L’Orlando furioso. Incantamenti, passioni e follie. L’arte contemporanea legge l’Ariosto, a cura di Sandro Parmiggiani

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Il volume L’Orlando furioso. Incantamenti, passioni e follie. L’arte contemporanea legge l’Ariosto (Cinisello Balsamo, Silvana Editoriale, 2014), nato in occasione della mostra ideata e curata da Sandro Parmiggiani per celebrare il cinquecentenario della prima edizione del Furioso (Reggio Emilia, Palazzo Magnani, 4 ottobre 2014 - 11 gennaio 2015), mira programmaticamente ad andare oltre l’occasione espositiva e a offrire, a un pubblico di specialisti e non, una serie di sguardi critici inediti su alcuni aspetti centrali del poema. Il libro – spiega nel saggio introduttivo il curatore – si pone così alla stregua di un attraversamento ideale in cui a quattro sezioni d’immagini, volte a dar conto della ricchezza del percorso espositivo, formato da opere di oltre cinquanta artisti, tra pittori, scultori, illustratori, autori di fumetti e fotografi, si accompagnano altrettante sezioni di saggi, affidati a quindici autori scelti tra studiosi di letteratura, storici dell’arte, antropologi, poeti, scrittori e scienziati. Alle testimonianze dell’ampia produzione artistica contemporanea, nata in prevalenza in occasione della mostra, si associano poi, poste in apertura e a corredo dei saggi, le riproduzioni delle illustrazioni delle principali edizioni antiche illustrate del Furioso, nonché di stampe sciolte, di tele e di disegni che il poema ha ispirato dal Cinquecento ad oggi. La mancanza di una ricostruzione in sede espositiva dei momenti salienti della plurisecolare fortuna figurativa del poema, imposta dalle ristrettezze dei fondi pubblici, è così, almeno in parte, colmata, offrendo un’occasione preziosa per ammirare, tra gli altri, i documenti della straordinaria raccolta ariostesca ‘Angelo Davoli’ della Biblioteca municipale ‘Antonio Panizzi’ di Reggio Emilia. L’organizzazione del volume sollecita quindi un dialogo sottile tra immagini e parole, che – spesso non facilitato, ma neanche condizionato, da rimandi espliciti – apre di fronte a chi legge un ampio panorama di questioni e ne propone una varietà di letture, racchiuse in una molteplicità di linguaggi e codici.

La prima parte del catalogo presenta le immagini della sezione di apertura della mostra, dedicate ai luoghi in cui si svolse la vita di Ariosto, con le quali dialogano, ora da vicino ora da più lontano, gli interventi di Giulio Ferroni, Valerio Magrelli e Gianni Celati. Gli scatti di Luigi Ghirri (1985), capaci di cogliere le atmosfere fuori tempo della villa del Mauriziano; le opere di Franco Guerzoni (2004), in cui l’applicazione dei cristalli di salnitro sulle stesse foto di Ghirri produce l’annullamento delle distanze tra il reale e l’immaginario, mitizzando il presente nell’eterno tempo che fu; le fotografie di Vittore Fossati (2014) che, al contrario, svelano quanto di concreto vi sia nei sognanti scenari pittorici su cui un tempo si affacciavano le stanze della residenza estiva del poeta; e le istantanee di Franco Vaccari, che già nel 1974 restituivano bruscamente gli effetti della trasformazione architettonica e paesaggistica del bel paese, proiettano chi legge verso un altrove ammaliante e contraddittorio, come il mondo stesso del poema.

  Franco Guerzoni, Dentro l’immagine, 2004, cristalli di salnitro su fotografia di Luigi Ghirri del 1985, collezione privata, Modena

La tensione tra l’assoluta bellezza formale della costruzione narrativa e poetica – nata da un dialogo tutto personale con le scritture del mondo classico e con le opere della letteratura romanza – e la spinta interna che ne svela l’artificio e gli inganni è al centro della riflessione di Giulio Ferroni. L’impenetrabilità dell’animo umano, la mancata trasparenza del sentimento amoroso, l’opacità delle azioni e la ricerca segnata immancabilmente dall’errore si ergono così a cardini dell’edificio poetico. La sua struttura è per Ferroni oggetto di un’interpretazione sublime nella trasposizione teatrale del poema di Ronconi e Sanguineti, alla quale lo studioso riserva un ricordo vivo, personale, profondamente sentito.

Uno studio puntuale di alcuni aspetti della perfezione formale del Furioso è invece offerto da Valerio Magrelli, mentre Gianni Celati invita il lettore a dipanare le fila dell’intreccio ariostesco inseguendo il primum mobile dei suoi giri a vuoto, ovvero Angelica che fugge. La donna, o più precisamente la sua imago impressa nella memoria dei cavalieri, offre, alla stregua di un oggetto interno della psicologia moderna, il simulacro sul quale proiettare il film dei desideri. S’irradiano da qui i moti maniacali che disegnano la trama del poema e di cui danno conto, a livello formale, la tecnica narrativa dell’entrelacement e la variatio delle costanti. In questo modo, osserva Celati, la lettura stessa diventa una sorta d’incanto, capace di portare chi legge a un’erranza simile a quella dei cavalieri. Il loro vagare sembra scorrere per momenti discontinui, isolando i protagonisti, e con loro i lettori, in un tempo senza tempo della leggenda, nelle vicissitudini eterne della non storia. Nasce così un poema le cui trame formano un arabesco: disegno ispirato forse, suggerisce l’autore, all’arte dell’Islam, dove il messaggio verbale e la forma ornamentale diventano tutt’uno nell’intento di esprimere l’infinita meraviglia del mondo.

La seconda sezione della mostra ospita disegni, incisioni, tecniche miste e collage realizzati tra gli anni Sessanta e Ottanta del Novecento, periodo in cui, ricorda Sandro Parmiggiani, l’interesse per il Furioso era particolarmente acceso.[1] A tali opere si uniscono poi alcuni cicli più recenti, ideati per illustrare il capolavoro ariostesco. Vi troviamo quindi interpretazioni di scontri cavallereschi e di visioni fantastiche uscite dalla penna di Fabrizio Clerici (1964-1965), il cui disegno, di volta in volta diverso, si rivela capace di restituire ora il dinamismo e la platealità di un duello, ora la luminosità e l’evanescenza di un evento magico. Nelle Fantasie d’amore e di guerra dell’Orlando furioso (1974) di Aligi Sassu sono invece la sinuosità delle forme e la potenza del colore a produrre letture cariche di sensualità, di violenza, di fascino onirico. La sezione accoglie anche le incisioni che Franco Gentilini dedicò al canto ventesimottavo del poema (1979), le illustrazioni di Mimmo Paladino per l’edizione del Furioso curata da Corrado Bologna (2011), e due ritratti di Ariosto tracciati da Tullio Pericoli con un guizzo leggero e capace di illuminare il soggetto di una varietà d’ironiche sfumature (1988).

  Mimmo Paladino, Illustrazioni per Ludovico Ariosto, Orlando furioso, a cura di Corrado Bologna, Treccani, Roma, 2011

A tali opere si uniscono poi le tavole create da Grazia Nidasio per l’Orlando furioso di Ludovico Ariosto raccontato da Italo Calvino (2009), in cui la straordinaria efficacia immaginativa dell’artista dialoga con la rilettura del poema proposta dallo scrittore ligure. Contrastano con questi scenari di luminosa fantasia, da un lato, le atmosfere sinistre degli Appunti e variazioni per un immaginario dell’Orlando furioso di Lorenzo Mattotti incentrati sul tema della guerra e della follia (2008-2009 e 2014) e, dall’altro, le tecniche miste e collage di Gianluigi Toccafondo, profondamente ironici nel restituire la tensione erotica sottesa agli episodi del poema (2014).

Dalle riflessioni sul significato della magia ariostesca e sugli strumenti di guerra contro i quali il poeta polemizza nel Furioso scaturiscono anche i due saggi che compongono la seconda sezione del catalogo. Nel primo contributo, Franco Farinelli prende lo spunto da una delle più straordinarie rivoluzioni della cultura occidentale compiutasi tra l’ultimo scorcio del Quattrocento e i primi del Cinquecento, e cioè «il passaggio dal modello sferico e ricorsivo del Creato al modello tabulare» (p. 116). A partire da quel modo nuovo di concepire la Terra – non più una serie di luoghi, ma un unico spazio, una sfera topologicamente chiusa e finita, ma illimitata –, si giunge, ricorda lo studioso, a elaborare una nuova rappresentazione del mondo: la carta geografica. Se la familiarità di Ariosto con la rappresentazione cartografica è nota, e se più volte è stato rilevato come essa, oltre a echeggiare nei versi del poema, trovi una raffinata rispondenza visiva nelle illustrazioni di cui il Furioso fu corredato nell’edizione pubblicata da Vincenzo Valgrisi, a Venezia, nel 1556, la novità della lettura proposta da Farinelli sta nell’identificazione della magia di Atlante con il prodigio di una mappa. La sospensione di ogni logica processuale e lo scarto straniante tra la vista e il tatto, che caratterizzano i luoghi magici del poema, costituiscono infatti le stesse qualità su cui si fonda l’immagine cartografica. Da qui l’intuizione, suggestiva e ardita, che identifica il libro d’incanti del mago di Carena con la Geografia tolemaica.

Altrettanto interessanti si rivelano le divagazioni sulle armi bianche di Luigi Ballerini, in cui le invettive contro gli inventori e i produttori delle armi da fuoco – da Ariosto espresse prima nel Furioso e poi nelle Satire – sono lette non solo come atto di critica verso la figura di Alfonso I d’Este (fabbricatore appassionato di armi letali che trafficava senza scrupoli), ma anche come frutto di profonde preoccupazioni morali del poeta. L’elogio dell’arma bianca non è, infatti, da considerarsi una semplice nostalgia di un Ariosto laudator temporis acti, ma va interpretato nel contesto di una riflessione filosofica, destinata a durare secoli, su come la perdita di certi saperi cambi il nostro modo di essere uomini. In tale ottica – scrive l’autore, citando anche Leopardi, il quale trecento anni più tardi torna sulla questione –, l’invenzione delle armi da fuoco si profila come aspetto di una drammatica tendenza a uguagliare tutto, dolorosamente e disastrosamente inscritta nella storia umana. La sostituzione dell’archibugio alla spada, dell’artificio alla virtù, impedisce, infatti, di distinguere il forte dal debole e il valoroso dal vile, rendendo inutile la virtù stessa e rischiando così di far scomparire l’individuo, di trasformare l’umanità in gregge.

La terza sezione della mostra si apre con una tela realizzata intorno al 1645 da Simone Contarini e raffigurante Angelica e Medoro, con cui si vuole ricordare la ricca fortuna cinque e secentesca del poema, che non ha trovato spazio nell’esposizione. Seguono le istantanee scattate da Luigi Ghirri negli interni del Teatro Ariosto di Reggio Emilia, decorati nel 1927 da Anselmo Govi con affreschi in stile tardo-liberty raffiguranti scene del Furioso. È da lì che si passa a contemplare la produzione artistica degli anni Settanta e Ottanta, con opere come il Logogrifo omaggio all’Ariosto di Ezio Gribaudo (1974), l’imponente acquerello su carta intelata di Davide Benati (1982), o il disegno a matita Altri mondi e sin al cielo volo di Gabriella Benedini (1974). Seguono i lavori realizzati più di recente o specificamente in occasione della mostra da numerosi artisti italiani e internazionali: lo splendido bronzo di Giuseppe Maraniello (2010); la tela coperta con smalti e foglia d’oro in cui Giuliano Della Casa adopera le parole alla stregua del segno pittorico (2014);  l’inquietante composizione di bronzo e olio su tela di Roberto Barni (2010); la rappresentazione in terracotta di Angelica che fugge, con cui Giuseppe Bergomi sfida le potenzialità espressive del mezzo (2014); la riflessione pittorica sul ritratto a lungo creduto di Ariosto, realizzata da Manolo Valdés (2014), e l’ammaliante rappresentazione di La notte delle meraviglie di Medhat Shafik (2014).

  Giuliano Della Casa, Omaggio a Ludovico Ariosto, 2014, tecnica mista, smalti e foglia d’oro su tela

È infine qui che vengono collocate le foto di scena dell’Orando furioso di Luca Ronconi scattate da Franco Vaccari nel 1969, e i ritratti fotografici de I personaggi dell’assedio di Parigi nell’Orlando furioso, realizzati nel 2014 da Marco Bolognesi con la tecnica di body painting e collage.

A dialogare con tali opere, nella terza sezione del catalogo, sono cinque saggi dedicati ad alcune delle incarnazioni dell’incanto ariostesco. In un ricco contributo dal tono leggero e spiritoso, degno del suo protagonista poetico, Ermanno Cavazzoni ricostruisce la carriera di Astolfo d’Inghilterra, personaggio in cui s’incarna una delle fantasie più straordinarie del Furioso. Alberto Manguel riflette invece sul potenziale immaginativo dell’ippogrifo, animale più unico che raro, in cui si sostanzia l’inventiva poetica di Ariosto e che, si augura l’autore, possa essere salvato dal rischio di estinzione anche, ma non solo, da scrittori fantasy. D’altro canto, Massimo Ciavolella ripropone all’attenzione dei lettori l’analisi della pazzia amorosa di Orlando. I suoi sintomi sono letti e interpretati dallo studioso alla luce della trattatistica medica cinque e secentesca la quale fonda le proprie radici nelle teorie psicologiche e filosofiche del Medioevo basate, a loro volta, sulla dottrina delle facoltà dell’anima sviluppata da Aristotele e sulle teorie mediche di Galeno. In tale contesto nozionistico, il quadro della follia tracciato dal poeta rivela un alto tasso di scientificità, il che consente di comprendere meglio la terrificante trasformazione del paladino di Francia in una bestia licantropa.

L’incanto di cui è capace l’amore ha però nel poema anche il volto di Alcina alla cui figura – insieme a quella, altrettanto sfaccettata e sfuggente, della sua antagonista Melissa – è dedicato il contributo di Daniela Delcorno Branca. Nell’ambiguità propria dello status stesso della fata la studiosa intravede il motivo per cui Ariosto abbia scelto di servirsene per tradurre in figura una delle inquietudini più pressanti, ovvero la potenza delle apparenze, l’impenetrabilità della verità. Ma tale lettura risulta parziale, se si considera che il testo veicola anche l’elogio della simulazione. La visione pluriprospettica del poeta – ricorda la studiosa – problematizza, infatti, fino in fondo la realtà, rendendo la simulazione uno strumento utile, e a tratti necessario, per vivere, e sopravvivere, nella società. La conferma di ciò giunge in parte dal saggio di Dennis Looney dedicato al corpus di 214 lettere ariostesche. Pur se, o forse proprio perché, di regola non composte ad arte (cosa che tanta delusione causò a Croce) le missive del poeta si rivelano capaci di fornire notizie preziose su come egli, servitore degli Este e governatore in loro vece, affrontasse le crisi politiche, sociali e religiose di cui fu testimone.

L’ultima sezione della mostra dà conto della capacità del Furioso di ispirare una ricca e variegata produzione fumettistica, la quale accoglie variamente, sin dalle proprie origini, temi, immagini e figure del poema.[2] Il percorso espositivo prende avvio dalle creazioni di due grandi disegnatori della bande dessinée italiana: Guido Crepax, la cui passione per il Furioso trovò una prima espressione nel dialogo intertestuale tra la storia di Valentina pirata (1976-1978) e il testo ariostesco; e Sergio Toppi, l’autore di un racconto a fumetti Verrà Orlando (1986), in cui i protagonisti di Ariosto appaiono animati dall’inquieta attesa del ritorno del primo paladino di Francia. La mostra consente inoltre di osservare come nella produzione di questi artisti il Furioso sia capace non solo di ispirare nuove narrazioni per parole e immagini, ma anche di svelare una spinta ludica e performativa, diventando un’occasione di gioco. Così, se Sergio Toppi crea le figurine dei personaggi del mondo cavalleresco che nel 1966 compaiono ne “Il Corriere dei Piccoli”, pronte per diventare protagonisti di storie sorte dall’immaginazione dei ragazzi; Guido Crepax inventa, a inizio degli anni Ottanta, il gioco dell’Orlando Furioso, ovvero una variante del gioco dell’oca i cui personaggi e luoghi ri-creano l’universo del poema di Ariosto.

  Guido Crepax, Il gioco dell’Orlando Furioso, 1982, Milano, Archivio Crepax

A testimoniare la vitalità del Furioso è però, nella sezione, anche una scelta di racconti a fumetto che variamente riprendono e rielaborano le sollecitazioni ariostesche. Così, gli astronauti della missione Apollo 17, protagonisti della storia di Paolo Bacilieri (2014), scoprono che, se non è vero che la superficie lunare sia un deposito di ampolle, il poeta può comunque aver avuto ragione nell’ammonire quanto sia facile perdere il senno per una delusione d’amore. Sulla missione lunare di Astolfo riflette anche Francesca Ghermandi le cui vignette attualizzano la vicenda conferendole un immaginario ispirato alla pop art. Una riscrittura ironica e scherzosa delle pene d’amore dei paladini in continua ricerca di Angelica è invece offerta da Tuono Pettinato (al secolo Andrea Paggiaro) in un racconto a fumetti intitolato Or Lando! (2014), mentre nelle Furiose nozioni (2014) Matteo Casali e Giuseppe Camuncoli si soffermano sulle analogie tra l’arte di creazione dei comics e l’attività dei cartografi, capaci – alla stregua dei maghi del Furioso – di produrre un’illusione verosimile del mondo.

A dialogare sottilmente con queste creazioni, oltre che con il Furioso, sono i quattro saggi contenuti nell’ultima sezione del catalogo. Lina Bolzoni ricorda come il testo ariostesco si presti a infiniti attraversamenti in cui il passato s’incontra con il presente. Le interpretazioni figurative sollecitate dalla mostra sono, infatti, l’esito più recente di una lunga storia di ricezione del poema compiuta all’insegna delle immagini, in cui il suo testo fu fatto oggetto di varie operazioni interpretative. Così l’illustrazione libraria ha cercato di disciplinarne variamente la ricezione del Furioso. La lettura allegorica ha mirato a fissare vari momenti della narrazione in istanti bloccati, trasformandoli in veri e propri loci della memoria attraverso i quali veicolare un insegnamento morale ma anche moltiplicare le associazioni mnemoniche in un’esegesi per immagini. Infine, nel gioco scaturito dal poema, fosse quello inventato da Crepax, o quello che in età barocca intratteneva le corti di Torino o Parigi, la memoria del testo si univa all’invenzione, ricreando la trama ariostesca.

I complessi rapporti tra il poema e la narrativa verbo-visiva del fumetto sono invece al centro della riflessione di Roberto Roda il quale in un ricco e avvincente contributo ne ripercorre la storia. Un interessante approfondimento, incentrato specificamente su alcune interpretazioni pittoriche e fumettistiche presentate nella mostra è poi offerto da Enrico Fornaroli, mentre termina la sezione un ampio contributo in cui Stefano Jossa indaga la vitalità del poema nella contemporaneità, analizzandone i riusi e i travestimenti proposti nella letteratura, nel teatro e nel cinema. Si chiude così il volume la cui ricchezza è prova di come il suo curatore, nel rilanciare l’antica sfida di proporre il poema alle interpretazioni dei protagonisti contemporanei dell’arte, abbia vinto la scommessa.

 


1 Cfr. la galleria 'Il poema immaginato. Visioni dell’Orlando furioso tra XX e XXI secolo', Arabeschi, 2, 2013 (http://www.arabeschi.it/il-poema-immaginato/).

2 Si veda, in merito, anche la galleria 'Poemi a fumetti. La poesia narrativa da Dante a Tasso nelle trasposizioni fumettistiche', Arabeschi, 7, 2016 (http://www.arabeschi.it/collection/poemi-a-fumetti/).