Monica Cristini, Nicola Pasqualicchio (a cura di), La scena del perturbante. L’inquietudine fantastica nelle arti dello spettacolo

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Lo spettacolo come essenza del fantastico e il perturbante come massimo grado del fantastico. Come scrive Italo Calvino, «l’elemento “spettacolo” è essenziale alla narrazione fantastica» (p. 8), proprio in quanto attraversato da quella plurima dimensione del visivo, del sonoro e del corporeo che, più della parola, rende possibile «la diretta manifestazione di qualcosa che la ragione non ammette sia offerto alla vista» (p. 8). ‘Fantastico’ che, inoltre, sembra assumere un valore ancora più efficace quando oltrepassa i propri confini, ossia la mera evasione dalla realtà, e si contamina con la narrazione del quotidiano e del familiare, mostrando il volto oscuro in esso celato, e suscitando nello spettatore quel sentimento del ‘perturbante’ che, come analizzato da Freud un secolo fa, trova un profondo radicamento nel rapporto che l’essere umano ha con la vita.

Ecco il fulcro degli undici saggi che compongono La scena del Perturbante. L’inquietudine fantastica nelle arti dello spettacolo (SCRIPTA EDIZIONI, 2018), frutto editoriale del seminario svolto dal gruppo di ricerca sul teatro fantastico attivo all’interno dell’Università di Verona. Secondo i diversi autori che si avvicendano lungo il volume curato da Monica Cristini e Nicola Pasqualicchio, infatti, meriterebbero una maggiore attenzione quelle esperienze artistiche che, nel campo del teatro di prosa e di ricerca, in quello della danza, dell’opera lirica e del cinema hanno sperimentato a livello estetico e tematico, dall’Ottocento a oggi, la relazione profonda che coinvolge il genere fantastico e la categoria del ‘perturbante’.

Un primo contributo a questo campo di ricerca, ancora giovane e da considerarsi in fieri, viene dato dal saggio di Enrico Camparotto, il quale sviluppa, in un’ottica diacronica, un’affascinante indagine sul sentimento del perturbante suscitato da differenti tipi di ‘mostruosità’ corporea: a partire dai freaks che spaventavano per la loro deformità appartenente ancora alla dimensione umana, e per questo motivo subivano una rassicurante disumanizzazione nei freaks shows, fino all’utilizzo, nel teatro della Socìetas Raffaello Sanzio, di corpi nudi sia scheletrici che obesi, esperienza in cui il ‘mostro’ del quotidiano, privato ora di ogni forma di spettacolarizzazione, viene «ricondotto al dato essenziale di una materialità alterata» (p. 28).

Proprio sul teatro italiano post-drammatico e, in particolare, su due lavori, Voilà e Sonno, della compagnia Opera si concentra il saggio successivo, firmato da Monica Cristini. La studiosa ravvisa, attraverso un’attenta analisi delle scelte estetiche e poetiche del gruppo, un chiaro esempio di ‘teatro fantastico-perturbante’ tout court. Lo scritto di Cinzia Toscano si focalizza, invece, sulla recente interazione tra il teatro e la robotica, sperimentata all’interno del progetto giapponese Robot-Human Theatre. Il punto di partenza è dato dalle teorie, molto vicine a quelle di Freud, elaborate da Masahiro Mori negli anni ’70 rispetto alla concezione di uncunny valley, secondo la quale, appunto, la quasi perfetta somiglianza del robot con l’essere umano porterebbe quest’ultimo, nel momento in cui vi si relaziona, a un brusco passaggio dall’empatia all’eccessiva sensazione perturbante.

I due saggi successivi, di Bianca De Mario e Nicola Pasqualicchio, indagano la dimensione del perturbante nel celeberrimo Il giro di vite di Henry James. De Mario, comparando l’omonima rielaborazione operistica di Benjamin Britten e quella cinematografica di Jack Clayton, The Innocents, riconduce il perturbante a precisi elementi della dimensione sonora, come l’alterazione di specifici suoni e la voce di determinati personaggi. Pasqualicchio, sempre attraverso una comparazione che in questo caso mette in relazione tre differenti messinscene dell’opera di Britten, rinviene aspetti specifici della rappresentazione del perturbante nella recitazione dei cantanti-attori e nella raffigurazione dei fantasmi e del loro rapporto con i bambini.

Proseguendo il discorso intorno alla capacità che ha il genere ‘fantastico’ di mantenere le proprie inquietanti attrattive nel passaggio all’intermedialità, Paola Palma ci parla del celebre racconto Figure di cera di André De Lorde e della persistente inquietudine che i simulacri di cera continuano ad emanare nella trasposizione teatrale, cinematografica e nella registrazione sonora su disco.

Sempre incentrato sulla relazione tra medium cinematografico e ‘fantastico’ è il saggio di Dimitri Vezyroglou, il quale, raffrontando due rielaborazioni cinematografiche del romanzo Il carretto fantasma, una muta e l’altra sonora, mette in luce la diversa connotazione che il soprannaturale assume attraverso i silenzi del cinema muto o grazie alle risorse che l’acustico contiene.

Non poteva mancare, in un seminario dedicato al ‘fantastico’, l’attenzione verso la figura del vampiro. S’incentrano su questo gli interventi di Diego Saglia e Matteo De Beni, che studiano la presenza del vampiro nella drammaturgia inglese e spagnola, cogliendone i legami con il contesto sociologico e culturale.

Infine, l’ultima coppia di saggi, di Elena Vitali ed Elena Randi, si dedica all’esperienza del ‘fantastico’ nell’ambito del balletto. Il primo scritto indaga il metamorfismo di cui è costituita la figura diabolica nel balletto italiano dell’Ottocento. L’altro, invece, s’incentra unicamente sul Petruška di Stravinskij, Benois e Fokine. Nell’analisi di quest’opera, la studiosa individua, rispetto al sentimento del perturbante, l’intersecarsi di due piani: uno della dimensione terrena, in cui si avvertirebbe quell’ambiguità tra animato e meccanico della marionetta, e l’altro della dimensione ‘universale’, che vede «una lotta cosmica tra un universo primigenio, ordinato e armonico, e l’irruzione distruttiva di un elemento caotico che lo corrompe e lo minaccia» (p. 13).

La pluralità delle linee tematiche e degli approcci metodologici proposti rendono questo volume una tappa necessaria e importante per chiunque sia interessato ad avere uno sguardo maggiormente critico e attento sul modo in cui l’arte, attraverso il suo legame con la narrazione ‘fantastica’, rielabora il rapporto con il sentire, nella direzione dell’accadere del ‘perturbante’. Una categoria della percezione umana, quest’ultima, che, grazie alla sua capacità di rendere conto della natura profondamente ambigua, disturbante, disorientante e inafferrabile del sentire contemporaneo, ha assunto negli ultimi decenni un ruolo talmente centrale da porsi come una delle strade e delle possibilità più ricche e fruttuose nelle pratiche artistiche di ogni genere e, specialmente, in quella teatrale.