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Non c’è bisogno di arrivare alla fine di questa intervista per capire che Alessio Pizzech (Livorno, classe 1972) è un regista sui faber: a nove anni la folgorazione per il teatro, luogo in cui la fragilità può rivelarsi forza, poi tanta gavetta autonoma (preferita alla tradizionale sequela). Adesso è una delle personalità più interessanti del panorama teatrale internazionale e con disinvoltura oltrepassa (o forse abita) la soglia che separa prosa e teatro musicale. Da sempre alla ricerca di autori complessi e scomodi di cui sviscerare le domande, ritiene che il teatro (italiano) abbia bisogno di direzioni curiose e coraggiose. La regia? Un mestiere ancora assai giovane. Il regista? Un abusivo…

Biagio Scuderi: Quando è nata la passione per il teatro?

 

Alessio Pizzech: Ricordo che a nove anni, mentre recitavo un pezzo da un poemetto conviviale di Pascoli intitolato La scuola dei paggi, mi inginocchiai su un lettino che faceva parte della scenografia e cominciai a piangere, recitavo piangendo; alzai gli occhi e mi accorsi che attorno a me piangevano tutti. Era successo qualcosa, quella fragilità che contraddistingueva il mio carattere in quel momento era diventata una forza, qualcosa che poteva essere ‘utile’, forse una piccola forma di potere, ciò che sentivo io lo sentivano anche gli altri; mi sembrò una sorta di rivelazione, una strada per me e per la mia vita.

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Padova, Orto Botanico/Venezia, Fondazione Cini

21 – 23 Novembre 2013

Pittore. Scultore. Fotografo. Stilista. Scenografo. Costumista. Light Designer ante litteram. Un semplice elenco di professioni è riduttivo per descrivere la figura di Mariano Fortuny y Madrazo (Granada 1871 – Venezia 1949), che va invece affrontata tenendo in considerazione tutte le relazioni tra i diversi ambiti della sua attività: questo ha fatto il primo Convegno Internazionale di Studi concepito intorno al suo universo teatrale.

I lavori sono stati introdotti dall’intervento di Claudio Franzini, storico collaboratore del Museo Fortuny di Venezia in veste di fotografo, catalogatore ed archivista. Il ritratto puntuale di Mariano Fortuny ha messo in evidenza i tratti di un riformatore della scena artistica primo-novecentesca, ancora troppo poco indagato nell'ambito teatrale. Maria Ida Biggi, Direttrice del Centro Studi per la ricerca documentale sul teatro e il melodramma della Fondazione Cini, che ha ospitato il convegno, ha evidenziato come nella storiografia teatrale della prima metà del Novecento la figura dell’artista ‘veneziano’ appaia molto sfuocata: quando non ignorato dagli studi di storia della scenografia, il suo operato viene trattato approssimativamente e limitatamente ai sistemi illuminotecnici, che, seppure fondamentali, non ne esauriscono la portata innovativa. Le giornate di studio hanno sottolineato la necessità di individuare gli snodi meno noti della sua variegata attività e si sono sviluppate lungo alcune direttrici.

1. Fortuny e la luce, fra riforme teatrali, pittura e fotografia

L’orizzonte nel quale Mariano Fortuny plasma e reinventa la materia teatrale coincide con il momento di affermazione dei grandi riformatori del teatro a cavallo tra il XIX e il XX secolo.

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