La scena di Mariano Fortuny

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Padova, Orto Botanico/Venezia, Fondazione Cini

21 – 23 Novembre 2013

Pittore. Scultore. Fotografo. Stilista. Scenografo. Costumista. Light Designer ante litteram. Un semplice elenco di professioni è riduttivo per descrivere la figura di Mariano Fortuny y Madrazo (Granada 1871 – Venezia 1949), che va invece affrontata tenendo in considerazione tutte le relazioni tra i diversi ambiti della sua attività: questo ha fatto il primo Convegno Internazionale di Studi concepito intorno al suo universo teatrale.

I lavori sono stati introdotti dall’intervento di Claudio Franzini, storico collaboratore del Museo Fortuny di Venezia in veste di fotografo, catalogatore ed archivista. Il ritratto puntuale di Mariano Fortuny ha messo in evidenza i tratti di un riformatore della scena artistica primo-novecentesca, ancora troppo poco indagato nell'ambito teatrale. Maria Ida Biggi, Direttrice del Centro Studi per la ricerca documentale sul teatro e il melodramma della Fondazione Cini, che ha ospitato il convegno, ha evidenziato come nella storiografia teatrale della prima metà del Novecento la figura dell’artista ‘veneziano’ appaia molto sfuocata: quando non ignorato dagli studi di storia della scenografia, il suo operato viene trattato approssimativamente e limitatamente ai sistemi illuminotecnici, che, seppure fondamentali, non ne esauriscono la portata innovativa. Le giornate di studio hanno sottolineato la necessità di individuare gli snodi meno noti della sua variegata attività e si sono sviluppate lungo alcune direttrici.

1. Fortuny e la luce, fra riforme teatrali, pittura e fotografia

L’orizzonte nel quale Mariano Fortuny plasma e reinventa la materia teatrale coincide con il momento di affermazione dei grandi riformatori del teatro a cavallo tra il XIX e il XX secolo.

Fortuny si colloca entro il percorso di evoluzione della scenografia, con particolare riferimento all’illuminazione di scena, accompagnato dalle riflessioni attorno all’orchestrazione e alla significazione dei diversi coefficienti scenici. Cristina Grazioli (responsabile del Progetto d’Ateneo Atlante Fortuny dell’Università di Padova, entro cui è stato concepito il convegno, in collaborazione con Museo Fortuny, Fondazione Cini e Università Ca’ Foscari) ha proposto un percorso che congiunge la sperimentazione e il pensiero sulla luce in scena dei decenni a cavallo tra XVIII e XIX secolo alle riflessioni attorno al concetto di Atmosfera, così come oggi è indagato da una direttrice dell’estetica, dove una tappa fondamentale è costituita dal paesaggio delle arti che si delinea nei primi anni del ‘900, all’interno del quale la sperimentazione di Fortuny si inserisce in modo coerente.

È certamente la luce il primario oggetto di studio del nostro artista: la concezione di «luce atmosferica» e di orizzonte «panoramico», che lo ha portato all’ideazione della celebre Cupola,[1] opera, secondo Silvio Fuso, in modo altrettanto innovativo nella ricerca di Fortuny nell’ambito della fotografia. Sulla base dell’enorme cultura dell’artista, dei suoi riferimenti culturali e ‘visivi’, il direttore di Ca’ Pesaro (già responsabile del Museo Fortuny) dimostra il fertile connubio tra i due ambiti di creazione.

La luce è stata indagata dall’artista anche in campo pittorico: nonostante il suo operato in quest’ambito possa considerarsi offuscato dalla figura più nota del padre, Mariano Fortuny y Marsal, Adriana Guarnieri Corazzol individua nella sua poetica elementi di sperimentazione propri ai movimenti impressionista e simbolista, declinati in ambito musicale; sperimentazione la cui evoluzione è stata dimostrata da Giuseppina Dal Canton attraverso l’attenta analisi delle undici Biennali di Venezia a cui Fortuny ha partecipato dal 1899 al 1942, alle quali si aggiunge la mostra retrospettiva a lui dedicata del 1950.

Nell’ottica delle influenze che hanno orientato la ricerca di Fortuny, se Maria Del Mar Nicòlas ha fornito uno scorcio del contesto culturale della tradizione spagnola nel quale l’artista è cresciuto e che si ritroverà nella sua prassi, Marzia Maino ha presentato una ricognizione sulle sue fonti di formazione basandosi in modo puntuale sui testi che compongono la biblioteca dell’artista, oggetto di un lavoro di catalogazione tuttora in corso (tassello fondamentale del Progetto Atlante Fortuny). La corrispondenza tra la sua opera e le fonti è emersa con chiarezza: dai classici alla storia dell’arte, alle moderne riflessioni su luce diretta e indiretta, con una preminenza di testi tecnici e scientifici, la biblioteca sembra fornire un mosaico che è specchio della poliedrica sperimentazione dell’artista.

Un’ulteriore ipotesi di ispirazione è stata avanzata da Elena Randi, la quale ha proposto un affondo sulla ricerca di Loïe Fuller: nel corso del dibattito è emerso come la tesi che Fortuny possa aver assistito ad uno dei famosi spettacoli della Fuller, e che ne possa aver tratto stimoli, sia quanto mai plausibile.

Si configura quindi una personalità erudita e competente nelle discipline tecniche, scientifiche ed artistiche, ma che non lascerà una sistematica teorizzazione della sua opera, mostrandosi prevalentemente uomo immerso nella prassi e nella sperimentazione.

2. La tecnica, i brevetti, l’industria

Del Fortuny immerso nella prassi si è fatta portavoce Marielle Silhouette: l’esperienza dell’artista veneziano è un esempio del sistema di relazioni che si instaurano attorno al 1900 tra arte ed industria, in particolare nell’ambiente berlinese. Più specificatamente la studiosa parigina si è soffermata sull’aspetto dei brevetti illuminotecnici di Fortuny, indagato nel contesto dell’alleanza ormai diffusa tra arte, tecnica e impresa economica, ponendo l’accento sulle difficoltà motivate anche dalla diversità dei contesti italiano e tedesco.

Anche Mathias Spohr ha sottolineato il contesto tecnico, seppur inquadrandolo all’interno delle teorie wagneriane. Partendo dalla questione fondamentale della necessità di dotare di luce l’immagine pittorica, Spohr ha proposto un’analisi dei fattori che accomunano e di quelli che viceversa distanziano le idee di Fortuny da quelle di Appia, presentando il quadro dei complessi equilibri tra gli stessi artisti e figure di riferimento come Wagner e Dalcroze. Non trascurando considerazioni di tipo economico, sociologico e percettivo, lo studioso svizzero ha proposto entro un quadro originale ipotesi circa i fattori che hanno portato all’abbandono del sistema illuminotecnico ideato da Fortuny nel primo dopoguerra e alla coeva ascesa delle analoghe idee di Appia: primo fra tutti l’invenzione delle lampade a filamento metallico incandescente.

3. Il Fortuny dei sodalizi mancati: Von Hofmannsthal, D’Annunzio, Rouché

Il convegno ha permesso di assodare che il nostro artista non solo era in contatto con i grandi nomi del teatro di Primo Novecento, ma da alcuni di essi era letteralmente ‘corteggiato’, a dimostrazione di un’attenzione a livello europeo per le sue ricerche in campo teatrale: in primis Hugo von Hofmannsthal.

Marco Rispoli ha rivelato l’esistenza di un epistolario inedito da lui tradotto, nel quale si evidenziano la stima e l’insistenza con la quale il drammaturgo viennese desidera avere al suo fianco l’artista veneziano per la prima della tragedia Das gerettete Venedig e la messa in scena della commedia Der Abenteurer und die Sängerin a Berlino. Progetti che tuttavia si conclusero con un nulla di fatto. È sempre il drammaturgo austriaco a proporre al Conte Harry Kessler Eleonora Duse come protagonista e Mariano Fortuny alla scenografia per la sua Elektra. A questa affascinante e mai chiarita vicenda fa riferimento Francesco Cotticelli, ponendo l’accento sullo stretto rapporto che lega Kessler a Craig, da lui proposto con fermezza per la scenografia, deviando dunque le intenzioni di Hofmannsthal.

Più documentata invece la collaborazione di Mariano Fortuny con Gabriele D'Annunzio: Giovanni Isgrò ha illustrato la reciproca influenza artistica fra quelli che lo studioso ritiene due protagonisti della rifondazione scenica in Europa del primo Novecento. Tuttavia Isgrò, autore dell’unica monografia finora pubblicata sull’esperienza di Mariano Fortuny in ambito teatrale (Fortuny e il Teatro, 1986), ha rivelato come, nonostante le aspettative attorno al Teatro delle Feste, questa intesa profonda fra i due artisti non si concretizzò in vere e proprie produzioni, bensì negli esperimenti condotti a Parigi presso il teatro della Contessa di Béarn.

Marco Consolini è entrato nel vivo della spettacolarità parigina prendendo avvio da Jacques Rouché e dal Théâtre des Arts; esperienza considerata una tappa essenziale dell’evoluzione della regia moderna (fatto che Consolini mette in discussione, presentando invece un importante tassello sul regista Arsène Durec). Se nel 1910 Rouché ne L’art théâtrale moderne accanto ad Appia, Craig, Stanislavskij, Meyerhold, Reinhardt, Fuchs, nomina Mariano Fortuny, con particolare riferimento alla sua Cupola, non esiste ad ora testimonianza di una collaborazione. La tesi di Consolini è stata proposta in chiave ipotetica, ma le recenti indagini sui carteggi Fortuny hanno svelato l’esistenza di alcune lettere di Rouché a Fortuny, che conferma almeno un rapporto diretto tra i due artisti.

I dibattiti che si sono alternati agli interventi hanno ribadito un’esigenza emersa durante tutte le giornate di studio. Possiamo dire che inizia a delinearsi un mappa della fortuna critica e artistica di Fortuny nei diversi contesti (scenici e teatrologici) europei, punto di avvio necessario per portare avanti la ricerca intorno a questa complessa figura, che andrà necessariamente supportata dallo studio puntuale del prezioso materiale conservato presso il Museo Fortuny. La complementarietà delle ricerche dei singoli studiosi è parsa essenziale affinché si possa dare giusta collocazione ad un artista intorno al quale si muovono figure ed episodi capitali della Storia del Teatro. Si tratterà di dare ‘luce’ alle complesse zone d’ombra: averle individuate costituisce un indubbio (e imprescindibile) avanzamento della ricerca.

1 La Cupola Fortuny è un sistema di illuminazione teatrale brevettato da Mariano Fortuny nel 1901, che sfrutta le proprietà della luce indiretta, diffusa e regolabile. Il progetto si struttura attraverso una sezione di sfera da installare sul fondo del palcoscenico, che consente la diffusione completa della luce, supportata da eventuali giochi cromatici della stessa.