1.1. Capolavori di capolavori. Pippo e Topolino all’inferno degli scolari

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Guido Martina, Angelo Bioletto, L’inferno di Topolino, in Topolino, nn. 7-12, 1949-1950

 

Può un capolavoro generare un altro capolavoro? Il quesito nasce spontaneo ogni qual volta ci si trovi ad analizzare una transcodificazione; e spesso purtroppo la risposta è negativa. Ciò non vale, però, per l’Inferno di Topolino, la prima delle grandi parodie Disney, nata dalla collaborazione tra Guido Martina (autore dei testi) e Angelo Bioletto (creatore dei disegni). Dietro l’articolato ingranaggio narrativo delle memorabili 73 tavole apparse per la prima volta nei numeri da 7 a 12 di Topolino tra l’ottobre del 1949 e il marzo del 1950 si nasconde, infatti, un grande genio creativo. Forse sarebbe meglio dire che una creatività incontenibile, quella di Martina – vero factotum della Disney italiana del Dopoguerra –, trova una degna controparte nei disegni raffinati e divertenti di Bioletto. La macchina di questo poliedrico universo infernale funziona in virtù della perfetta collaborazione della coppia di autori, che riesce a reinventare il capolavoro di Dante. La riscrittura e la parodia funzionano così bene che la prima cantica dantesca ne risulta trasformata ma al contempo perfettamente riconoscibile. Ciò che lo rende possibile, insieme al titolo, è la geniale trovata di Martina (‘il professore’ della Disney Italia), autore della «verseggiatura», che si cimenta in una spericolata riscrittura, naturalmente in terza rima, dell’opera di Dante. Le terzine incatenate di Martina fungono da didascalie nella parte inferiore delle vignette, in cui i dialoghi contenuti nei balloon fanno da commento, o contrappunto, ai versi e alla loro narrazione continua. L’ingranaggio narrativo segue dunque due linee che si intrecciano, ma rimangono autosufficienti o forse rivolte a destinatari differenti. Negli intenti di Martina e Bioletto sembra di poter riscontrare la volontà di creare una partitura a due voci, in cui quella in versi non sembra poter fare a meno di quella più tipicamente fumettistica. La complementarietà delle due forme testuali è dichiarata nell’incontro tra Topolino e Cosimo, nipote di Clarabella (qui parodia di Pier delle Vigne), nel quale Dante/Topolino chiede al suo interlocutore: «Ora rispondi alla domande che ti faccio nei versi qui sotto!» – e l’altro ribatte: «Leggi i versi qui sotto e avrai la risposta» (fig. 1). Ne risulta un dispositivo diegetico sofisticato che si regge sulla magistrale orchestrazione tra la duplice voce testuale e la variopinta umanità dei dannati, creata da Bioletto ispirandosi alla lunga fortuna figurativa della Commedia (soprattutto alle illustrazioni di Gustave Doré).

I due autori non si limitano però a competere con la lingua e con ‘il visibile parlare’ dantesco, ma si cimentano in una riproposizione scrupolosa di quasi tutti e trentaquattro i canti dell’Inferno e dei gironi che lo compongono. I protagonisti del pellegrinaggio infero sono Topolino e Pippo, i quali per uno strano «malefizio» di Gambadilegno non riescono a liberarsi dei ruoli di Dante e Virgilio interpretati durante una «Gran Commedia, anzi Divina». Per sapere di più dell’opera che devono recitare forzatamente, si recano in biblioteca, dove un secondo incantesimo li risucchia all’interno del volume che stanno consultando (fig. 2). Così si trovano catapultati già nel secondo canto, nella ‘selva oscura’ dove avviene l’incontro tra Topolino/Dante e la sua guida, Pippo: «quivi sospiri, pianti ed alti guai. / Parole d’ira e suon di man con quelle / Sì che pareva di essere in tranvai...» (fig. 2).

Sin da principio Martina percorre la via a cui rimane fedele lungo tutta la verseggiatura, servendosi in modo puntuale degli endecasillabi danteschi ma collocandoli spesso in contesti differenti da quelli originari e mescolandoli a versi ispirati alla contemporaneità (come dimostra l’ardita rima guai / tranvai che sostituisce il guai / lagrimai di Inf. III, vv. 22 e 24). Insieme agli aspetti infernali della vita moderna, ai quali sarà interamente dedicato L’inferno di Paperino (1987), un altro filo rosso percorre le tavole di Martina e Bioletto: i luoghi inferi dell’educazione scolastica. Non a caso nel limbo «rinchiusi son gli eletti / che fecer tristi gli anni della scuola»; contro di essi un esercito di scolaretti lancia pallottole di carta fatte di pagelle. Gli obiettivi del ‘tiro a segno’ sono Platone, Ovidio e l’Aritmetica, una bisbetica «regina della tavola pitagorica» (fig. 3). Non mancano Omero, Cesare, e il Sofisma, accompagnato da una figura strampalata che cerca di rallentare il passo dei due pellegrini: «So che si fa chiamar filosofia, / però se vuoi seguire il mio consiglio / non ragionar con lei ma passa via!». Nel canto VIII, Topolino e la sua guida attraversano sulla barca di Flegias la palude dello Stige, e l’iracondo nel quale si imbattono «le guance avea gonfie di furore / e dagli sguardi torvi ed irascibili / lo riconobbi ch’era un professore». L’inflessibile maestro, che ha saputo elargire ai suoi scolari soltanto zeri, viene punito, come l’iracondo Filippo Argenti, in modo brutale dalle «fangose genti» (prelievo letterale da Inf. VIII, v. 59) che vogliono vendicare «i poveri studenti». Anche la selva dei suicidi viene riletta in chiave scolastica: i violenti verso se stessi sono qui trasformati, con arguta censura, in monelli che avevano poco rispetto per le aule scolastiche. Per questa ragione sono trasformati in piante, in alberi, mutati poi in banchi per dover patire da una classe di ciuchini lo stesso trattamento che avevano riservato al mobilio della scuola. L’episodio viene poi contaminato con un altro testo caro al mondo Disney: a salvare i monellacci interviene la fata turchina di Pinocchio (fig. 4), vera donna angelo, che li libera dal mondo infernale dei banchi di scuola.

Martina e Bioletto non si lasciano sfuggire un altro elemento centrale della Commedia, ossia la memorabile icasticità di certi incontri tra Dante e i dannati. Le grandi personalità che occupano i luoghi di maggior rilievo nel pellegrinaggio dantesco vengono sagacemente trasposte nell’universo disneyano. Tra gli «spiriti rubelli» del X canto, rinchiusi nelle arche infuocate della città di Dite, Pippo e Topolino si imbattono in un rabbioso Paperino, travestimento di Farinata degli Uberti, che sferra pugni, strilla «com’avesse l’Inferno a gran dispitto» (Inf. X, v. 36), e – invece di pronunciare la profezia dell’esilio dantesco – promette ai due di seguirli per tutto il mondo infero (fig. 5). Esilarante anche la riscrittura del dialogo con Ugolino, qui divenuto «famoso arbitro». Topolino/Dante lo incontra fra i traditori che stanno «nell’acqua congelata» e può ascoltare il suo racconto: «Tu dei saper ch’io fui Conte Ugolino / Ed arbitravo a Pisa una partita / Ch’avea in palio il titol di campione...». Non solo il travestimento comico neutralizza ogni aspetto truce del racconto dantesco, ma il «fiero pasto» dal quale l’arbitro corrotto solleva le fauci è un pallone, emblema del suo tradimento. Qui la riscrittura dei versi della Commedia trova forse il suo apice: l’arbitro – che a fine partita non concede un calcio di rigore – è costretto a confessare: «ma feci per viltate il gran rifiuto» (come Celestino V in Inf. III, v. 60); e addentando il pallone esclama «Ahi, foot-ball, vituperio delle genti» (in cui football prende il posto di Pisa in Inf. XXXIII, v. 79; fig. 6).

Mancano all’appello, tra i personaggi più memorabili della Commedia, soltanto Paolo e Francesca. Tale assenza è forse una forma di censura del peccato di cui si sono macchiati, anche se in altre circostanze i due autori sanno edulcorare le pene dantesche (il sodomita Brunetto Latini, qui divenuto il maestro di scuola di Topolino/Dante, con evidente reticenza in merito alla sua colpa, dice: «in vita razzolavo male /... quantunque agli altri predicassi bene!»; si noti inoltre che la pioggia di fiammelle che fa da sfondo a questo incontro riattiva la memoria di molte trasposizioni iconiche del XV canto dell’Inferno; fig. 7). Tuttavia, nonostante i due amanti non appaiano in questo viaggio ultramondano, i versi del V canto dantesco sono disseminati in molte terzine composte da Martina, quasi a colmare l’assenza dell’episodio con la sua capillare presenza nei contesti più diversi. A Paolo e Francesca Martina avrebbe poi dedicato un intero fumetto, Paperino Pocatesta e la Bella Franceschina (1980).

Il viaggio di Topolino e Pippo si conclude con un vero coup de théâtre: i traditori massimi sono infatti i due autori, che vengono puniti dallo stesso Dante, armato di penna stilografica, a causa del loro travestimento/tradimento. Martina e Bioletto, tuttavia, vengono assolti grazie all’intervento di Dante, che difende la bontà delle loro intenzioni e svela lo spirito del capolavoro a fumetti: «Se l’uno ha scritto versi sbarazzini, / E l’altro li ha illustrati con pupazzi / l’han fatto per la gioia dei bambini» (fig. 8).

 

Edizioni di riferimento

Guido Martina, Angelo Bioletto, L’inferno di Topolino, in I classici della letteratura Disney, n. 3, Milano, RCS Quotidiani, 2006, pp. 17-89.

Giulio Ernesto Chierchini, Massimo Marconi, L’inferno di Paperino, in I classici della letteratura Disney, n. 3, Milano, RCS Quotidiani, 2006, pp. 91-147.

 

Bibliografia

P.P. Argiolas, A. Cannas, G.V. Distefano, M. Guglielmi, Le grandi parodie Disney. Ovvero i classici fra le nuvole, Roma, Nicola Pesce, 2013.

A. Becattini, L. Boschi, L. Gori, A. Sani, I Disney italiani, Battipaglia (SA), Nicola Pesce Editore, 2012.

A.M. Cotugno, Dante a fumetti, Foggia, Edizioni del rosone, 2009, pp. 25-49.

P. Guiducci, L. Cantarelli (a cura di), Nel mezzo del cammin di una vignetta... Dante a Fumetti: il sommo poeta e la Divina Commedia nelle nuvole parlanti di tutto il mondo, Ravenna, 2004.

A. Rossini, Dante e la parodiaRivista di studi italiani, XXII, 2, 2004, pp. 22-46.

J. Tondro, ‘Nightcrawler’s Inferno’ and Other Hellish Tales: Comics Adaptations of Dante, in Medieval Afterlives in Contemporary Culture, ed. by G. Ashton, London, Bloomsbury Publishing, 2015, pp. 291-300.