Alessandro Giammei, Nell’officina del nonsense di Toti Scialoja. Topi, toponimi, tropi, cronotopi

di

     
Categorie



Questa pagina fa parte di:

 

  copertina

Per i tipi del Verri, è uscito nel 2014 lo studio di Alessandro Giammei Nell’officina del nonsense di Toti Scialoja. Topi, toponimi, tropi, cronotopi, risultato dalla rielaborazione della tesi di laurea dell’autore. Lo studio è apparso subito meritevole, tanto da essere insignito del prestigioso Edinburgh Gadda Prize – Novecento in saggio (edizione 2015), istituito dall’Università di Edimburgo. Il libro ricostruisce accuratamente la storia culturale della produzione poetica di Toti Scialoja (dalle rime zoomorfe ai poemi in prosa, agli ultimi componimenti), nel quadro di una storia del nonsense italiano, rifiutando una volta per tutte la presunzione di Tomasi di Lampedusa che quella italiana sia una letteratura condannata alla serietà (p. 11). Centrale, e senz’altro innovativo rispetto alla bibliografia esistente, è lo studio della biblioteca dell’autore a via di Santa Maria in Monticelli a Roma. Il libro è ispirato, direi addirittura nutrito anche dalle prime esperienze di Giammei come insegnante di italiano a studenti principianti presso la New York University, e ancora prima presso la sede romana del Dartmouth College – oggi Giammei insegna letteratura italiana a Princeton – testimonianza dell’emergere di una nuova coscienza linguistica, «un’idiomatica fanciullezza» (pp. 8-9). Questo libro sfrutta la sensibilità specialissima del suo autore per i confini delle possibilità espressive dell’italiano, verificate sull’opera di Toti Scialoja, un autore che aveva cominciato la propria esplorazione metalinguistica proprio durante e attraverso un’esperienza di esilio linguistico all’estero, precisamente a Parigi.

Grazie alla sua penna veloce e accattivante, Giammei conduce il lettore con agio attraverso la fine e ricchissima analisi dei testi, la tessitura di rapporti intertestuali (Montale, Kafka, Landolfi, Leopardi, addirittura Caterina da Siena), filologici e filosofici (Merleau-Ponty, Nietzsche), la ricostruzione di importanti reti culturali (la s-fortuna del nonsense di lingua inglese in Italia, sia sul piano linguistico che illustrativo, i circoli letterari e artistici, l’amicizia che lega Toti a Pasolini). Giammei fa cogliere, forse per la prima volta, la misura provocatoria del lavoro di Scialoja sulla lingua, la rivendicazione impertinente del senso grammaticale e delle parentele fra le parole, cioè del non-senso, contro il buon senso, il senso comune, il conosciuto e l’ovvio, ma soprattutto la «congenita natura anti-autoritaria» (p. 31), l’intrinseca devianza di queste produzione letteraria. Questa portata demistificatoria spiega il rifiuto italiano della tradizione nonsensical inglese fino almeno agli anni Sessanta (non senza vere e proprie mortificazioni degli originali attraverso traduzioni-tradimento, come nel caso di Alice nel paese delle meraviglie), ma anche la scarsa fortuna di questa poesia nel canone letterario, fino ad oggi.

L’ultimo capitolo del libro, dedicato alla genesi dei disegni con cui Scialoja illustrava i suoi versi, è interessante tanto per la novità dell’indagine quanto dal punto di vista metodologico.

  Toti Sialoja, L’istrice attrice illustre

Si tratta, infatti, di immagini che non si limitano ad illustrare il testo, ma ne giustificano e saldano il non-senso, forzando il lettore a ‘prendere sul serio’ il gioco linguistico. I primi editori di Scialoja sacrificarono le illustrazioni, nel tentativo di presentare Scialoja come un autore pienamente serio; invece, come Giammei argomenta, le immagini garantiscono la leggibilità del testo. Inoltre, Giammei ricostruisce una significativa genealogia delle illustrazioni di Scialoja per Una vespa! Che spavento, Amato topino caro e altre raccolte, ispirate da analoghe immagini di Edward Lear e Grandville, ma sempre risemantizzate e ricollocate originalmente da Scialoja nel proprio inconfondibile immaginario. Vista l’intimità tra il modello, il disegno di Scialoja e i suoi versi viene da chiedersi – e questa è forse l’unica domanda che esaustivo libro di Giammei lascia aperta – se l’origine del nonsense scialojano non sia anche figurativa, oltre che linguistica: cioè, se l’immagine sia la causa prima del verso, invece del contrario.

Così riletto, contestualizzato e valorizzato, lo Scialoja poeta sfugge alla tradizionale immagine di scrittore innocente – «un poeta leggerissimo, da non prendere alla leggera», lo definisce Giammei (p. 59) – , tanto da essere inquadrato nella cosiddetta ‘letteratura per l’infanzia’, e si ricongiunge così alla giusta fama dello Scialoja pittore, già celebrato in patria e all’estero.