4.3. Anna Lajolo. La voce in un coro

di

     

Il cinema underground europeo sta tentando di organizzare la propria

distribuzione internazionale, tenendo presenti i principi di autonomia e

libertà che lo oppongono al cinema commerciale. 

Quei principi  rappresentano la sua ideologia fondamentale,

cioè non farsi strumento di un sistema,

non adattarsi a un gusto e a un consumo.

Anna Lajolo

 

1. Contesto e profilo

Cinema underground, sotterraneo; fisiologicamente indipendente e quindi non ascrivibile ai circuiti ufficiali della visibilità.

‘Commerciale’ era infatti un termine che stonava; non piaceva a nessuno dei cineasti confluiti, nel novembre del 1968, a Monaco di Baviera, per il primo convegno del cinema indipendente europeo: sei giorni di taglio festivaliero, con discussioni e proiezioni quotidiane, dove «i rappresentanti delle cooperative e gruppi dei diversi paesi hanno discusso la possibilità di creare un centro europeo, una supercooperativa di distribuzione» a favore della circolazione di «film meno richiesti, ma non meno importanti».

È Anna Lajolo, a cui appartengono il virgolettato e la citazione di apertura, a sintetizzare in un articolo intitolato Il cinema sotterraneo europeo alla ricerca di un’intesa – pubblicato su «L’Unità» il 22 novembre 1968 – quanto esposto in quella occasione dai filmmaker italiani, intervenuti al grande raduno di Monaco in rappresentanza della propria struttura di appartenenza, la Cooperativa Cinema Indipendente, CCI, fondata a Napoli l’anno precedente e a sua volta parte di un contesto comunitario più ampio. Nell’arco degli anni Sessanta, infatti, sulla scia di una controcultura libera, anarchica e rivoluzionaria – già affermatasi negli Stati Uniti nel decennio precedente –, nel continente europeo, Italia compresa, aveva iniziato a diffondersi a macchia d’olio una «internazionale poetica e protestataria» – come avrebbe potuto definirla Gianni Toti (l’espressione è sua ed è stata da lui usata nel 1967 in riferimento alla diffusione del fenomeno della poesia sotterranea) – che univa esigenze anticonformiste e antisistema in ambito letterario, teatrale, visivo e, appunto, anche cinematografico e audiovisivo.

Anna Lajolo rientra appieno nel quadro appena delineato ed è testimone diretta di quelle giornate e di quel «cine ma», per dirla con Baruchello, o cinema off, a evidenziare la lontananza dal sistema consumistico, o «anti-cinema», nella visione più radicale di Guido Lombardi, suo compagno di vita e lavoro, con cui a Monaco presenta Sviluppo N. 2 – quest’ultima informazione non si ricava dall’articolo citato, ma da una testimonianza dello stesso Lombardi raccontata in occasione di un incontro-dibattito avvenuto nell’estate del 1997, nel corso dell’Overdose Fiction Festival di Roma (e pubblicata da Marco Deseriis nel luglio del 1997, ancora una volta su «L’Unità»).

Comunque lo si voglia definire, munita di macchina da scrivere e da presa, Anna Lajolo abbraccia e mette in pratica gli ideali e le utopie di quel cinema indipendente nella seconda metà degli anni Sessanta, quando comincia a collaborare con «L’Unità» per scriverne a proposito e a farsi conoscere come filmmaker, per quanto in qualità di co-autrice e co-regista [fig. 1].

All’epoca era l’unica firma femminile della testata giornalistica impegnata sull’argomento e tra le prime cineaste di una generazione pionieristica orientata a muoversi tra arte, militanza e vita.

Nata a Torino negli anni Trenta e con alle spalle un’attività lavorativa che l’ha vista occupata per cinque anni al servizio meccanografico della FIAT, Anna Lajolo esordisce nella cinematografia sotterranea a Roma, città dove si trasferisce nel 1967. Le prime produzioni ruotano intorno allo storico Filmstudio 70 e alla Cooperativa Cinema Indipendente, ma soprattutto, Anna Lajolo è, in Italia, tra le pioniere del video e fonda insieme a Guido Lombardi e Alfredo Leonardi il collettivo Videobase (1971-1978) in cui vengono esplorate e messe al servizio della cosiddetta controinformazione le potenzialità del dispositivo elettronico, portate avanti anche nel collettivo Altrementi, fondato con Gianfranco Baruchello (1985). In ogni caso, in tutta la sua carriera i media audiovisivi sono visti come strumenti di decostruzione critica dell’immagine e danno luogo a film di sperimentazione, video di stampo militante [fig. 2] e documentari socio-antropologici e anticonformisti condivisi di volta in volta con i compagni di viaggio.

La figura di Anna Lajolo è studiata, infatti, principalmente come parte di una coppia (Lajolo-Lombardi) o di un gruppo, perché la sua storia è innegabilmente co-autoriale. Detto ciò, nel dedicare questa ricerca a un versante meno noto della sua carriera, quello giornalistico relativo ai reportage di cronaca cinematografica, si tenta, invece, di mettere in risalto la sua personale autodeterminazione critica. Un’autodeterminazione che non è affatto sinonimo di individualismo, anzi; proprio perché decisa, critica e chiara, insieme a una presa di posizione di taglio alternativo, manifesta una visione ‘attiva’, che ha per punti cruciali – sostenuti peraltro con una certa risolutezza – l’attenzione prevalente al rapporto con la struttura linguistica delle immagini in movimento, il confronto con il reale [fig. 3] e progressivamente anche il rifiuto di un limitante solipsismo autoriale, nei cui tratti appaiono evidenti le ragioni del dialogo con Lombardi e i collettivi con cui ha co-impostato e condiviso il lessico.

 

2. Due esempi

Nell’ambito dell’attività produttiva audiovisiva, l’aspetto rappresentato dall’interesse per il binomio linguaggio-realtà, a partire soprattutto dagli anni Settanta, sarà sempre più centrale. Prova ne sono le registrazioni delle assemblee degli studenti (dal 1971) e delle lotte di quartiere (dal 1972), realizzate non più in pellicola ma con una videocamera che ‘si schiera’ e diventa «supporto alla lotta» stessa, come racconteranno in seguito Lajolo, Leonardi e Lombardi in un testo scritto a sei mani divenuto storico – pubblicato dalla Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro, in un quaderno del 1973 altrettanto storico.

È interessante però notare come anche gli articoli da lei scritti per «L’Unità» contengano delle aree argomentative idonee a far emergere, attraverso la scelta dei contenuti da raccontare, l’importanza del linguaggio e della realtà. Se ne ha già una dimostrazione nell’articolo citato, dove, premettendo l’impossibilità di entrare nel dettaglio di tutti gli autori e dei relativi film «perché erano molti e ogni autore ha un suo modo di intendere il cinema», Lajolo prende posizione; compie una scelta di campo in cui decide cosa affrontare, rivelando, in filigrana, un’analogia tra il pensiero dei filmmaker presi in considerazione e il suo. Scrive Lajolo:

Loffredo ha costruito il suo divertente Court bouillon montando una pellicola destinata al macero e sequenze girate da lui stesso in un fantasioso ironico collage, dove personaggi e situazioni grottesche deridono spesso i vari cerimoniali ufficiali o privati; mentre il materiale di Sviluppo N. 2 di Lombardi, che si inserisce nella ricerca linguistica sul mezzo cinematografico, esaspera l’occhio dello spettatore, ormai abituato a ricevere passivamente la immagine o la storia, in un continuo non darsi della realtà. Her di Bacigalupo, pezzo da inserire in un film collettivo che la CCI sta portando a termine, e A Corpo di Lombardi toccano tematiche di attualità politica e di troppo possibile violenza sociale, spesso soltanto accennate ma che obbligano lo spettatore ad intervenire con la sua partecipazione attiva. Leonardi ha portato a Monaco il suo Libro di Santi di Roma eterna dove l’autore e i suoi personaggi vivono il loro presente risolto in una libera semplicità figurale; per finire, De Bernardi con i suoi film a schermo multiplo, come II Bestiario, produce nello spettatore una specie di ipnosi dove la violenza e la sofferenza sviluppano un arazzo vivente colorato.

Come premesso, la scrittura da cronista cinematografica, oltre a essere fortemente unita alla visione comunitaria da lei raccontata, nonché orientata verso quelle forme di decostruzione narrativo-sintattica e di riflessione verso il complesso e «scottante» filone della realtà [fig. 4], si fa interprete anche di una postura critica anti-individualistica nei riguardi del fronte autoriale. A questo proposito, non è irrilevante il fatto che Anna Lajolo non si esprima mai in prima persona, ma in linea con i principi anti-individualistici e con un profilo «misurato e discreto» – il virgolettato è di Farah Polato – parli o in forma impersonale o a nome dell’intero gruppo dei cineasti indipendenti.

A conferma di questa impostazione metodologica ed etica, si citano alcune righe tratte da Il cinema indipendente italiano in Venezuela, articolo pubblicato su «L’Unità» il 25 luglio 1970, in occasione di una rassegna di film della Cooperativa Cinema Indipendente ospitata in più contesti venezuelani, nel corso della quale è emerso anche un fecondo dibattito pubblico.

L’esperienza di questo contatto tra i film della Cooperativa Cinema Indipendente e un pubblico dell’America Latina c’è sembrata molto positiva anche se a volte la discussione ha rischiato di arenarsi per gli inutili schematismi di certo pubblico specializzato e ha indugiato un po’ troppo a lungo sulle posizioni dello spettatore tipico, che alienato dal consumo quotidiano di ogni genere di spettacolo tende a negarsi come forma integrante nel rapporto tra se, l’opera che vede, gli autori, il mezzo di comunicazione e il processo che ha preceduto il tutto, pretendendo un messaggio già compiuto da portarsi a casa. […] Le risposte agli interrogativi, la verifica reciproca sono il risultato positivo della rassegna. Com’è apparso dall’interviste con i giornali […] e dal dialogo aperto con un pubblico di diversi livelli, la cooperativa ha dimostrato con chiarezza la sua tesi che il cinema di opposizione non può realizzarsi in un prodotto confezionato all’interno dall’industria capitalista e con urgenze individualistiche d’autore, ma solo attraverso un processo alla cui base stanno l’uomo, la sua ideologia e il suo attuarsi nella coerenza.

In questa sede non è possibile addentrarsi ulteriormente nell’attività giornalistica di Anna Lajolo. Dagli articoli rintracciati e da quanto è emerso dalle citazioni, sarebbe però meritevole di un approfondimento, che peraltro andrebbe a colmare una lacuna negli studi sul suo profilo.

 

Bibliografia

M. Bacigalupo (a cura di), ‘Il film sperimentale’, Bianco e Nero, n. 5/8, 1974, p. 4.

M. Deseriis, ‘Dal Super8 al Cyber8. Il regista alternativo oggi «naviga» in rete: così cambia il cinema militante’, L’Unità due, 7 luglio 1997, p. 2.

S. Fadda, Definizione zero. Origini della videoarte tra politica e comunicazione, Milano, Costa & Nolan, 1999, pp. 124-127.

A. Lajolo, ‘Il cinema sotterraneo europeo alla ricerca di un’intesa’, L'Unità, 22 novembre 1968, p. 8.

A. Lajolo, ‘Il cinema indipendente italiano in Venezuela’, L'Unità, 25 luglio 1970, p. 9.

A. Lajolo, A. Leonardi, G. Lombardi, ‘Videobase’, in ‘L’altro video. Incontro sul videotape’, quaderno informativo, 44, Pesaro, IX Mostra Internazionale del Nuovo Cinema, 1973, p. 91.

S. Lischi, ‘Senza chiedere permesso: il videotape e il cinema militante’, in V. Zagarrio (a cura di), Storia del Cinema Italiano, volume XIII - 1977/1985, Venezia, Marsilio – Edizioni di Bianco & Nero, pp. 96-100.

F. Polato, ‘Anna Lajolo’, in L. Cardone, C. Jandelli, C. Tognolotti (a cura di), ‘Storie in divenire: le donne nel cinema italiano’, Quaderni del CSCI: rivista annuale di cinema italiano, 11, 2015, pp. 296-297.

G. Toti, 'Liriche sotterranee', L'Unità, mercoledì 9 agosto 1967, p. 8.

V. Valentini (a cura di), Dissensi, tra film, video e televisione, Taormina Arte 1991, Palermo, Sellerio, 1991, pp. 269-272.