- Non ha mai letto il Vangelo?
- Lo sento leggere ogni domenica.
- Che gliene pare?
- Belle parole: la Chiesa è tutta una bellezza.
- Per lei, vedo, la bellezza non ha niente a che fare con la verità.
- La verità è nel fondo di un pozzo: lei guarda in un pozzo e vede il sole o la luna; ma se si butta giù non c’è più né sole né luna, c’è la verità.
L. Sciascia, Il giorno della civetta (1961)
Una delle costanti degli artisti amati da Leonardo Sciascia potrebbe essere rintracciata nella loro adesione all’anti-astrattismo, che è anche una componente cruciale e morale del gusto dello scrittore: «mi piacciono i pittori che nel loro immediato rapporto con la realtà, le forme, i colori, la luce, sottendono la ricerca di una mediazione intellettuale, culturale, letteraria. I pittori di memoria. I pittori riflessivi. I pittori speculativi. Un sistema di conoscenza che va dalla realtà alla surrealtà, dal fisico al metafisico». Incapace com’è di scindere l’estetica dall’etica, Sciascia ha sempre mostrato di prediligere le esperienze contemporanee tese al recupero del figurativismo, e più in generale quell’arte che – come la letteratura – sa farsi anche mezzo di conoscenza della realtà, strumento di verità. Alla domanda «che cosa è la verità?», in un appunto di Nero su nero, lo scrittore si dice tentato di identificarla con la letteratura, e – per un verso – la letteratura è anche una tentazione. Sciascia vi indulge, ad esempio, mentre vuole denunciare le piaghe de I salinari, nell’omonimo racconto contenuto nelle Parrocchie di Regalpetra e nel commento al reportage fotografico di Scianna Il sale della terra: ecco che le miniere di salgemma gli appaiono «grotte d’incanti», «simili a cattedrali», «una realtà all’acquaforte degna del Dorè», e questo filtro di reminiscenze artistiche finisce per dare vita ad una bella pagina.
Un aspetto poco considerato dell’opera sciasciana, invece, è la spiccata sensibilità per la bellezza femminile, che lo pone sulla scia dei catanesi Greco e Brancati. Come lo scrittore catanese, Sciascia scrive che «di statue di donne modellate nell’aria, Catania è popolata», e – più in generale – i modelli iconografici dell’imago mulieris sono sottesi a numerosi passi in cui lo scrittore fa posto alle epifanie di personaggi femminili: si pensi alla mater dolorosa dell’avvocato Di Blasi o alla contessa adagiata sulla dormeuse alla maniera di Boucher nel Consiglio d’Egitto; o più semplicemente alla descrizione della bellezza della Luisa Roscio di A ciascuno il suo, al fascino delle donne spagnole che sfilano durante la semana santa in un articolo di Ore di Spagna, o ancora alla bellezza delle Madonne dipinte da Antonello da Messina e prese in esame nel saggio L’ordine delle somiglianze, o a quella delle donne dipinte da Jean Calogero. Una sensibilità, in definitiva, umana oltre che artistica, che – unita alle altre figure di donne protagoniste della vita e dell’opera dell’autore, così come ad una corretta lettura della polemica antimatriarcale – contribuisce a sfatare il luogo comune di uno Sciascia misogino e antifemminista.