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Non c’è bisogno di arrivare alla fine di questa intervista per capire che Alessio Pizzech (Livorno, classe 1972) è un regista sui faber: a nove anni la folgorazione per il teatro, luogo in cui la fragilità può rivelarsi forza, poi tanta gavetta autonoma (preferita alla tradizionale sequela). Adesso è una delle personalità più interessanti del panorama teatrale internazionale e con disinvoltura oltrepassa (o forse abita) la soglia che separa prosa e teatro musicale. Da sempre alla ricerca di autori complessi e scomodi di cui sviscerare le domande, ritiene che il teatro (italiano) abbia bisogno di direzioni curiose e coraggiose. La regia? Un mestiere ancora assai giovane. Il regista? Un abusivo…

Biagio Scuderi: Quando è nata la passione per il teatro?

 

Alessio Pizzech: Ricordo che a nove anni, mentre recitavo un pezzo da un poemetto conviviale di Pascoli intitolato La scuola dei paggi, mi inginocchiai su un lettino che faceva parte della scenografia e cominciai a piangere, recitavo piangendo; alzai gli occhi e mi accorsi che attorno a me piangevano tutti. Era successo qualcosa, quella fragilità che contraddistingueva il mio carattere in quel momento era diventata una forza, qualcosa che poteva essere ‘utile’, forse una piccola forma di potere, ciò che sentivo io lo sentivano anche gli altri; mi sembrò una sorta di rivelazione, una strada per me e per la mia vita.

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Alla fine dello spettacolo una signora dalla folta chioma rossa dice all’amica: «Sono soddisfatta! Finalmente ho visto un testo, una regia e degli attori». A qualcuno potrebbe apparire banale come ‘recensione’ ma, invero, non lo è affatto: non è scontato, oggi, imbattersi in una drammaturgia contemporanea che abbia scheletro e muscolatura; non è scontato, oggi, che un regista abbia capacità ermeneutica e consapevolezza dei mezzi di scena; non è scontato, oggi, che il palcoscenico sia calcato da persone di talento, lì per mestiere e non per caso. Questo è quanto si è verificato al Festival di Teatro Internazionale “Quartieri dell’Arte” di Viterbo (29 agosto – 3 novembre) con la messa in scena di Chi cazzo ha iniziato tutto questo?.

Il testo rappresentato è frutto del progetto Hybrid Plays- A Cultural Translation Project: una serie di workshop per drammaturghi senior e junior, di diversa nazionalità, che si incontrano per sviluppare copioni ibridi in cui linguaggi e orizzonti collidono. In questo caso il senior è Dejan Dukovski, macedone, Premio della critica al festival di Venezia 1998 e autore di Who the Fuck Started All This; la junior è la scrittrice norvegese Agate Øksendal Kaupang, che ha tradotto e adattato il testo sviluppando un sistema che ambisce a dinamicità attraverso l’alternanza di quadri e cornice ma che sempre al medesimo abisso giunge: la disperazione (spesso violenta) che attanaglia ogni singolo uomo. Un orizzonte senza fuga messo in scena da Alessio Pizzech, regista che si muove con disinvoltura tra lirica e prosa, qui alle prese con quattro attori dalla genuina attitudine: Daniela Giordano, Caterina Gramaglia, Maximilian Nisi e Nick Russo.

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