di non scalfire i valori patriarcali.
«Catherine Spaak - Paola Pitagora. Due ʻbelleʼ a confronto», recita la copertina di Bolero Film nell’agosto del 1967, giustapponendo i primi piani delle giovani attrici. Nate entrambe nella prima metà degli anni Quaranta, parte della ʻprima generazioneʼ per la quale l’età, come scrive Capussotti, assumerà una «funzione nuova nella configurazione identitaria» (Capussotti 2004) agendo da elemento di rottura, hanno dato inizio alle loro carriere alla vigilia dei Sessanta seguendo percorsi diversi ma con vari punti di convergenza, dal loro impegno di cantautrici alla presenza in televisione. Le ʻpersonaggeʼ di Pitagora non sono spregiudicate e disinvolte come quelle di Spaak in I dolci inganni, Il sorpasso, La voglia matta, La calda vita, La noia o La Parmigiana; o in commedie balneari come Diciottenni al sole, in cui il fatto che Nicole sia una turista francese giustifica il bikini, il twist e i bagni integrali. Piuttosto, i ruoli di Pitagora occupano uno spazio ʻtra tradizione e contestazioneʼ, come titolava una rassegna recentemente dedicata all’attrice italiana. Ma è davvero così? L’appellativo di ʻfidanzata d’Italiaʼ che le viene assegnato per il ruolo di Lucia Mondella in I promessi sposi di Sandro Bolchi del 1967 [fig. 1], quello uno degli sceneggiati di maggiore successo (oltre diciotto milioni di spettatori), non ha forse condizionato questo giudizio?
«Non sono una Lucia sexy», titola TV Sorrisi e Canzoni nelle pagine dedicate allo sceneggiato che sta per andare in onda. Mentre Epoca pubblica un’intervista di Grazia Livi, che presenta un ritratto dell’attrice adatto al pubblico del rotocalco: «Nei ritagli di tempo cerca di leggere con intelligenza, ma a casaccio, Boris Vian, Thomas Mann, Dylan Thomas, oppure si occupa un po’ di pittura, in particolare dei pittori-pop, formidabili, oppure di Fontana, i cui quadri con i tagli la fanno addirittura ʻimpazzireʼ». «Ha dato un colpo di timone alla sua vita» scrive invece Grand Hotel nel marzo 1969, che pubblica in Galleria una foto di Paola firmata e racconta di come l’attrice sia finalmente riuscita a scrollarsi di dosso, respingendo non poche proposte, il ruolo «della vittima innocente della perfidia degli uomini e delle cose» conferitole dallo sceneggiato; ruolo che non sembra appartenerle del tutto: «Chi non ricorda infatti il lampo di malvagità e di follia che illuminava i suoi occhi in I pugni in tasca?».
In seguito Paola sarà Cinzia nel nuovo film di Comencini che le varrà un nastro d'argento, Senza sapere niente di lei (1969); un giallo, lo definisce il regista, che non intende però «perdere quei toni romantici» a lui tanto cari. Con una sceneggiatura firmata anche da Suso Cecchi d’Amico, più che un giallo potrebbe essere un noir all’italiana, e il personaggio di Cinzia la sua donna fatale. «Ha un carattere fiero, ribelle, al punto che per disdoro dei familiari, soprattutto dei cognati benpensanti, è apparsa nuda su una delle riviste cosiddette ʻper uominiʼ», leggiamo sul Corriere della sera del 14 dicembre 1968, e proseguendo: «come è lontana, questa cruda e moderna Cinzia dalla dolce e passiva Lucia dei televisivi Promessi sposi. “C'è soltanto un punto di contatto tra loro, osserva l’attrice, la volontà di non piegarsi a mezze misure”».
Abbiamo già esaminato in un altro scritto la figura di Giulia di I pugni in tasca, film che consacra Pitagora come attrice coprotagonista in un’opera destinata a segnare, nei difficili anni che vanno dalla congiuntura al Sessantotto, una cesura all’interno del cinema italiano, mostrando il suo essere figura embrionale rispetto alle ʻpersonaggeʼ dei successivi film bellocchiani. Difatti già qui Pitagora sprigiona una potenza femminile, antagonista e fatale rispetto al mondo della Legge, tutta riconducibile al materno. Quello che Agosti, montatore del film, interpreta come un dono da parte della sorella, lasciare morire Ale sancendo così la sua definitiva liberazione, appare piuttosto come l’esito di un’ incapacità a sottrarsi dall’ombra della madre, una madre alla quale, come scrive Sartori, non si può che ritornare attratti, con le parole di Muraro, dalla sua «magica forza». Novella Elettra, l’inquieta, instabile, immatura, sensuale, incestuosa Giulia diviene, nel film di Comencini e nelle parole dei critici, strana, nevrotica, complessa, contraddittoria, tormentata, viva, espressiva, ʻuccellinoʼ smarrito dal tenero mezzobusto: «Una contestatrice senza ideologia e senza consapevolezza, e quindi ancora più indifesa e sguarnita» (Pezzotta 2007); «Uno dei corpi più malleabili e instabili» del regista, «capace di passare dalla stasi alla frenesia, dall’apatia alle lacrime» (Scandola 2007).
Se le parole «non farai mai più una cosa così bella» con cui Bellocchio la congeda alla fine delle riprese, delle quali Paola traccia un piccolo diario nel suo Fiato d’artista, hanno il sapore di una profezia (l’attrice infatti non lavorerà più con il regista, e resterà ai margini del cinema d’autore), la sua presenza nel cinema popolare, dalla commedia al poliziesco, a volte anche con piccoli ruoli disegna figure femminili moderne, generose, incerte o ribelli. La commedia del periodo del boom economico ha esplorato in modo esemplare il divario tra richiesta di cambiamento e permanere delle norme patriarcali, tra discorso ufficiale sulla sessualità e i comportamenti di molti italiani; quella del dopo boom invece, come afferma Giacovelli, esplora la necessità dell’italiano medio «di adeguare anche la vita privata alle nuove posizioni politico-sociali raggiunte». Vivere liberamente la propria sessualità o avere la possibilità di divorziare appaiono ormai traguardi improrogabili, in una società permeata da nuovi modi di vivere e modelli di consumo. In Scusi, lei è favorevole o contrario?, regia di Alberto Sordi, spesso criticata per il protagonista adultero ma contrario al divorzio, Pitagora, una dei suoi figli, è una ragazza dedita al lavoro e prossima a un matrimonio che rischia di naufragare quando il futuro sposo, giornalista di sinistra, viene assunto da un giornale di destra. Sarà il commendatore padre a risolvere la faccenda, che è solo uno dei capitoli di un’opera che comunque evidenzia, certo sfiorando il grottesco, quanto il benessere possa pervadere ogni tipo di relazione e, quanto la libertà sessuale perfino tra soggetti del medesimo sesso sia ormai, malgrado le apparenze, un dato di fatto. Anche se solo negli anni Settanta arriveranno le leggi sul divorzio e sull’aborto (Paola Pitagora sarà protagonista di uno dei fotoromanzi di De Marchi sulla contraccezione: Il Segreto, 1975), sono gli anni Sessanta ad avviare i cambiamenti sociali e culturali che apriranno la strada alle riforme. Nella seconda metà del decennio e in quello successivo, da Policeman di Sergio Rossi a Bersaglio mobile di Corbucci, a film più dichiaratamente critici come Fermate il mondo... Voglio scendere fino a serie televisive quali A come Andromeda (tentativo della Rai di introdurre la fantascienza sugli schermi italiani) [figg. 4-5], le diverse ʻpersonaggeʼ di Pitagora conserveranno quella qualità da lei stessa evidenziata in Lucia Mondella, cioè il non cedere mai alle mezze misure.
Bibliografia
A. Fulvio, Roma vista controvento, Milano, Bompiani, 2015.
E. Capussotti, Gioventù perduta. Gli anni cinquanta dei giovani e del cinema in Italia, Firenze, Giunti, 2004.
A. Grasso, Storia della televisione italiana. I 50 anni della televisione, Milano, Garzanti, 2004.
A. Pezzotta, ‘Senza sapere niente di lei’, in Luigi Comencini. Il cinema e i film, a cura di A. Aprà, Venezia, Marsilio, 2007, pp. 175-176.
S. Piccone Stella, La prima generazione. Ragazzi e ragazze nel miracolo economico, Milano, Franco Angeli, 1993.
P. Pitagora, Fiato d'artista. Dieci anni a Piazza del Popolo, Palermo, Sellerio, 2001.
D. Sartori Ghirardini, ‘Con lo spirito materno’, in L’ombra della madre, a cura di Diotima, Napoli, Liguori, 2007, pp. 33-46.
A. Scandola, ‘Della sottrazione. Il lavoro di Comencini con le attrici’, in Luigi Comencini. Il cinema e i film, pp. 76-89.
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