6.7. Il corpo di dolore come forma di resistenza nell’arte di Regina José Galindo

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Terra fertile, ctonia, madre, luogo geografico dove affondare le radici o essere estirpati.Così, Raíces(2015) è la performance proposta da Regina José Galindo nella giornata europea sull’immigrazione, in cui l’artista si abbarbica per ore con il suo corpo nudo ai piedi del rizoma di un albero dell’Orto Botanico di Palermo,affondando gli arti nella profondità del terriccio per celebrare un rituale di fusione uomo-natura,avente lo scopo di innescare una riflessione sul rapporto con la terra, le origini, lo sradicamento [fig. 1].

La terra, elemento organicoe simbolico, è infatti il cuore pulsante dell’intero lavoro di Galindo, che scandaglia il concetto di identità da un’ottica femminista, postcoloniale e intersezionale, evidenziando per tal via la correlazione tra genere, razza e classe sociale.

 

1. Performance e intersezionalità

Regina si afferma nella scena internazionale con il video sperimentale Himenoplastia (2005),grazie al quale vince il Leone d’oro alla Biennale di Venezia [fig. 2]. Il video è incentrato sulla ricostruzione chirurgica dell’imene dell’artista, che sceglie di sottoporsi a una crudele operazione per denunciare gli assurdi dettami del patriarcato, secondo cui la verginità è il diktat che ogni donna deve ossequiare per essere considerata rispettabile.Tuttavia, a essere chiamato in causa da Galindo non è il patriarcatoin senso lato, bensìlo specifico regime di potere patriarcale del Guatamemala, propugnato in primis da un militarismo che esercita una sistematica violenza sulle donne, in particolare sulle donne indigene, secolarmente vessate da un passato coloniale.

Per comprendere appieno le implicazioni del lavoro dell’artista, quindi, è necessario focalizzarne il contesto storico di appartenenza. Regina nasce nel 1974 a Città del Guatemala, nel mezzo di una guerra civile durata per oltre trent’anni; una guerrain cui il governo, oltre a compiere indicibili violazioni dei diritti umani, ha patrocinato il genocidio della popolazione autoctona. Le principali vittime di questo sterminio sono state le donne, sottoposte a regolari torture dai membri dell’esercito, i quali si sono accaniti soprattutto sulle donne in stato interessante, abusandole ricorsivamente con lo scopodi causarne l’aborto, la sterilità, la morte. Con il benestare del governo, dunque, lo stupro è stato impiegato come metodica arma di distruzione della specie indigena.Il fatto che simili crimini di guerra non siano stati sanzionati dopo il 1996, anno in cui si registra la fine del conflitto, ha concorso ad alimentare la cultura patriarcale del Guatemala, che ha mantenuto lo status quo continuando a lasciare impuniti la maggioranza degli uomini abusanti. Soltanto nel 2008, difatti, è stata approvata una legge contro il femminicidio e la violenza sulle donne, una legge che purtroppo non ha avuto reali ricadute nella prassi. Ne consegue che il Guatemala oggi è tra i paesi al mondo dove si annovera un elevatissimo tasso quotidiano di violenze, stupri e femminicidi.

Un siffatto quadro storico è la chiave interpretativa privilegiata per accostarci all’opera di Regina José Galindo, la cui arte è unatto radicale di resistenza all’aberrante normalizzazione della violenza sulle donne guatemalteche.

Medium di questa resistenza è il corpo dell’artista, che incarna la sofferenza degli oppressi.

È il caso,per esempio, del lavoro Eldolor en un pañuelo (1999), in cui Regina giace come in crocesu un letto posto verticalmente: ha mani e piedi legatiall’estremità della branda, occhi coperti da una benda e il corpo totalmente nudo. La superficie della sua pelle diviene lo schermo sul quale si riflettono pagine di cronaca selezionate da quotidiani guatemaltechi aventi per tema la violenza di genere. L’effetto perturbante della performance è dunque mobilitato dai fogli stampa decontestualizzati e ingigantiti, sicché lo spettatore è in grado di leggere titoli come: ‘Treintaviolaciones en sòlodosmeses’, ‘Machismo’, ‘Lapidan a mujer’,‘Víctimas del sexo’; parole che compaiono per pochi secondi sul derma di Regina ma che lasciano un segno nella memoria spettatoriale [figg. 3-4].

Il letto come luogo di contenzione è uno dei leitmotiv della produzione di Galindo. Esso, invero,è centrale anche in Mientras, ellossiguenlibres (2007), in cui Regina rimane in posizione supina su un materasso per ore,ancorata alla rete di ferro per mezzo di cordoni ombelicali [fig. 5]. Quest’ultimi alludono sia alla gravidanza dell’artista sia alla modalità con cui i soldati usavano legarele donne autoctone incinte per violentarle sino a provocarne l’aborto.Regina desumetali testimonianze di guerra dalla pubblicazione degli atti del processo contro il capo di stato Efrain Ríos Montt. Si tratta di una lettura di capitale importanza, poiché ha come esito l’immedesimazione totale dell’artista nella ferocia del dolore provato dai Maya e dagli Indios, un’afflizione che lei, appartenendo alla borghesia ladina, ha vissuto solo indirettamente. Così, Regina ne La Verdad (2013) legge dinnanzi a una platea alcune testimonianze dei sopravvissuti, e per assorbire la loro pena e vivificare sulla scena laforza di simili persone che hanno avuto il coraggio di parlare, si fa iniettare ogni dieci minuti un anesteticonella bocca per mezzo di una siringa [fig. 6]. Malgrado la crescente difficoltà ad articolare coerentemente il linguaggio, Regina continua imperterrita a leggere i racconti delle torture subite dalla popolazioneIndios e Maya, distillando dalle sue labbra gonfie l’orrore di una verità nella quale pulsa la logica del campo di sterminio, logica che, notano Montani e Agamben, si rinnova ricorsivamente negli spazi fisici e giuridici dove il biopotere fa vedere il suo lato mortifero.

È invece una performance di riappropriazione dello spazio urbano ¿Quiénpuede borrar lashuellas? (2003), in cui Regina,per esprimere il suo dissenso alla candidatura presidenziale dell’efferato Ríos Montt, percorre il tragitto che raccorda la Corte Costituzionale al Palazzo Nazionale del Guatemala, luoghi simbolici del potere politico, immergendo con metodicità i piedi scalzi in una bacinella contente sangue umano; un gesto atto a marchiare il suolo cittadino conimpronte scarlatte che visualizzano il sangue versato delle vittime [fig. 7].

La storia malata del Guatemalae dei suoi abusi sistematici alle donne è anche al centro del lavoro Perra (2005), nel quale la Nostras’incide la coscia con un coltelloscrivendovi, appunto,Perra, cioè cagna. È un’azione di denuncia volta a ricordare la moltitudine di corpi femminili che sono stati torturati con temperini o rasoi [fig. 8]. Perra è quindi parola incarnata, che trova nel sangue dell’artista la catarsi, sicché l’insulto sessista implicito al significato del lemma si trasforma nella sua antitesi, divenendo un atto di ribellione.

 

 

2. Galindo e i topoi della Body Art

Dal breve excursus fin qui tracciato è evidente come il lavoro di Galindo sia intriso di influenze mutuate dalla Body Art femminiledellaseconda metà del Novecento.

Tra le tante figure che hanno ispirato Regina, infatti, è percepibile distintamentel’influsso di Marina Abramovic, che ante litteram sperimenta in scena i limiti fisici e mentali del suo corpo. La ‘Grandmother of performance art’ inoltre è solita impiegare nelle sue azioni un vasto campionario di oggetti, trai cui ricordiamo il rasoio che usa in Lips of Thomas(1975) per disegnareuna stella nel suo ventre. Galindo sembra accostarsi pure all’opera di Gina Pane, la quale in Azione sentimentale (1973) si ferisce la mano con una lama, gesto compiuto dopo aver conficcato nel suo braccio spine di rosa.E ancora, nell’arte di Regina è palpabilela eco di Ana Mendieta, di cui riprende sia ilrapporto di simbiosi panica con la natura sia la lotta sull’identità di genere, perorata dalla Mendietasin da Rape scene (1973). È anche possibile individuare punti di tangenza tra il lavoro di Galindo ela Carnal Art di Orlan, performer avvezza a leggere brani di Artaud e Kristeva in anestesia locale, mentre si sottopone a operazioni chirurgiche per riconfigurare l’ideale dell’Io.

Ne deriva chela figuratività artistica di Regina è plasmata dai topoi fondamentali del linguaggio della Body Art. Tra questi, pertanto, è necessario fare riferimento sia al ruolo attivo dello spettatore, il quale partecipa empaticamente al dolore dell’artista, sia alla caducità consustanziale all’evento performativo che, se non fosse per la riproducibilità tecnica, brucerebbe nell’hic et nunc spazio-temporale. Sono infatti le fotografie e i video a eternare le azioni estreme di Galindo, onde lo statuto delle sue pratiche performativeva indagato, come suggerisce Adorno, nei margini dell’ambiguo ossimoro: «durata del transitorio».

E sempre restando nello specifico della Body Art, non è possibile non sottolineare proprio ciò di cui essa stessa si sostanzia, vale a direl’esibizione del corpo di dolore. Galindo, difatti,usa il corpo come una superficie da umiliare, scarificare e vessare per dare vita sulla scena ad artaudiani spettacoli della crudeltà, nei quali si sottopone a estenuanti training fisico-gestuali.

Ma qual è la peculiarità saliente che differenza l’opera di Regina da quella delle artiste sperimentali sopracitate? La sua peculiarità è sicuramente da ricercare nella modalità di ostensione di un corpoche soffre e si offre come veicolo di incarnazione dell’altro, tenendo ben presente che l’alterità a cui si riferisce Galindo non è da intendersi in senso genericoma è, al contrario,un’identità etnica e di genere specifica: quella delle donne guatemalteche, delle quali Regina incorpora il grido di dolore.

L’originalità di Regina José Galindo, allora, è quella di porsi come corpo sociale capace di sollecitare tramite la sua arte un senso comune, sicché le violenze, i femminicidi e lo sterminio delle minoranze indigene del Guatemala possano essere percepite da tutti come sofferenza della razza umana.

 

 

Bibliografia

G. Zaza, Regina JosèGalindo, Rimini, NFC Stampa, 2018.

D. Taylor, Performance, Durham and London, Duke UniversityPress, 2016.

B. Hooks,Yearning: race, gender and cultural politics, Boston, South End press, 1999.