Nota dei curatori*
Beatrice Libonati e Jan Minarik sono gli storici interpreti dei personaggi di Judith e di Blaubart nello spettacolo di Pina Bausch Blaubart. Beim Anhören einer Tonbandaufnahme von Béla Bartóks Oper “Herzog Blaubarts Burg” (‘Barbablù. Ascoltando una registrazione dell’opera di Béla Bartók “Il castello del duca Barbablù”). In occasione del convegno internazionale “Barbablù. Trasposizioni del mito nelle arti e nelle letterature” (Pisa, 9-11 ottobre 2019) sono stati intervistati da Elena Randi in videoconferenza con traduzione dal e verso il tedesco di Serena Grazzini. Questa sezione contiene l’intervista e il testo di presentazione di Elena Randi. I curatori ringraziano sentitamente Beatrice Libonati, Jan Minarik e Elena Randi per aver acconsentito alla pubblicazione dei testi in questa galleria.
Blaubart. Beim Anhören einer Tonbandaufnahme von Béla Bartóks Oper “Herzog Blaubarts Burg” (Barbablù. Ascoltando una registrazione dell’opera di Béla Bartók “Il castello del duca Barbablù”) di Pina Bausch viene messo in scena per la prima volta l’8 gennaio 1977 al Tanztheater Wuppertal, la sede in cui la compagnia fondata dall’artista tedesca nel 1973 lavora da decenni. Le scenografie e i costumi sono di Rolf Borzik, gli interpreti principali sono Jan Minarik e Marlis Alt. Mentre il primo continua a interpretare il lavoro per molti anni, la parte femminile principale passa a varie danzatrici fino a quando, a partire dal 1979, Pina Bausch la assegna a Beatrice Libonati.
Come esplicitato nel sottotitolo della pièce, la musica è quella di Herzog Blaubarts Burg, l’opera di Bartók su libretto di Béla Balázs in traduzione tedesca. È noto che Balázs si era a sua volta ispirato – tra molto altro – al racconto La Barbe bleue di Charles Perrault e al dramma Ariane et Barbe-Bleue di Maurice Maeterlinck. Emessa da un registratore, la musica è continuamente interrotta e fatta ripartire da Jan Minarik-Barbablù, che spesso fa riavvolgere, almeno parzialmente, il nastro magnetico. In tal modo la musica risulta spezzata, quasi a ripetere, a livello acustico, l’azione omicida compiuta da Barbablù che fa a pezzi le proprie mogli. Questo meccanismo di interruzioni e riprese continue della musica fa sì che lo spettacolo sia molto più lungo dell’opera di Bartók e Balázs: se la durata di quest’ultima è di circa un’ora, quella del Blaubart bauschiano arriva fino a circa un’ora e quaranta.
Oltre ai due protagonisti, sono presenti in scena una dozzina di danzatori e altrettante danzatrici, che formano a loro volta delle coppie, forse proiezioni della coppia principale, di cui ripetono i movimenti e i tic, sia pure in momenti diversi. I personaggi si trovano in un salone che ha le pareti e i vetri delle finestre logori; il pavimento è coperto di foglie secche, quasi a voler suggerire che si è in presenza di una giungla arida e desolata.
Del Blaubart della Bausch sono state date molte interpretazioni. Per quanto diverse tra loro, esse sono accomunate dall’attenzione rivolta principalmente all’aspetto contenutistico: il sadomasochismo della pièce, il conflitto maschio-femmina, l’esistenza come prigione dalla quale si è oppressi, etc. In effetti, ciò che vediamo – ciò che non possiamo non vedere – sono uomini e donne che si affrontano all’interno di uno spazio chiuso, nel quale compiono azioni selvagge e spietate: si inseguono, consumano rapporti sessuali violenti, sbattono contro i muri, si frustano. L’insistenza della critica su questo aspetto ha fatto passare in secondo piano lo studio della struttura, della forma, dell’architettura spazio-motoria, benché esse risultino quanto mai significative. Blaubart è, infatti, uno spettacolo-ponte, in cui cominciano a delinearsi le modalità costruttive tipiche dei lavori successivi, ma che conserva ancora qualche aspetto degli eventi scenici antecedenti.
Blaubart è un curioso mescolamento di almeno tre diverse tipologie di scena. Alcune hanno l’aspetto di essere state costruite o elaborate dai danzatori sulla base di domande/temi proposti loro dalla Bausch, secondo il tipico metodo compositivo degli spettacoli più tardi. Altre presentano un taglio più ‘teatrale’ e sembrano seguire un plot (quello di Barbablù, appunto); a tal proposito si consideri che in quello stesso periodo Pina Bausch crea un Macbeth, intitolato Er nimmt sie an der Hand und führt sie in das Schloss, die anderen folgen (La prende per mano e la porta nel suo castello, gli altri seguono), uno spettacolo nel quale vi sono anche attori e si parla parecchio. Infine altre parti (peraltro brevi) sono più propriamente danzate, e ricordano le modalità cinetiche di coreografie come l’Orfeo ed Euridice basata sull’opera di Gluck e Calzabigi, e Le Sacre du printemps (La sagra della primavera) su musica di Igor Stravinskij, entrambe del 1975. Blaubart, insomma, dimostra come la Bausch sia in piena fase di ricerca. Non sembra pertanto sbagliato affermare che, sebbene non ‘strutturato’ come Kontakthof (1980) o Nelken (1982), Blaubart rappresenta uno snodo fondamentale per intendere la poetica della Bausch e in particolare le riflessioni che sta compiendo in quel momento così straordinariamente creativo.
In questa ricerca hanno un peso importante, se non fondamentale, almeno due persone: da un lato lo scenografo Rolf Borzik, e dall’altro l’interprete principale Jan Minarik, che discute moltissimo con Pina Bausch anche fuori dalle prove («Pina, Rolf ed io» – mi ha raccontato Minarik alcuni anni fa – «ci trovavamo spesso a un ristorante spagnolo prima o dopo le prove e discutevamo del lavoro. Siccome le tovaglie erano di carta, di quando in quando Rolf ci disegnava sopra le sue proposte di scenografia»). Concretamente, Jan Minarik alle prove alimenta il processo ideativo, è propositivo, iper-creativo. Non intendo incrinare il mito di Pina Bausch, che ha letteralmente rivoluzionato il modo di pensare la danza, ma sospetto che senza di lui quelle straordinarie creazioni non sarebbero mai nate, almeno in quella forma particolare.
Jan Minarik non si limitava a fare le prove, ma era sempre a conoscenza di quel che facevano gli altri interpreti, e osservava costantemente il lavoro come da una prospettiva esterna. Certamente anche lui rispondeva alle domande/temi durante le répétitions, ma allo stesso tempo prestava grande attenzione alle risposte e alle reazioni degli altri. Per certi spettacoli Minarik non ha quasi fatto prove, restando costantemente seduto ad osservare. Così è andata, per esempio, in Walzer, nel 1982: solo alla fine, poco prima del debutto, Pina Bausch gli ha chiesto semplicemente di fare quel che riteneva giusto. Si potrebbe quasi dire che Minarik – artista di grande esperienza, che, per esempio, aveva già interpretato la Morte in Der grüne Tisch e l’Elegante in Big City di Kurt Jooss – abbia agito, di fatto, come un ‘secondo regista’.
Affermare che è stato una pedina fondamentale nelle creazioni bauschiane, e quindi non solo in Blaubart, non è certo sovrastimare il suo contributo, nonostante lui tenda a sottovalutare la sua incidenza: oltre a creare la propria parte e ad osservare gli altri interpreti, a mio parere ha svolto un ruolo non irrilevante nell’ideazione e nella messa a punto del metodo creativo.
Attualmente è impegnato a Wuppertal a rimettere in scena il Blaubart, alla cui realizzazione partecipa anche Beatrice Libonati. Più giovane di Minarik, la danzatrice è arrivata al Tanztheater Wuppertal qualche anno dopo di lui, dopo aver lavorato nella compagnia di Susanne Linke. Dal 1978 al 2006 ha fatto parte della compagnia di Pina Bausch partecipando alla creazione di numerosissimi spettacoli. Nel 2000 ha concluso la lunga preparazione di Kontakthof, rimontato insieme a Josephine Ann Endicott per un gruppo di persone over-65 che non avevano mai danzato prima, e lo spettacolo – formidabile – è stato a lungo in tournée. Per anni ha sostenuto la parte femminile principale di Blaubart, quella di Judith; ed è lei nella versione trasmessa da Rai 1 qualche anno dopo la prima.