Musica e immagini in Nuova Babilonia tra letteratura e arti figurative

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La nuova Babilonia è un film muto con musiche di Dmitrij Šostakovič realizzato tra il 1928 e il 1929 da Grigorij Kozinčev e Leonid Trauberg, due giovani registi teatrali che nel 1922 – insieme a Sergei Yutkeviche Georgij Križitskij – avevano fondato la FEKS, la “Fabbrica dell’attore eccentrico”. In questo saggio si restituisce in primo luogo il contesto culturale nel quale il film venne concepito, con particolare riferimento alle concezioni estetiche e alle sperimentazioni teatrali dei FEKS, alle coeve ricerche cinematografiche di Pudovkin e di Ejzenstejn, alle teorie ‘formaliste’ sulla letteratura e sul cinema di Viktor Šklovskij. Si rintracciano quindi le fonti storiche e letterarie del film (da Marx a Zola) e se ne individuano i riferimenti biblici presenti sin nel titolo, che rimanda all’Apocalisse di San Giovanni e che – riversandosi sulla tragica vicenda della Comune di Parigi – fa assurgere la metropoli francese a simbolo dell’ingiustizia e della violenza che abitano la Storia. Si procede infine alla ricostruzione del processo compositivo de La nuova Babilonia, segnato da un serrato confronto di Kozinčev e Trauberg con la musica che man mano Šostakoviĉ andava componendo e che – con la sua qualità estetica e la sua modernità – spinse i due registi verso la conquista di più avanzate soluzioni formali grazie all’instaurazione di un’inedita dinamica audio-visiva.

The New Babylon (Novyy Vavilon) is a silent movie with music by Dmitri Shostakovich, written and directed by Grigori Kozintsev and Leonid Trauberg, two young directors that in 1922 – along with Sergei Yutkevich and Georgi Krizintsky – have founded the FEKS, the Eccentric Actors’ Factory. This paper will firstly piece together all the elements useful to describe the cultural context in which the film was conceived, withregards to the aesthetic ideas and the FEKS’ experimental theatrical approaches, to contemporaries film productions by Pudovkin and Ejzenstejn, to Viktor Shklovski’s formalist theories on literature and film. From Marx to Zola, historical and literary sources of the film will be traced, in order to identify biblical references, used since the title, which refers to the Apocalypse of John and that, through the glass of tragic events of the Paris Commune, considers the French metropolis as a symbol of injustice and violence ever-present during History. The compositional process of The New Babylon will then by reconstructed, marked by an active debate between Kozintsev and Trauberg, from one side, and Shostakovich, on the other one, while the last one carried on with his music, of a so great aesthetic quality and modernity to urge on the two directors towards new, most advanced formal solutions turned to an uncommon, original audio-visual trend.

1. Le ‘vicende’ del film

La nuova Babilonia è un film in otto parti di Grigorij Kozinčev e Leonid Trauberg con musiche di Dmitrij Šostakovič prodotto dallo Studio cinematografico Sovkino, costituito nel 1924 per decisione del Consiglio dei Commissari del popolo allo scopo di sostenere la produzione cinematografica dell’Unione Sovietica. Il film fu proiettato per la prima volta a Leningrado il 18 marzo 1929, 58o anniversario della costituzione della Comune di Parigi, e venne quindi replicato a Mosca; la partitura di Šostakovič fu eseguita a Leningrado con la direzione di Mikhail Vladimirov, mentre a Mosca l’orchestra fu diretta da Ferdinand Krish.

L’audace sperimentazione condotta dai due registi e la novità della scrittura musicale, resa ancor più ostica dalla scadente qualità delle esecuzioni, provocarono l’insuccesso di Nuova Babilonia presso il pubblico e accesi dibattiti nella stampa coeva; dopo poche proiezioni la musica composta per il film venne accantonata e sostituita da uno di quei centoni di brani preesistenti, messi insieme da direttori-compilatori, che era consuetudine impiegare nei cinema sovietici del tempo. Il film venne distribuito in Europa senza la musica di Šostakovič e si pensò che la partitura fosse stata smarrita. Solo nel 1975, poco dopo la morte del musicista, il direttore d’orchestra Gennadi Rozhdestvensky ha scoperto nella Biblioteca Lenin di Mosca un set completo di parti orchestrali.[1] Il 21 novembre di quello stesso anno al Théàtre National de Chaillot, nell’ambito del Festival Cinematographique International de Paris, si è tenuta la prima proiezione moderna di Nuova Babilonia, sulla base della versione del film realizzata in occasione della première del 1929 e con la musica di Šostakovič eseguita dal vivo dell’Ensemble Ars Nova diretto da Marius Constant.

Il 22 settembre 1982 il British Film Institute ha proiettato la stessa versione del film con la London Lyric Orchestra diretta da Omri Hadari; in tale occasione è stata utilizzata la partitura pubblicata dalla casa editrice inglese Boosey & Hawkes, ricostruita a partire dal nuovo materiale rinvenuto nella Biblioteca Centrale di Musica e nella Biblioteca dell’Istituto Russo di Storia dell’Arte di San Pietroburgo: una copia della partitura con correzioni autografe del compositore e le edizioni delle litografie delle parti orchestrali e della riduzione per pianoforte, pubblicate entrambe da Sovkino nel 1929 in concomitanza con l’uscita del film.[2] Infine, nel Dipartimento manoscritti del Museo di Stato Glinka a Mosca è stata rinvenuta la partitura autografa completa di Shostakovich, che presenta le correzioni e i tagli operati dal musicista a ridosso della prima proiezione di Nuova Babilonia. Il ritrovamento dell’autografo e la sua collazione con le altre fonti ha reso possibile la realizzazione dell’edizione critica della musica, pubblicata nel 2004 dalla casa editrice DSCH come volume 122 degli Opera omnia del compositore russo;[3] quest’edizione, curata da Manashir Iakubov, ha permesso non solo di ripristinare la musica originale di Nuova Babilonia ma soprattutto di ricostruire l’unità audiovisiva del film grazie alle indicazioni relative alla sincronizzazione con le immagini, presenti nella partitura di mano di Šostakovič.[4]

Nel frattempo nei primi anni Ottanta è stata rintracciata presso la Cinémathèque Suisse una differente copia di Nuova Babilonia, con un diverso titolo (Der Kampf von Paris) e le didascalie in tedesco, che rispetto all’edizione ‘ufficiale’ del film contiene 178 sequenze in più, tagliate dagli autori nelle ultime settimane di lavorazione. In verità non si tratta della sola versione di ‘esportazione’ del film: esistono altre copie, tutte destinate al mercato europeo, che vennero sottoposte a diversi interventi censori, verosimilmente successivi alla diffusione della versione della Cinémathèque Suisse, e per lo più attuati su riprese ritenute troppo ‘erotiche’ o dalle discutibili implicazioni politiche. Queste copie sono ancor più brevi della versione proiettata nel 1929 a San Pietroburgo e a Mosca; nondimeno è stata la scoperta delle sequenze girate da Kozintsev e Trauberg, ma soppresse nella versione definitiva, a suscitare l’interesse degli studiosi.

Un tentativo di recupero della versione ‘lunga’ di Nuova Babilonia, con la partitura di Šostakovič ripresa nell’edizione DSCH, è stato realizzato dallo studioso del cinema muto sovietico Marek Pytel, che per ottenere una convincente sincronizzazione tra la musica e le immagini ha scelto di proiettare il film a 24 fotogrammi al secondo.[5] La ricostruzione di Pytel è stata presentata in DVD nel 2006 dalla casa di produzione Realityfilm, costituita dallo studioso per promuovere la diffusione dei capolavori del cinema muto. In quello stesso anno Arte Edition ha prodotto il DVD della versione cinematografica ‘ufficiale’, con la partitura di Šostakovič in edizione critica eseguita dalla SWR Radio Orchestra Kaiserslautern sotto la direzione di Frank Strobel. La versione ‘lunga’ restaurata da Pytel è stata proposta a Chicago il 26 e 27 gennaio 2007 con la Chicago Symphony Orchestra diretta da Barbara Schubert, e quindi presentata all’Opera North di Leeds il 16 e 17 maggio 2009; la versione filmica del 1929 ha invece inaugurato nel 2011 il 30th Pordenone Silent Film Festival, con la FVG Mitteleuropa Orchestra diretta da Mark Fitz-Gerald. In una ʻlettera apertaʼ a David Robinson, direttore artistico del Festival di Pordenone, Pytel ha contestato la scelta di privilegiare la pellicola editata da Sovkino e ha rivendicato l’autenticità della propria riedizione di Nuova Babilonia, che proporrebbe il film e la sua musica nella «forma che il compositore (e i registi) avevano in principio previsto»;[6] a suo parere infatti i tagli realizzati all’ultimo momento da Kozinčev e Trauberg sarebbero stati il frutto di imposizioni dettate da ragioni politiche e avrebbero snaturato il significato originario del film.[7]

Da parte sua Leonid Trauberg ha accreditato la versione della première del 1929 come la sola «che Kozintsev e il nostro collettivo di artisti – tra cui Dmitri Shostakovich – autorizzammo», e ha indicato le sequenze presenti nella versione ‘lunga’ di Nuova Babilonia come «scene da me tagliate. Non materiale andato perduto, ma scene che io e Kozintsev avevamo deliberatamente eliminato»;[8] in una tarda intervista concessa allo stesso Pytel e alla studiosa russa Natalia Noussinova, ha inoltre precisato che «la musica composta da Šostakovič è [quella] prevista per la versione finale, dunque non vi era accompagnamento per quegli estratti».[9] Nonostante queste dichiarazioni, il dibattito sulle due redazioni filmiche non è venuto meno e si è intrecciato con le polemiche suscitate dalla controversa pubblicazione delle memorie di Šostakovič a cura di Solomon Volkov, che ha sollevato il problema della contraddittoria posizione del musicista nei confronti del regime sovietico.[10] I limiti di questo dibattito – che è proseguito sulle pagine del DSCH Journal – risiedono nel suo carattere meramente ‘politico’: solo un’analisi strutturale ed estetica del film, inteso nella sua indissolubile unità di immagini e musica, può dare una risposta ai nodi critici tuttora insoluti.

 

2. Šostakovič, i FEKS e il ‘formalismo’ russo

Grigorij Kozinčev e Leonid Trauberg erano due giovani registi teatrali che nel 1922 – insieme a Sergei Yutkevich e Georgij Križitskij – avevano fondato la Fabbrica dell’attore eccentrico (Fabrika Ekscentričeskogo Aktëra), designata con la sigla FEKS. La costituzione del gruppo era stata preceduta da una Discussione pubblica sul Teatro Eccentrico, tenuta nel dicembre del 1921 nei locali della Commedia libera di Leningrado, ed era avvenuta in concomitanza con la pubblicazione de Il Manifesto dell’Eccentrismo (Ekscentrizm) con il quale i FEKS si presentarono all’intelligenzija russa con tutto l’impeto iconoclasta delle avanguardie post-rivoluzionarie.[11]

Come ha evidenziato Paolo Bertetto, «il nodo teorico fondamentale» del Manifesto dell’Eccentrismo era «costituito dall’affermazione dell’industrializzazione e della metropoli come qualità essenziali dell’epoca moderna».[12] L’esaltazione della modernità e dello sviluppo tecnologico, già rivendicata dal movimento futurista, si intersecava altresì con il richiamo a talune manifestazioni della cultura di massa americana come il circo, il music-hall e il cinema.[13] Componente essenziale dell’operazione culturale dei FEKS era infatti la rivalutazione di un’arte ‘bassa’ in contrasto con la dimensione ‘sublime’ della tradizione occidentale: alla rivendicazione dei generi di spettacolo d’oltreoceano si affiancava perciò il recupero delle forme di divertimento della tradizione popolare russa, che nella pratica spettacolare era già stato promosso dal Laboratorio teatrale fondato nel 1913 da Vsevolod Mejerchol’d.[14]

I FEKS esordirono con spettacoli estremamente provocatori. In particolare fece molto scalpore la messa in scena de Il cappotto di Gogol’, realizzata nel 1922 e presentata da Kozinčev e Trauberg come un «trucco in tre atti», per l’inserzione di numeri acrobatici e clowneschi e la proiezione di sequenze di film di Chaplin che interagivano con le azioni degli attori sul palcoscenico. Del Cappotto i due registi nel 1926 realizzarono anche una versione cinematografica, Shinel, per la quale attinsero anche ad altri testi dello scrittore russo, tratti dai Racconti di Pietroburgo; la sceneggiatura del film fu approntata dal filologo Yuri Tinyanov, che – insieme a Viktor Sklovskij, Boris Ejchenbaum e Osip Brik – era il principale esponente dell’OPOJAZ (Obscestvo Izucenija Poeticeskogo Jazyka), ovvero la  Società per lo studio del linguaggio poetico che si era costituita a Pietroburgo nel 1916, e che avrebbe dato un contributo decisivo all’elaborazione di una concezione formalista della letteratura e dell’arte.

La collaborazione tra Tinyanov e i due fondatori della FEKS – che sarebbe proseguita nel 1927 con il film S.V.D.Sojuz Velikogo Dela (S.V.D. - L’Unione della Grande Causa) – conferma lo stretto rapporto che negli anni Venti si sviluppò tra i formalisti russi e l’avanguardia cinematografica: un rapporto che si tradusse in concrete collaborazioni (anche Sklovskij fu autore di soggetti e sceneggiature per il cinema), ma che si esplicò pure su un piano specificamente teorico. Basti citare il volume collettaneo Poetika kino (Poetica del cinema), che fu pubblicato nel 1927 a cura di Ejchenbaum e che conteneva – oltre a scritti di Tynjanov, Šklovskij e dello stesso Ejchenbaum – testi di Adrian Piotrovskij e del cine-operatore Andrei Moskvin, legati anch’essi alla FEKS.[15]

I contributi raccolti in Poetika kino erano variegati, ma nel complesso costituivano il primo tentativo coerente di una legittimazione estetica del cinema da parte degli studiosi del formalismo. Al di là dei diversi punti di vista, condividevano inoltre un’idea dell’arte cinematografica come ‘alterazione’ della percezione consueta della realtà, che si poneva in linea con la nozione di ‘straniamento’ introdotta da Šklovskij nel suo fondamentale testo del 1925 Teoria della prosa.[16] Lo stesso Šklovskij dedicò ai FEKS uno scritto nella raccolta di saggi Il punteggio di Amburgo,[17] nel quale esprimeva anche un giudizio estremamente positivo sul film S.V.D.:

Attraverso il convenzionale La grande ruota e Il cappotto […] i FEKS, distruggendo le retrovie dell’avversario, sono approdati a S.V.D., il film più elegante dell’Unione sovietica. […] Naturalmente S.V.D. è uno dei migliori film storici sovietici. È un film fatto magnificamente, ma in futuro i FEKS che intendono lavorare su materiale attuale o storicamente attuale cercheranno di fare un film sul tema Le colonie agricole ebraiche o La comune di Parigi.[18]

Il ragguaglio da parte di Šklovski sui progetti in cantiere dei FEKS è ulteriore riprova dei fitti contatti tra Kozinčev e Trauberg e i formalisti. Quando a inizio del 1928 Piotrovskij commissionò ai due registi un nuovo film, la scelta cadde su uno dei soggetti preannunciati da Šklovski, la storia della Comune di Parigi. L’idea veniva da Pavel Bliakin e piacque subito a Kozinčev e Trauberg, che decisero di commissionare a un musicista professionista un apposito accompagnamento sonoro sul modello de La corazzata Potëmkin di Ejzenštejn. Su mandato della società Prometheus film, che curava la distribuzione dei film sovietici in occidente, la musica per la versione tedesca di quel film era stata composta dal musicista austriaco Edmund Meisel in stretta collaborazione con il regista, come avrebbe ricordato lo stesso Ejzenštejn:

Il Potëmkin – almeno nelle copie che circolarono all’estero – ebbe uno speciale commento musicale, scritto appositamente da Edmund Meisel, autore, prima e dopo, della musica di altri film muti. […] Più insolito fu forse il modo in cui venne composta la musica del Potëmkin, scritta pressappoco come si lavora oggi a una colonna sonora: o almeno come si dovrebbe sempre lavorare, con amicizia e solidale collaborazione creativa tra compositore e regista. Fu quanto avvenne con Meisel, nonostante il breve tempo che gli fu concesso per la composizione e la brevità della mia visita a Berlino nel 1926 per questo scopo. Accettò subito di trascurare la funzione puramente illustrativa comune in quell’epoca (e non in quell’epoca soltanto!) agli accompagnamenti musicali, e di accentuare certi «effetti», specialmente nella «musica delle macchine» dell’ultima bobina. […] Fu dunque il Potëmkin che a questo punto si staccò stilisticamente dai limiti del «film muto con illustrazione musicale» per entrare in una nuova sfera, quella del film sonoro, i cui veri modelli presentano una fusione di immagini musicali e visive, che ne fanno opere fondate su un’unità audiovisiva.[19]

Il 29 agosto Kozinčev e Trauberg ottenevano da Sovkino l’autorizzazione di rivolgersi a Šostakovič per la composizione delle musiche per Nuova Babilonia.[20] I due registi avevano molte ragioni per scegliere il giovane compositore di Leningrado: Šostakovič conosceva bene il linguaggio filmico, poiché tra il 1922 e il 1926 aveva lavorato come pianista accompagnatore in uno dei principali cinema della città;[21] aveva già raggiunto il successo come compositore con la trionfale accoglienza della sua Prima Sinfonia, data a Leningrado in prima esecuzione assoluta il 12 maggio 1926; collaborava con i principali esponenti dell’avanguardia del tempo (da Mejerchol’d a Majakovskij, da Sollertinsky a Zoshchenko) e – grazie all’amicizia personale con Tinyanov e Eikhenbaum – era vicino al gruppo dei formalisti. In più Šostakovič condivideva con i FEKS l’amore per la letteratura russa e in particolare l’ammirazione per autori come Dostoevskij, Cechov, Gogolʼ e l’amico Mikhail Zoshchenko, i quali si avvalevano dello humour e del grottesco per esprimere una concezione tragica della vita: su uno dei gogoliani Racconti di Pietroburgo aveva appena composto un’opera, Il naso (Nos),[22] che sarebbe stata rappresentata soltanto nel 1930 ma della quale negli ambienti intellettuali russi si era già a conoscenza.[23]

In Nos il compositore traspone musicalmente la vicenda fantastica e surreale di un naso che si separa dal volto a cui appartiene (quello di un piccolo burocrate di provincia), integrando nella propria scrittura le due dimensioni, tragica e farsesca, presenti nel racconto gogoliano. Un corrosivo sarcasmo contrassegna anche le musiche di scena composte da Šostakoviĉ per la pièce teatrale La cimice (Klop) di Majakovskij, che venne allestita a Mosca con la regia di Trauberg nel Teatro di Mejerchol’d il 13 febbraio 1929 poco prima dell’uscita di Nuova Babilonia. Hélène Bernatchez ritiene probabile che il musicista fosse a conoscenza dello scritto di Tynianov Dostoevskij e Gogol. La teoria della parodia (Dostoyevsky i Gogol. K teorii parodii), edito nel 1921, e più in generale della riflessione sulla ‘parodia’ condotta negli anni Venti dai principali esponenti del formalismo; secondo la studiosa il merito di Šostakovič fu quello di applicare alla musica nozioni e procedimenti propri della tradizione letteraria europea, specie di quella russa:

I concetti di ironia, parodia, satira, grottesco, humour e commedia erano usualmente applicati alla letteratura e non a un’arte asemantica come la musica. Parodia e ironia erano riferite all’accostamento di due o più livelli di incongruità […]; sebbene questi concetti provenissero dall’epoca prerivoluzionaria, i FEKS li avevano ripresi dai primi anni Venti e Šostakoviĉ fu influenzato da queste idee grazie al suo lavoro con Mejerchol’d.[24]

Per completare questa preliminare ricostruzione delle coordinate storico-culturali di Nuova Babilonia va rilevato che negli anni Venti furono messe in scena a Leningrado diverse opere d’avanguardia del teatro musicale europeo. In particolare al Teatro Mariinsky si rappresentarono Salome di Richard Strauss (1924), Der ferne Klang di Franz Schreker (1925), L’amour des trois oranges di Prokofiev (1926), nonché il Wozzeck di Alban Berg (1927) con la presenza dello stesso autore, che il giovane Šostakoviĉ ebbe modo di incontrare personalmente. Al Piccolo Teatro dell’Opera (Malyj Opernyj Teatr) invece vennero date Der Sprung über den Schatten (1927) e Jonny spielt auf (1928) di Ernst Křenek e Der arme Kolumbus (Kolumbus nella realizzazione di Leningrado, 1929) di Erwin Dressel; in quest’ultima occasione il direttore artistico del Malyj, Nikolaj Vasil’eviĉ Smoliĉ, si rivolse a Šostakoviĉ perché componesse due brani, uno dei quali per l’inserzione di un film animato.

 

3. Il film

In Nuova Babilonia si ricostruisce la storia della Comune di Parigi, istituita il 18 marzo 1871 dalla popolazione della città che – contraria alla pace con la Prussia imposta dal governo Thiers – proclamò la repubblica, instaurando un regime di stampo democratico e socialista. L’esperienza della Comune fu interrotta dalla violenta reazione del governo e dell’Assemblea nazionale, che si rifugiarono a Versailles e che il 28 maggio, con il sostegno dell’esercito, ripresero il controllo di Parigi, procedendo all’uccisione indiscriminata di almeno 20.000 persone tra cui donne e bambini.

Le fonti storiche alle quali guardarono Kozinčev e Trauberg furono la cronaca del giornalista e comunardo Prosper-Olivier Lissagaray Huit jours de mai derrière les barricades (1871), il dramma di Jules Vallès e Henri Bellenger La commune de Paris (1872) e soprattutto lo scritto di Karl Marx The Civil War in France (1871). Da quest’ultimo i due registi ripresero specifici episodi, come l’abbattimento della Colonna della vittoria di Piazza Vendôme, e considerazioni di carattere politico, come la critica del carattere pacifico della rivoluzione. Soprattutto accolsero la raffigurazione polemica della débâcle della Comune come ‘spettacolo’ per la borghesia riparata a Versailles, e la contrapposizione simbolica tra il popolo di Versailles e quello di Parigi:

La Parigi del signor Thiers non era la Parigi reale della “vile moltitude”, era una Parigi spettrale, la Parigi dei franchi truffatori, la Parigi dei boulevards, maschi e femmine: la Parigi ricca, capitalista, coperta d’oro, infingarda, che ora ingombrava, coi suoi lacchè, coi suoi ladri in guanti gialli, con la sua bohème di letterati e con le sue cocottes, Versailles, Saint-Denis, Rueil e Saint-Germain; che considerava la guerra civile soltanto come una gradevole diversione; che seguiva lo sviluppo della battaglia coi boccoli, contava i colpi di cannone e giurava sul suo onore e su quello delle sue prostitute che lo spettacolo era allestito molto meglio di quanto non si usasse al teatro delle Porte St. Martin.[25]

I due registi guardarono anche alla tradizione letteraria francese, in particolare a L’année terrible (1872) di Victor Hugo, una serie di poemi in versi alessandrini dedicati a ciascuno dei mesi intercorsi tra l’agosto 1870 e il luglio 1871, nonché a due romanzi di Émile Zola: La débâcle (1892), dedicato ai tragici eventi della guerra franco-prussiana e della Comune, e Au bonheur des dames (1883), rivolto alla rappresentazione della realtà dei grandi magazzini. Nella predisposizione dell’intreccio, Kozinčev e Trauberg sovrapposero i due romanzi di Zola, ambientando parte della vicenda del film proprio in un grande magazzino dal nome ʻLa nuova Babiloniaʼ, nel quale la protagonista del racconto lavora come commessa. Il richiamo alla capitale dell’antico impero babilonese, presentata nella Bibbia come metafora del male, fu probabilmente suggerito da un passo dell’ultimo capitolo de La débâcle, laddove la visione di Parigi sotto il fuoco dell’artiglieria francese si configura agli occhi del capitano prussiano Otto Gunther come «le spectacle de la Babylone en flammes».[26] Ma nello scenario del film l’appellativo ʻnuova Babiloniaʼ rimanda all’iniquità del sistema economico capitalista, e quando la débâcle della Comune si consuma sotto l’insegna del grand magasin assume una portata più vasta, assurgendo a simbolo dell’ingiustizia e della violenza che abitano la Storia.

Inizialmente Kozinčev e Trauberg avevano immaginato una vicenda d’amore, raccontata con una narrazione lineare di stampo tradizionale; successivamente si orientarono in direzione del tutto diversa per il sopravvenire di importanti sollecitazioni: da un lato il film di Pudovkin La fine di San Pietroburgo (1927), che li indusse a spostare il baricentro del racconto sulla dimensione collettiva,[27] dall’altro La corazzata Potemkin (1925) e Ottobre (1928) di Ejzenstejn, in cui era messa in pratica la teoria del ʻmontaggio intellettualeʼ che il regista avrebbe enunciato nei suoi successivi scritti teorici.[28] Non meno determinante fu il confronto con Šostakoviĉ, che Kozinčev e Trauberg incontrarono per la prima volta il 9 dicembre del 1928. Kozintsev avrebbe ricordato così quel loro primo colloquio:

Dopo aver visto il film (che non avevamo ancora finito di montare) egli accettò di scrivere la partitura. […]. Fummo subito d’accordo con il compositore che la musica doveva svilupparsi in opposizione all’azione esterna al fine di rivelare il senso profondo di ciò che stava accadendo.[29]

In quest’idea di un raccordo non esteriore tra musica e racconto si può ravvisare un ulteriore influsso del serrato dibattito sul cinema portato avanti in quegli anni dall’intellighenzia sovietica: proprio nel 1928 Ejzenstejn aveva redatto una Dichiarazione sul «futuro del film sonoro», nota come Manifesto dell’asincronismo, in cui sosteneva che «soltanto l’impiego contrappuntistico del suono rispetto all’immagine» poteva offrire «la possibilità di nuove e più perfette forme di montaggio».[30]

Il 20 febbraio presso lo Studio Sovkino di Leningrado Šostakovič eseguì al pianoforte la musica composta per il film, che fu apprezzata per la sua «immensa forza emozionale», per la capacità di «amplificare grandemente l’effetto delle immagini», per l’estrema «originalità e potenza formale».[31] Lo stesso 20 febbraio Kozinčev e Trauberg si recarono a Mosca per sottoporre il film alla Commissione preposta al controllo della produzione cinematografica, che ne concesse l’autorizzazione con un giudizio oltremodo lusinghiero e privo di riserve:

È un poema sulla Comune di Parigi recitato in brillante linguaggio cinematografico. Il Comitato centrale preposto alle pubbliche rappresentazioni ha protocollato Nuova Babilonia come un film di prima categoria, ponendolo di fatto nella lista dei migliori film sovietici.[32]

Il 27 febbraio i due registi tornarono a Leningrado e intervennero in maniera radicale sulla pellicola, con il taglio di 700 degli originali 2900 metri, e con un rimontaggio completo.[33] Se si può supporre un suggerimento della Commissione di Mosca in merito alla riduzione della durata del film (che passò da quasi due ore a novanta minuti), è difficile ricondurre il ripensamento di Kozinčev e Trauberg a un’azione di censura di natura politica: a parte l’evidenza del positivo giudizio della Commissione, le sequenze rimosse – contenute nella versione ‘lunga’ e definite più avanti da Trauberg «materiale […] che Kozinčev e io giudicammo superfluo o mediocre»[34] – non presentano alcuna implicazione ideologica. Da un ricordo più tardo di Trauberg si può intuire la ragione profonda della riscrittura dello scenario:

Un po’ alla volta, perdemmo gusto per le labirintiche complessità della trama […]; un affresco sociale mostrato attraverso una moltitudine di facce, situazioni e oggetti e un ritratto collettivo dell’epoca ci parvero infinitamente più interessanti. Le pagine della sceneggiatura diminuirono, per essere rimpiazzate, sulla straordinaria spinta musicale dell’epoca, da un affresco dinamico.[35]

La qualità estetica della musica di Šostakovič e la modernità delle scelte compositive dovettero dunque giocare un ruolo decisivo nella reimpaginazione di Nuova Babilonia, che Kozinčev e Trauberg perseguirono sperimentando avanzate soluzioni formali. Mentre orchestrava l’originaria redazione pianistica, Šostakovič fu a sua volta costretto ad adattare la musica già composta alla nuova versione del film, che presenta un’inedita interazione tra le immagini e la componente sonora e si configura come una compiuta unità audiovisiva.

 

4. Forma e tecniche cinematografiche

L’influsso del pamphlet di Marx sulla concezione strutturale di Nuova Babilonia è stato riconosciuto esplicitamente da Trauberg:

Beninteso, la celebre dichiarazione di Marx è stata per noi di importanza decisiva non solo sul piano delle idee ma anche sul piano stilistico. Vi si trovava semplicemente un’illustrazione dell’appello: «I borghesi di Versailles applaudono la caduta delle barricate».[36]

In Nuova Babilonia l’immagine marxiana si traduce nell’associazione provocatoria tra la tragicità degli avvenimenti della Storia e il mondo fatuo dell’operetta, presentato come riflesso dell’universo umano e culturale della borghesia parigina; l’associazione è esplicitata nella quarta parte del film, nella quale il ‘fiasco’ della preparazione di un’operetta viene simbolicamente appaiato a quello dell’esercito regolare francese, che non riesce a disarmare la Guardia nazionale ed è costretto a lasciare Parigi.

L’idea portante della Storia come operetta si interseca poi con un altro campo semantico, riassunto nella didascalia ʻA buon mercatoʼ; «al momento del montaggio – avrebbe raccontato Trauberg in un’intervista – abbiamo riunito tutto con la scritta “Vendesi a buon mercato”. Si vende a buon mercato la forza militare, si vendono a buon mercato le attrici e si vende a buon mercato la merce nel negozio».[37] La didascalia, proposta a più riprese in varie dimensioni e in punti disparati dello schermo, compare sin dalla prima parte del film e mette in relazione l’immagine della folla plaudente dinanzi al treno che trasporta l’esercito francese, quella del café concert, in cui le attrici si offrono agli avventori, e quella dell’atelier La nuova Babilonia, invaso dalla smania consumistica delle clienti. Quando la Comune cadrà sotto i colpi dell’artiglieria nemica, la formula ʻA buon mercatoʼ acquisterà funzione intradiegetica poiché sarà ‘gridata’ dalla protagonista in mezzo ai cadaveri dei combattenti: viene così suggerito un ulteriore collegamento oltre a quelli proposti nella prima parte, che pone sullo stesso piano i soldati, le donne del cabaret, le merci dei grandi magazzini e infine i comunardi.

Questi processi associativi sono perseguiti tramite il montaggio alternato, che si pone come il principale «nodo strutturale»[38] di Nuova Babilonia e che, se da un lato genera una rete di connessioni sotterranea, dall’altro si basa sulla discontinuità e sul conflitto. Il film è tutto costruito sull’accostamento di situazioni e materiali visivi discrepanti, rapportati alle classi sociali antagoniste della borghesia e del proletariato: la dignità delle donne del popolo, mostrate nella fatica del lavoro, viene contrapposta alla frivolezza delle attrici, le figure austere dei comunardi sono poste in contrasto con l’arroganza del ʻpadroneʼ, e l’idealismo sprovveduto del ʻgiornalistaʼ con l’affarismo e la retorica tendenziosa del ʻdeputatoʼ.

L’organizzazione temporale del montaggio alternato appare estremamente calcolata: ad esempio è vistoso il passaggio dal dinamismo vorticoso delle prime due parti alla staticità della terza, e dalla veemenza drammatica del sesto episodio (Le barricate) alla quiete angosciosa degli ultimi due. In entrambi i casi la decelerazione del ritmo del montaggio consente alla spettatore di ‘scaricare’ la tensione sin lì accumulata e di prendere respiro dalla frenetica successione di inquadrature mobili e sconnesse, che talora non superano la durata di un secondo. Nei momenti salienti del film i due registi procedono infatti per stacchi continuati e vertiginosi, spesso associati a immagini ‘eccentriche’: come accade alla fine del secondo episodio con la convulsa alternanza tra la figura del giornalista che annuncia la disfatta, la minacciosa avanzata dei prussiani, la ripresa ‘alterata’ dell’immagine del treno, le sequenze della danza sfrenata del café concert. Un analogo, spasmodico sovrapporsi di fotogrammi si registra alla fine della quinta parte, quando da Versailles ci si appresta a far fuoco su Parigi e – mentre i borghesi cantano la Marsigliese – si susseguono le immagini ingrandite e ravvicinate di trombe e tromboni, e poi quelle degli imponenti mascheroni di Notre-Dame, dei grandi magazzini e di nuovo delle danze sfrenate, in un montaggio rapidissimo che infrange le abituali strategie percettive e genera inesplorati itinerari di senso. L’esito di un impiego del montaggio così temerario è una «distorsione semantica»[39] del rappresentato, che corrisponde alla nozione formalista di ‘straniamento’ e che è perseguita anche con altre sofisticate tecniche compositive: l’adozione sistematica di inquadrature oblique e parziali, la contraffazione caricaturale della forma consueta delle figure (ad esempio attraverso ‘soggettive’ deformate dal basso o il ricorso a un vistoso maquillage dei volti degli attori),[40] la concentrazione su dettagli investiti di valenza espressiva (come la presentazione del protagonista attraverso il primo piano delle scarpe sfondate, simbolo manifesto della sua condizione di povertà).

Lo sconvolgimento della consueta idea del cinema come riproduzione fotografica della realtà, lo «spostamento della percezione dell’oggetto dall’orizzonte del ʻriconoscimentoʼ all’orizzonte della ʻvisioneʼ»,[41] non è l’unico tributo di Kozinčev e Trauberg a una concezione estetica formalista: a essa rimandano diversi procedimenti costruttivi, che assumono un carattere ‘autoriflessivo’ tipicamente novecentesco e – nel momento in cui attirano l’attenzione sulla dimensione formale del film – rendono evidente la ‘presenza estetica’ degli autori. Basti pensare all’organizzazione speculare del primo episodio, che si apre e si chiude con le immagini dei soldati alla stazione, o ancora alla corrispondenza tra situazioni similari, disposte simmetricamente nell’architettura complessiva del film: nel secondo episodio Louise, invitata a cena dal ʻpadroneʼ, vive con un senso di estraneità il clima gaudente e disinibito del café concert; nel settimo il soldato Jean, che cerca la giovane comunarda in mezzo al baccano dei festeggiamenti per la caduta della Comune, sperimenta la stessa condizione di alterità dinanzi alla volgarità dell’universo borghese.

Non meno rilevante è il ruolo della fotografia, piegato anch’esso da Kozinčev e Trauberg alla «costruzione di una ʻforma difficileʼ»:[42] utilizzando lenti speciali e altri particolari accorgimenti (come l’uso del fumo e del vapore), Andrei Moskvin mise in pratica una tecnica ‘pittorica’ di ascendenza impressionista, con la messa a fuoco dei soggetti in primo piano e la confusa indistinzione di quelli sullo sfondo.

 Nuova Babilonia, parte seconda Édouard Manet, Un bar aux Folies-Bergère, prima versione (olio su tela, 1881), collezione privata

Questa tecnica a sua volta si riconduce alla pittura francese del tempo e va di pari passo con la creazione di veri e propri ‘piani-tableaux’, che si rivelano libere citazioni di precise opere: Café concert, La Prune e Les Folies bergères di Manet, Dans un café, Chez la modiste e Les blanchisseuses di Degas, L’émeute, e la serie di caricature di Daumier riservate a Les bons bourgeois, il ritratto di Suzanne Valadon di Toulouse Lautrec, le molteplici riproduzioni del ballo del can-can.

 Édouard Manet, Café concert (olio su tela, 1879), The Walters Art Museum, Baltimore Nuova Babilonia, parte seconda

In alcune sequenze si intravede il richiamo a precisi modelli iconografici, radicati nell’immaginario artistico europeo (la Madonna col bambino, l’immagine sofferente di Maria Maddalena delle), in altre si può cogliere il riferimento alla più recente tradizione fotografica delle ‘vedute’ urbane, riconoscibile nei fotogrammi delle riprese di Parigi dall’alto.

 Donatello, Maddalena penitente (scultura in legno, 1455-1456), Museo dell’Opera del Duomo, Firenze Nuova Babilonia, parte seconda

Tra le citazioni figurative di Nuova Babilonia particolare attenzione meritano i due personaggi femminili che compaiono nello spettacolo del café concert del primo episodio, collegato senza soluzione di continuità alle manifestazioni di patriottismo antiprussiano delle sequenze inaugurali del film: in scena si esibisce prima una giovane donna con il berretto frigio sul capo, la bandiera della Francia nella mano destra, uno scudo in quella sinistra, ai piedi un’altra donna con stivali ed elmo dell’esercito prussiano; quindi una seconda attrice distesa su una nuvola, i raggi del sole alle spalle, un diadema in testa, una corona con foglie di quercia nella mano destra e un fascio littorio in quella sinistra.

 Nuova Babilonia, parte prima Nuova Babilonia, parte prima

Sono tutti attributi che rimandano alla ʻMarianneʼ, raffigurazione allegorica della Francia rappresentata nel celebre quadro di Eugène Delacroix La Liberté guidant le peuple, riproposta in innumerevoli versioni negli anni della rivoluzione e della Prima Repubblica e tornata in auge dopo la sconfitta di Sedan.[43]

 Eugène Delacroix, La Liberté guidant le peuple Martial Deny, Liberté (stampa, 1792)

A ben vedere le due figure – che in una sequenza successiva si presentano appaiate – corrispondono alle due allegorie della Francia in voga nella Terza Repubblica, la prima ancora legata all’iconografia rivoluzionaria, la seconda affrancata dagli ideali dell’89; in quest’ultima versione un diadema sostituisce il berretto frigio che, indossato dagli schiavi in epoca romana, veniva reputato troppo sovversivo dalla borghesia conservatrice. In Nuova Babilonia tale icona è con evidenza collegata all’ideologia post-rivoluzionaria, come rivela la sua apparizione in seno a un’operetta; più avanti, nel quinto episodio, l’attrice che a Versailles invita a cantare «l’inno della Francia libera, la Marsigliese» assume anch’essa una delle pose della ʻMarianneʼ, in sintonia con la lettura in chiave borghese della rivoluzione francese elaborata dal pensiero marxista.

 Nuova Babilonia, parte quinta

I richiami figurativi di Nuova Babilonia non derivano dunque da una scelta esclusivamente estetica, ma rivestono un’importanza centrale nella costruzione simbolica del film; un’analoga considerazione può esser avanzata per la ricorrenza di immagini e inquadrature che, come veri e propri motivi musicali, trascorrono da un episodio all’altro.

 Nuova Babilonia, parte prima

Dettati da ragioni formali, questi ritorni visivi, fatti di similarità e di variazioni, creano una fitta trama di relazioni che concorrono al senso complessivo del film; per esempio l’imponente manichino rivestito di pizzo bianco, che sovrasta le scale del grand magasin e che brucerà insieme all’insegna ʻBabylone nouvelleʼ durante gli scontri tra l’esercito e i comunardi; i ventagli e i leziosi ombrellini aperti che con il loro movimento rotatorio affollano le sequenze dedicate a ʻNuova Babiloniaʼ e che ‘fregiano’ le giornate dei borghesi rifugiati a Versailles (mentre altri ombrelli, questa volta chiusi, saranno impiegati dai vincitori per compiere il linciaggio dei prigionieri inermi); la sequela di monocoli, binocoli, occhiali e occhialini che tradisce l’atteggiamento morbosamente voyeuristico della borghesia, capace di godere del recital di un’operetta come dello ʻspettacoloʼ della guerra civile; le statue di demoni e figure antropomorfe che dalla cattedrale di Notre-Dame incombono terrificanti su Parigi, come i cannoni sinistramente schierati sulle colline che guardano la città; le sagome della croce e del busto della Madonna, che ritornano nell’ultimo episodio dell’opera e fanno da sfondo all’azione ripetitiva di uomini che scavano le fosse per i rivoltosi destinati alla fucilazione.

Alcune iterazioni sono riferite a precisi oggetti, investiti anch’essi di valore simbolico: da un lato il tamburo militare, che sempre preannuncia o sottolinea la comparsa del ‘padrone’, dall’altro le tinozze delle lavandaie, le macchine da cucire delle sarte, gli attrezzi dei ciabattini che, pur rimandando a mestieri preindustriali, si configurano come metafore del mondo operaio. Non diversamente dal tamburo, anche le macchine da cucire vennero scelte dai due registi per il ritmo che potevano evocare, come avrebbe rivelato lo stesso Trauberg:

Poi, dovevamo mostrare il padrone “come padrone”. Sottolineare la grandiosità del momento della sua apparizione. Suona il tamburo. Secondo logica narrativa, in quel momento non doveva suonare alcun tamburo, ma funzionava come accompagnamento.[44]

Anche i gesti possono essere sottoposti a ripetizioni e farsi portatori di significati: se il respiro affannoso di un’anziana blanchisseuse dinanzi ai vapori malsani di una vasca piena di schiuma evoca lo sfruttamento dei lavoratori, il gesto dell’applaudire rapprende la vacuità e il cinismo della borghesia al potere. È un gesto che percorre il film tutto: dagli applausi che accompagnano la partenza dei soldati per il fronte, ai battimani che scandiscono lo spettacolo del café concert, dalle ovazioni dei versagliesi dinanzi alla caduta di Parigi, alla baldoria dei vincitori nel caffè Empire mentre fuori i prigionieri sono esposti alla pioggia e alle intemperie.

La concezione ‘musicale’ di Nuova Babilonia coinvolge anche le didascalie: la spensierata allegria delle vite liberate dal sopruso è sempre cadenzata dal refrain «così ha deciso la Comune», replicato a mo’ di filastrocca per tutto il quinto episodio, che oppone la festosa operosità dei comunardi all’ozio di Versailles. D’altra parte lo slogan antiprussiano «Che si versi il loro sangue a Berlino», ispirato alla scena finale di Nana di Zola e proclamato dalla folla in apertura del film, ritorna – ironicamente variato in «Che si versi il loro sangue a Parigi» – nel sesto episodio, quando lo stesso fanatismo è rivolto contro i comunardi.

Ma il paratesto dei sottotitoli può anche rendere manifesta l’amara posizione dei registi nei confronti della fabula: ad esempio nel terzo episodio la chiosa ʻParigi allegra… spensierata… saziaʼ accompagna le immagini del freddo e della fame nella città sotto assedio, e nel quarto la didascalia ʻAbbiamo tutti bisogno d’amoreʼ – che nelle scene del café concert scandiva il succedersi degli amori a pagamento e qui viene cantata dalle attrici che provano un’operetta – si prolunga sull’immagine disarmonica dell’uomo della Guardia nazionale ucciso sullo sfondo dei cannoni. L’amarezza degli autori affiora anche in situazioni tutte interne al testo filmico: all’inizio del sesto episodio, introdotto dalla didascalia ʻLa pace e l’ordine regnano a Parigiʼ, la scritta sul muro ʻVive la Communeʼ spicca dinanzi al cadavere di un rivoltoso che tiene ancora in mano il gesso bianco; la macchina da presa si focalizza a lungo su ciascuna parola e prosegue inesorabile sui corpi riversi di altri comunardi uccisi, come a compendiare icasticamente la fine di un’utopia.

 

5. La musica

«Quando componevo la musica di Nuova Babilonia, ero guidato meno di tutto dall’idea di dover illustrare ciascuna ripresa», così si esprimeva Šostakoviĉ nell’incipit di un articolo pubblicato in vista della première del film sulla rivista Sovietskii ekran.[45] È un esordio che rivela la sua ricerca di inesplorate modalità di relazione tra visivo e sonoro, che vanno dalla piena corrispondenza all’assoluta discrasia.

In gran parte del film la musica commenta fedelmente le immagini: nel terzo episodio racconta gli scontri concitati per il controllo dell’artiglieria pesante, e nel sesto i violenti combattimenti che si svolgono nel cuore di Parigi. In questi casi Šostakoviĉ adotta procedimenti di drammatizzazione sonora radicati nella musica d’arte, quali il cromatismo e le progressioni, il ricorso al crescendo dinamico e agogico, la creazione di grandi archi tensivi, e li interseca con altri stilemi dal forte impatto cinematografico, legati al suo personale idioma musicale: la reiterazione insistita di precisi pattern ritmici (dal ritmo puntato a quello spondaico), la coesistenza della staticità delle note ribattute con il dinamismo delle scale ascendenti e discendenti, gli strappi violenti degli accordi orchestrali, i giochi a incastro tra le parti strumentali secondo il principio dell’hoquetus, l’effetto asimmetrico delle sincopi e degli accenti fuori asse, l’alternanza tra metri binari e ternari. Ma la partitura racconta anche il sentimento di felicità dei fugaci giorni della liberazione, reso da Šostakoviĉ con il perpetuum mobile dell’orchestra, che sotto la spinta del ritmo anapestico cadenza la gioiosa frenesia del ‘lavoro libero’, e con la verve trascinante di un preciso leitmotiv associato alla Comune, che attraversa tutto il quinto episodio.

Soprattutto la musica potenzia la forza emozionale di certi momenti cruciali del film, e così concorre alla loro straordinaria carica poetica. Alla fine del quarto episodio, quando l’esercito si ritira sulle colline sotto la pioggia battente e la macchina da presa riprende i soldati dall’alto inquadrandone le lunghe ombre dispiegate sulla strada infangata, scavata da solchi profondi, irrompe una marcia di stampo mahleriano al tempo stesso tragica e spettrale (con il tema puntato del corno ‘solo’ e la quarta discendente ostinata ai timpani), che conferisce all’esodo dei soldati un respiro epico.[46] Altre ombre di uomini, ombrelli e carri si allungano sul selciato bagnato nel sesto episodio, mentre le terzine ribattute in pianissimo delle viole restituiscono il ticchettio della pioggia, e un mesto tema del clarinetto introduce al clima greve del ripristino dell’ordine borghese dopo la parentesi della Comune. Questo tema attraversa le ultime due parti del film insieme a un particolare motivo ritmico, costituito da una terzina seguita da una nota lunga e accentata, che Frits Noske ha definito «la figurazione musicale della morte».[47] Si tratta di un topos sonoro (derivato dai rulli di tamburo che accompagnavano le esecuzioni capitali) che – introdotto nella tragédie-lyrique francese da Jean-Philippe Rameau – si è affermato nella tradizione operistica europea con una valenza semantica propria, legata all’evocazione del fato e della morte. Nella partitura di Nuova Babilonia Šostakoviĉ insinua questa formula sin dai primi episodi,[48] ma nelle ultime pagine la mette in evidenza assegnandola agli archi e ai timpani, così da trasformare l’epilogo del film in una tragica, lugubre e inesorabile marcia funebre.

Nell’interazione con le immagini non di rado la colonna sonora rispetta gli stacchi del montaggio alternato: è di grande efficacia ad esempio la sistematica corrispondenza tra l’immagine simbolica di una blanchisseuse sofferente, a più riprese inserita ex-abrupto nell’intreccio filmico, e l’adozione di un ansimante semitono discendente su legatura a due, sigla del dolore sin dalla tradizione barocca, che a sua volta va a interrompere il flusso sonoro. Nel quarto episodio una pausa su punto coronato dell’intera orchestra, seguita da una serie asimmetrica di unisoni in fortissimo sul rullo del tamburo, segnala il colpo di scena dell’arrivo degli uomini della Guardia nazionale, che ribalta l’esito del furioso corpo a corpo tra le donne e i soldati che vogliono portare via i cannoni. Nella sesta parte il passaggio repentino dalle immagini della battaglia che infuria a Parigi alla quiete indolente dei versagliesi è puntualmente registrato dalla musica, con il brusco mutamento di metro (dal 4/4 al 3/4 del ritmo di valzer), di dinamica (dal forte al piano), di stile e di scrittura strumentale (dalla piena orchestra con corredo di piatti e grancassa alla sola sezione degli archi).

In altre parti del film invece la musica agisce come collante tra sequenze diverse, compensando la discontinuità visiva con la continuità sonora; non si tratta di un modus operandi ‘neutro’, poiché produce esiti espressivi molto differenti. All’inizio del terzo episodio un mesto motivo cantabile dei violoncelli, in ritmo puntato e in tonalità minore, dispiegato su uno scarno ordito polifonico, accompagna il lento avvicendarsi delle immagini di Parigi assediata e stremata con quelle di un paesaggio desolato: si tratta di una delle poche visioni ‘larghe’ del film, con il primo piano di una bandiera che sventolando fa intravedere un soldato prussiano a cavallo e il sole in lontananza. La musica sostiene il malinconico ritorno in alternanza di inquadrature al tempo stesso uguali e diverse, che da un lato indugiano sulla prostrazione dei parigini e dall’altro si soffermano sul vasto scenario naturale con una funzione anche di scansione cronologica, poiché il sole va progressivamente calando sull’orizzonte. Nell’episodio successivo l’indistinto movimento di crome che apre questa quarta parte del film assume la fisionomia del primo Studio di Hanon, universalmente conosciuto da tutti gli studenti di pianoforte. L’impiego ‘straniante’ di un materiale banale, privo di senso musicale e di valori espressivi, è procedimento tipicamente mahleriano e all’inizio dell’episodio conferisce continuità al frammentario alternarsi di inquadrature collegate ai due fronti contrapposti: «i familiari esercizi di Hanon – scriveva Šostakovič – assumono diverse sfumature a seconda dell’azione. Talvolta [la musica] suona festante, talaltra noiosa, talaltra ancora minacciosa».[49]

Se in questi casi la persistenza di un medesimo materiale musicale collega con naturalezza sequenze filmiche differenti, alla fine del secondo episodio la continuità sonora acquista sferzanti implicazioni simboliche, suggerite dello stesso Šostakovič:

Si prenda ad esempio la fine della seconda parte. Il climax si ha quando la cavalleria prussiana attacca Parigi. La parte finisce con un ristorante abbandonato. Completo silenzio, ma la musica, benché la cavalleria non compaia più sullo schermo, deriva ancora dalla cavalleria ricordando allo spettatore la sua forza usurpatrice e minacciosa.[50]

La marcia implacabile della cavalleria prussiana è consegnata all’impassibile isoritmia degli ottavi scanditi dalla grancassa, mentre un tema saltellante e instabile dei legni (con attacco anacrusico) e il commento borbottante in crome degli archi gravi e degli ottoni infondono all’avanzata nemica un che di sinistro e insieme di caricaturale. Il momento culminante dell’offensiva prussiana è reso da un disegno ascendente in fortissimo di fagotti, trombone e archi gravi e coincide con le immagini della fuga precipitosa della folla dal café concert. Quando la marcia ritrova il suo tono minaccioso e sarcastico, sullo schermo scorrono le immagini finali dell’episodio, che cancellano d’un tratto l’avventata esultanza dello spettacolo sciovinista e l’esagitata effervescenza del can-can: un solo ballerino ubriaco continua a danzare in maniera scomposta nella sala deserta, mentre l’icona della Francia appare mestamente appoggiata a una colonna dipinta sul fondale, prima che il sipario cali sul finale colpo di timpano.

In quest’ultimo caso la musica contraddice ironicamente le immagini, sulla base di un procedimento centrale in Nuova Babilonia, che – come avrebbe ricordato Trauberg – contribuì all’insuccesso del film:

Se confrontata con la pratica abituale dell’accompagnamento musicale per film, la musica di Šostakoviĉ per Nuova Babilonia sembrava semplicemente una stonatura, una cacofonia, perché era musica nel pieno senso della parola. Gli spettatori erano abituati a melodie vivaci, animate; l’orchestra conosceva queste melodie a memoria, si aprivano gli spartiti e si suonava. […] La musica si dissociava dall’immagine: sullo schermo c’erano i funerali e dall’orchestra arrivava il cancan, oppure, al contrario, nel film il cancan e dall’orchestra musica da funerale. Dunque, inevitabilmente, lo spettatore era spaesato: com’è che anziché “La preghiera della vergine” oppure Solveig di Grieg, improvvisamente arrivava l’invenzione nuova di un musicista d’avanguardia? [51]

6. Ironia e sarcasmo

«Mi sono sforzato di dare alla musica – data la sua novità e il suo carattere inabituale – una dinamica propria» dichiarava Šostakovič nel citato articolo su Sovietskii ekran.[52] L’autonomia della musica e il suo rapporto ‘dialettico’ con le immagini fu probabilmente la causa principale dei profondi cambiamenti operati da Kozinčev e Trauberg sulla prima versione di Nuova Babilonia. Raccontava Trauberg in un’intervista:

Tutto è stato incluso tra le modifiche dell’ultimo momento. All’inizio non c’era niente del genere. Praticamente tutta la prima parte si svolgeva in un grande magazzino dove i commercianti vendevano merce diversa: grande uso del montaggio, ma unità di luogo. Nessun padrone, nessun tamburo, nessuna danza sul palcoscenico – non c’era niente di tutto questo.[53]

L’idea del tamburo e delle danze fu dunque attuata nella fase di rimontaggio del film e si può ritenere che nascesse da una scelta di fondo del musicista in sintonia con l’assunto marxiano che aveva ispirato i due registi: la sovrapposizione dei drammatici eventi della Comune con il mondo dell’operetta trova piena rispondenza nella contaminazione musicale tra stile militare e stile di danza.

L’adozione di musiche di danza era ampiamente contemplata nelle pratiche dell’accompagnamento filmico, ma in Nuova Babilonia è funzionale sia alla caratterizzazione sonora della mondanità parigina, sia agli intenti umoristici del compositore russo. Se il Galop di apertura (ripreso dalle musiche composte per La cimice di Majakovskij) rimanda al trattamento derisorio delle forme strumentali di danza condotto in quegli anni in Francia da Erik Satie e dal Group de Six,[54] molte danze di Nuova Babilonia risentono della lezione di Jaques Offenbach, che nelle sue opere aveva condotto una satira graffiante della borghesia francese al potere. Tra i valzer che dominano le prime due parti, vi è quello dell’Ouverture de La belle Hélène che – come le altre danze del film – è sottoposto a esibiti interventi parodistici, perseguiti con procedimenti che diventeranno distintivi dello stile di Šostakovič: l’enfatizzazione di cliché propri del genere coreutico, come l’accentuazione del ritmo ternario con massicci accordi dei bassi; l’esagerazione degli accelerandi e dei rallentandi previsti dalla prassi esecutiva, con esiti svenevoli e sdolcinati; l’adozione di controcanti canzonatori alle melodie di danza, affidati ai legni e agli ottoni; l’inserzione beffarda di eventi sonori inattesi, dai glissandi dei tromboni ai ‘colpi’ improvvisi di piatti e grancassa. Ma ancor più straniante e provocatorio è l’impiego di strumenti militari, come il tamburo e la tromba, per l’orchestrazione delle musiche di danza: ad esempio è la tromba a enunciare il tema del can-can del secondo episodio, citazione letterale del Galop infernal dell’operetta di Offenbach Orphée aux Enfers.

Di contro i canti legati alla rivoluzione francese possono essere strumentati in modi difformi dalla consueta orchestrazione bandistica, e sono spesso declinati in senso coreutico. Così nella quarta parte uno dei canti più in voga durante la rivoluzione francese, il Ça ira,[55] è eseguito secondo tradizione dal flauto con il sostegno degli altri legni, ma assume movenze di danza e viene umoristicamente associato al corteggiamento degli attempati soldati dell’esercito da parte delle donne del popolo, che cercano di portarli alla propria causa. Nella successiva citazione il canto è nobilitato dalla sonorità calda degli archi e viene collegato all’ingenuo pacifismo dei dirigenti della Comune e al loro compiaciuto ottimismo, contraddetto dalla sotterranea pervasività della figurazione della morte nella musica, che racconta i giorni del governo rivoluzionario. Il Ça ira è dunque rapportato al progetto della Comune, ma le connotazioni ironiche attribuite da Šostakoviĉ alla sua citazione ne fanno l’espressione sonora dei limiti ideologici di quell’esperienza storica, considerata un’anticipazione incompiuta e fallita della rivoluzione bolscevica.

È invece priva di ironia la citazione indiretta di un altro canto rivoluzionario, La Carmagnole:[56] l’ossatura melodica di questo canto, fatto proprio dai sanculotti durante la rivoluzione francese, costituisce infatti la base di un tema musicale che è associato alla Comune e che attraversa il quinto e il sesto episodio, dedicati all’instaurazione del governo socialista a Parigi e alla lotta dei comunardi per le strade della città. Šostakovičprivilegia i corni e più in generale gli ottoni per la strumentazione di questo tema e gli conferisce così connotazioni ‘cavalleresche’, che rimandano ai valori del coraggio, dell’audacia e dell’eroismo; ricorre però alla piena orchestra per la sua ultima occorrenza, che chiude il film in concomitanza con il grido «Viva la Comune» dei prigionieri destinati alla fucilazione. In quest’ultima enunciazione La Carmagnole si intreccia con fugaci frammenti dell’Internazionale, il canto concepito proprio per celebrare la Comune di Parigi,[57] suggerendo un collegamento tra la rivolta del 1871 e la rivoluzione d’ottobre, che avrebbe portato a compimento l’utopia rivoluzionaria dei comunardi. Tale apertura al futuro costituisce il solo cedimento alla retorica dei registi di Nuova Babilonia; e tuttavia le implicazioni trionfalistiche del finale del film sono rese ambigue dalla traduzione sonora di Šostakoviĉ che chiude la partitura con un instabile accordo di quarta e sesta di Si bemolle maggiore, rendendo meno assertiva la conclusione dell’opera.[58]

Diverso è il senso della citazione della Marsigliese, che nel film si interseca strettamente con quella del can-can di Offenbach. Il ballo che sarebbe diventato simbolo della Belle Époque compare nel secondo episodio e – in coerenza con la predilezione degli autori per l’incongruenza tra musica e immagini – è anticipato dalle caotiche riprese di gambe e sottovesti in pizzo che, volteggiando, invadono lo schermo. Solo quando tutto il café-concert si converte in sala da ballo sopraggiunge la musica, preceduta da enfatiche fanfare della tromba e trasformata in una sorta di grottesca e visionaria danza macabra, condotta sull’orlo dell’abisso; in questo caso sono le immagini a rafforzare le impressioni suscitate dal sonoro, poiché tra i flash del montaggio alternato ritorna inquietante l’immagine ‘eccentrica’ del treno della prima sequenza filmica, inclinato verso il basso come se precipitasse.

Quanto alla Marsigliese, è evocata attraverso echi deformati che minacciosamente percorrono l’intero film; la sua citazione intradiegetica è alla fine del quinto episodio, quando viene cantata dai versagliesi guidati da un’attrice con la posa della ʻMarianneʼ.[59] Collegato all’icona della Francia, anche l’inno composto da Claude Joseph Rouget de Lisle nel 1792 nel film è associato alla borghesia reazionaria, come riconosceva lo stesso compositore: «Il Leitmotiv del popolo di Versailles è la Marsigliese, che compare a volte nei più inaspettati arrangiamenti (can can, valzer, galop e così via)».[60] Nel sesto episodio infatti il canto ʻdi guerraʼ (come lo definiva Rouget de Lisle) si converte in un valzer manierato e melenso, eseguito dagli archi, e – insieme a un altro valzer dello stesso tono, ripreso dalla Cimice – accompagna la lussuosa quotidianità dei borghesi nel rifugio di Versailles. Più avanti la Marsigliese è riproposta in sovrapposizione con il can-can, in corrispondenza con il terribile bombardamento di Parigi. Quest’ultima pagina, tra le più straordinarie del film, ispirata forse a un passo dei Demoni di Dostoevskij,[61] è stata letta erroneamente dagli esegeti di Šostakoviĉ come la sintesi sonora della contrapposizione tra il mondo di Versailles e quello della Comune,[62] ma rappresenta invece un momento emblematico di quel gioco di specchi tra lo scenario della Storia e le scene dell’operetta che sovrintende la concezione di Nuova Babilonia.

L’ironia amara e corrosiva di questa pagina assume accenti tragici e grotteschi alla fine del sesto episodio, quando la sconfitta della Comune è consumata e in mezzo alla città che brucia il protagonista, ripreso di spalle, volge la testa indietro come a guardare verso Versailles dove si applaude al massacro. «La musica diviene sempre più frenetica – commentava il musicista – e infine esplode in un valzer convulso e sguaiato, riflesso della vittoria del popolo di Versailles sui comunardi».[63] Sulla base di un procedimento armonico tipico dei finali maestosi e solenni della musica tonale, un lungo pedale di dominante sul sol conduce al valzer ‘osceno’ in Do maggiore di cui parlava Šostakovič: la retorica magniloquenza della musica collide con la «cupa disperazione»[64] del soldato, e va a condensare tutto il disordine e l’orrore della Storia.

 

7. La scrittura metafilmica

L’analisi dell’interazione tra la partitura di Šostakoviĉ e il film di Kozinčev e Trauberg rivela la rigorosa coerenza del testo filmico, e rafforza la posizione di quanti rivendicano l’attendibilità – estetica, ancor prima che storica – della versione ‘ufficiale’ del 1929. La stretta collaborazione tra gli autori di Nuova Babilonia emerge anche in due momenti del film, che sollecitano l’ascoltatore a prendere le distanze dal racconto e a porsi in una prospettiva più ampia e problematica.

Il primo è di non facile decifrazione. Nel sesto episodio i valzer che restituiscono il clima languido del mondo di Versailles si prolungano sul tema estemporaneo di un violino ‘solo’ mentre le riprese si spostano su Parigi, ancora in mano ai comunardi; seguito da uno smorfioso disegno del clarinetto, ‘ornato’ da trilli manierati, quel tema introduce l’apparizione enigmatica del comandante dell’esercito regolare, che con affettazione china il capo verso la rosa posta nell’occhiello del suo cappotto, quindi fa fuoco con la sua pistola e dà il via all’assalto della città.

 Nuova Babilonia, parte sesta Nuova Babilonia, parte sesta

Benché il personaggio dell’ufficiale sia già apparso nel film, il suo profilo e i suoi gesti acquistano un carattere étrange e rimandano alla figura di Charlot, che aveva rivestito un ruolo importante nella poetica dei FEKS e che nondimeno nel paesaggio di Nuova Babilonia sembra presentare una connotazione negativa: la musica che lo tratteggia concentra in poche battute tutti i tratti sonori dei versagliesi, e la sua superfetazione orienta la citazione cinematografica in una dimensione metatestuale, ʻal quadratoʼ, che ripropone e cambia di segno la temeraria provocazione chapliniana avanzata dai due registi nell’allestimento teatrale del Cappotto di Gogol’. Da questo punto di vista Nuova Babilonia dovette rappresentare per Kozinčev e Trauberg uno snodo decisivo non solo sul piano della ricerca artistica,[65] ma anche su quello delle posizioni ideologiche: associato alla reazione borghese, il richiamo a Charlot sembra sancire il superamento della loro predilezione giovanile per la cultura americana, rivelata anche dall’impostazione ‘melodrammatica’ dei film precedenti.

Più comprensibile è il senso di un’altra sequenza di Nuova Babilonia, che presenta una complessa stratificazione di funzioni e significati. Si tratta dell’esecuzione al pianoforte tra le barricate, da parte di un anziano comunardo, di Le temps des cerises, un canto di tristezza e di nostalgia scritto da Jean-Baptiste Clément nel 1866 e messo in musica nel 1868 da Antoine Renard. Il testo venne pubblicato dall’autore nel 1885 nella raccolta delle sue Chansons e fu dedicato «À la Vaillante citoyenne Louise, l’ambulancière de la rue Fontaine-au-Roi, le dimanche 28 mai 1871»:[66] Clément infatti era stato un comunardo e aveva preso parte in prima persona alla ʻsemaine sanglanteʼ, che si sarebbe drammaticamente conclusa proprio il 18 maggio del 1871. Da quel momento Le temps des cerise fu associato alla Comune grazie anche all’ambiguità del testo poetico («J’aimerai toujours le temps des cerises | et le souvenir que je garde au cœur»), che può riferirsi al ricordo struggente di un amore perduto ma anche alla rievocazione dolorosa di un sogno rivoluzionario destinato al fallimento.[67] Tuttavia nel film la citazione è privata del testo, ed è data nell’elegante versione pianistica proposta da Pëtr Il'ič Čajkovskij nel suo Album pour enfants op. 39.[68]

 Nuova Babilonia, parte sesta

Qui la musica riveste una funzione intradiegetica poiché viene ascoltata in silenzio dai combattenti della Comune, ma l’angolazione sbilenca dell’inquadratura del pianoforte e le immagini giustapposte della devastazione e della morte che sconvolgono Parigi affermano la natura ‘artificiale’ di questa sequenza, conferendole una ‘perturbante’ dimensione fantasmatica: ancora una volta lo spettatore è spinto a riconoscere la qualità ‘astratta’ di Nuova Babilonia e il suo statuto estetico, la sua configurazione come ‘forma simbolica’ che mette in moto processi di rinvio e che richiede un impegno esegetico.

Collocata nel cuore della storia della Comune, la chanson di Clément si configura quindi come una sorta di mise en abyme dell’intero film e sembra trasmettere l’implicita fede dei tre autori di Nuova Babilonia nella funzione dell’arte: la loro convinzione che «l’unica forma possibile di riscatto dalle aporie dell’essere è la loro rappresentazione; che è dal gesto di chi narra che tutte le storie sono salvate; che non c’è orrore che rimanga integralmente tale dopo esser stato pronunciato».[69]

 


1 Dal materiale scoperto nella Biblioteca Lenin Rozhdestvensky ha derivato una Suite in sei parti: 1. La guerre, 2. Paris, 3. Le siège de Paris; 4. Paris tient depuis des siècles; 5. Versailles; 6. Final. La Suite è stata pubblicata nel 1976: D. Šostakovič, Suite da “La nuova Babilonia” per orchestra, op. 18a, a cura di Gennadi Rozhdestvensky, Mosca, Sovetskii Kompozitor, 1976. La registrazione sonora del brano, nell’esecuzione dei Solisti dell’Orchestra Filarmonica di Mosca con la direzione dello stesso Rozhdestvensky, è stata editata nel 1977 dalla casa discografica Melodiya in Unione Sovietica e dall’etichetta francese Le chant du monde in Europa occidentale.

2 La produzione del British Film Institute è stata mandata in onda dalla BBC l’11 gennaio 1985.

3 Cfr. D. Shostakovic, New Babylon. Music to the Silent Film, op. 18, partitura (New collected works of Dmitri Shostakovich, xivth Series: Film music, vol. 122), DSCH, 2004. Il monumentale progetto degli Opera omnia è stato promosso dal Centro Shostakovich di Parigi, fondato nel 1995 dalla vedova del musicista Irina Anatovnova e titolare della casa editrice DSCH, che pubblica anche la rivista musicologica DSCH Journal (DSCHJ). ʻDSCHʼ è un criptogramma musicale costituito dalle iniziali del nome di Šostakoviĉ così come si dà nell’alfabeto tedesco. Nella notazione anglosassone queste lettere corrispondono alle note re-mi bemolle-do-si, che nella musica di Šostakoviĉ si configurano come un vero e proprio motto identificativo. Introdotto per la prima volta nell’opera Lady Machbeth nel distretto di Mtsensk, il ‘motto’ ritorna in alcune tra le più significative composizioni di Šostakoviĉ: la decima e la quindicesima Sinfonia, il Quartetto per archi n. 8, il primo e il secondo Concerto per violino, la seconda Sonata per pianoforte op. 61.

4 Ad esempio è stato possibile appurare che l’accompagnamento sonoro non ha inizio dai titoli di testa, che devono scorrere in silenzio, ma in concomitanza con l’apparizione della prima didascalia del film, condensata nella parola ʻGuerraʼ (ʻVoinaʼ). La ricostruzione della sincronizzazione tra musica e immagini ha dovuto fare i conti con i tagli operati sulla partitura da Shostakovich all’ultimo momento, che provocarono spostamenti nella collocazione delle didascalie non sempre segnalati dal musicista.

5 Va precisato tuttavia che ʻ24 frames per secondʼ (fps) si imposero come velocità standard soltanto con l’avvento del film sonoro; la velocità di ripresa dei film muti si aggirava tra i 16 e i 22 fps e variava non solo da film a film ma altresì nel corso di una singola proiezione. In ogni caso il problema della velocità di proiezione dei film muti è stato controverso sin dagli esordi del cinema e tuttora non vi è accordo sulle soluzioni da adottare, che per lo più sono calibrate sulle singole pellicole. Cfr. a tal proposito K. Brownlov, Silent Films. What was the Right Speed, «Sight & Sound», 49/4 (1980), pp. 164-167.

6 M. Pytel, New Babylon: Kozintsev, Trauberg, Shostakovich. An Open Letter to Pordenone Festival Director David Robinson, in http://koti.mbnet.fi/cgurney/reality/download/NEW%20BABYLON% 20Pordenone%20Open%20Letter%20to%20Director%20David%20Robinson.pdf.

7 In particolare Pytel è giunto a considerare «la copia abbreviata di Nuova Babilonia […] un prodotto del conformismo artistico e della stagnazione dell’era brezneviana, anche se la sua produzione fu completata proprio all’apice della stretta stalinista sulle arti» (ibidem), laddove è vero il contrario: Nuova Babilonia concorse al cambio di passo del regime staliniano in materia artistica, avviato a partire dal 1929 con la campagna contro il ʻformalismoʼ sostenuta dalla RAPP, l’Associazione degli scrittori russi proletari.

8 Trauberg si è espresso in tal modo in una pubblica dichiarazione in forma di lettera redatta nell’ottobre del 1983 dopo la presentazione ad Amburgo della versione ‘lunga’ di Nuova Babilonia, peraltro priva di accompagnamento musicale; cfr. Le Giornate del cinema muto. 30th Pordenone Silent Film Festival. 1-8 ottobre 2011. Catalogue, p. 40.

9 N. Noussinova, M. Pyte, ʻAutour de la nouvelle Babyloneʼ, in D. Huvelle, D. Nasta (a cura di), Le son en perspective: nouvelles recherches. New Perspectives in Sound Studies, Bruxelles, Peter Lang, 2004, pp. 135-154: 140.

10 Cfr. S. Volkov (a cura di), Testimony: The Memoirs of Dmitri Shostakovich, New York, HarperCollins Publishers, 1979; trad. it. Testimonianza. Le memorie di Dmitrij Šostakoviĉ, Milano, Bompiani, 1997.

11 G. Kozinčev, G. Kryžitskij, L. Trauberg, S. Yutkevich, Ekscentrizm, Pietroburgo, 1922; trad. it. ʻEccentrismoʼ, in P. Bertetto (a cura di), Ejzenštein, FEKS, Vertov. Teoria del cinema rivoluzionario. Gli anni Venti in Urss, Milano, Feltrinelli, 1975, pp. 225-238.

12 P. Bertetto, Introduzione, in Ejzenštein, feks, Vertov, cit., pp. 7-63: 35. In Ekscentrizm si legge: «ieri Musei, templi, biblioteche. | oggi Fabbriche, officine, cantieri. | ieri Cultura dell’Europa. | oggi Tecnica dell’America» (Kozinčev, Kryžitskij, Trauberg, Yutkevich, Eccentrismo, p. 226).

13 «Nella musica c’è la jazz-band (orchestra-subbuglio di negri), marce da circo. | Nel balletto ci sono danze da canzoni americane. | Nel teatro c’è music-hall, cinema, circo, canzonette e pugilato» (ivi, p. 227).

14 Mejerchol’d, che era stato allievo di Stanislavskij, aveva istituito una rivista chiamata L’amore delle tre melarance (Ljubov k trem apel’sinam), dal titolo di una delle più famose fiabe teatrali di Carlo Gozzi; il suo intento era quello di contrapporre al realismo del teatro borghese ottocentesco la tradizione della commedia improvvisa italiana nella quale la dinamica dell’azione si risolve in spettacolo puro, in divertimento fine a se stesso realizzato con il solo linguaggio della teatralità.

15 Scrittore e sceneggiatore nonché teorico della letteratura e del cinema, Piotrovskij aveva assunto nel 1926 la direzione della sede di Pietroburgo dello Studio cinematografico Sovkino e in quello stesso anno aveva scritto la sceneggiatura del primo lungometraggio di Kozintsev e Trauberg, La ruota del diavolo (Chyortovo Koleso). Moskvin – che si era avvicinato ai FEKS poco dopo la fondazione del movimento – collaborò alla realizzazione de La ruota del diavolo, di S.V.D. e di Shinel e curò la fotografia di Nuova Babilonia.

16 V. Šklovskij, O teorii prozy, Mosca, 1925; trad. it. Teoria della prosa, Torino, Einaudi, 1981. In un capitolo di quello scritto, intitolato L’arte come procedimento (Iskusstvo kak priëm), lo studioso sovietico asseriva: «Scopo dell’arte è di trasmettere l’impressione dell’oggetto come “visione” e non come “riconoscimento”; procedimento dell’arte è il procedimento dello “straniamento” […] la sottrazione dell’oggetto all’automatismo della percezione» (ʻL’arte come procedimentoʼ, in T. Todorov (a cura di), I formalisti russi. Teoria della letteratura e metodo critico, Torino, Einaudi, 1968, pp. 73-115: 82, 83). La migliore definizione del cinema a partire dalla concezione sklovskiana dell’arte si deve a Tynjanov, che nel suo contributo a Poetica Kino presentava l’arte cinematografica come «ripianificazione semantica del mondo» (I. Tynjanov, ʻOb osnovach kinoʼ, in Poetica Kino, Mosca, 1927; trad. it. Le basi del cinema, in G. Kraiski (a cura di), I formalisti russi nel cinema, Milano, Garzanti, 1971, pp. 53-85: 64).

17 «L’eccentrismo è la lotta contro la routine della vita, il rifiuto della percezione e della resa tradizionale della vita»: V. Šklovskij, ʻO roždenii i žizni «Feks’ov»ʼ, in Id. Gamburgskij scet, Leningrado, 1928; trad. it. Nascita e vita dei FEKS, in I formalisti russi nel cinema, pp. 215-218: 217.

18 Ivi, p. 218.

19 Queste considerazioni di Ejzenštein facevano parte dello scritto P-R-K-F-V, posto a prefazione del libro di I. Nestyev, Sergej Prokofiev, New York, Alfred Knopf, 1945; si leggono in traduzione italiana in S. Ejzenstejn, Forma e tecnica del film e lezioni di regia, Torino, Einaudi, 1964, pp. 156-157. Meisel tornò a collaborare con il regista russo nel 1928 per la proiezione berlinese di Ottobre (Oktjabr’); tra i due film di Ejzenštejn si colloca la collaborazione del musicista con Walter Ruttmann per Berlinosinfonia di una grande città (Berlin, die symphony der Großstadt, 1927).

20 Cfr. M. Iakubov, ʻDmitri Shostakovich’s Music to the Silent film New Babylonʼ, in D. Shostakovic, New Babylon. Music to the Silent Film, pp. 542-547: 543.

21 «Da ragazzo suonavo il pianoforte al “Teatro della Pellicola”, quello che oggi si chiama “Barricata”. Non c’è leningradese che non lo conosca. Il ricordo che ne conservo non è dei più piacevoli. Avevo diciassette anni e il mio lavoro consisteva nello scegliere pezzi musicali atti ad accompagnare le storie che si svolgevano sullo schermo. Un lavoro ripugnante, terribilmente faticoso e oltretutto malpagato»: così si legge in Testimonianza. Le memorie di Dmitrij Šostakovič, p. 59.

22 In verità Šostakovič attinse anche ad altre opere dello scrittore russo (e altresì al romanzo di Dostoevsky I fratelli Karamazov) sulla base del principio del ʻmontaggio letterarioʼ, esposto nella prefazione all’edizione a stampa del libretto del Nos. In una breve presentazione dell’opera, pubblicata nel 1928, egli inoltre confessò di essere stato attratto dal soggetto del Naso «per il suo contenuto fantastico, assurdo, esposto da Gogolʼ in termini estremamente realistici» e dichiarò il proprio debito nei confronti della memorabile messinscena de Il revisore di Gogol’, realizzata da Mejerchol’d nel 1926: «[Nel Nos] ho cercato di creare una sintesi di musica e rappresentazione teatrale […] partendo da quella sinfonia teatrale che dal punto di vista formale è Il revisore nella messa in scena di Vs. Mejerchol’d» (D. Šostakovič, ʻNosʼ, Krasnaja gazeta, 202, 24 luglio 1928, p. 4; trad. it. in R. Giaquinta, ʻViaggio da Pietroburgo a Napoli. Eduardo De Filippo rilegge Gogolʼ attraverso Šostakoviĉʼ, in R. Gianquinta (a cura di), Dmitrij Šostakoviĉ tra musica, letteratura e cinema. Atti del convegno internazionale, Università degli Studi di Udine, 15-17 dicembre 2005, Firenze, Olschki, 2008, pp. 161-198: 188, 170).

23 Il Naso fu rappresentato il 18 gennaio 1930 al Malyj Opernyj Teatr (Piccolo Teatro dell’Opera) di Leningrado con la regia di Nikolaj Smoliĉ, che del teatro leningradese era allora direttore artistico.

24 H. Bernatchez, ʻShostakovich and feks. Integrating the theory of Russian formalism into the music of New Babylonʼ, in Dmitrij Šostakovič tra musica, letteratura e cinema, cit., pp. 269-276: 270. Cfr. anche Ead., Shostakowitsch und die Fabrik des Exzentrischen Schauspielers, München, Meidenbauer, 2006; E. Sheinberg, Irony, Satire, Parody and the Grotesque in the Music of Shostakovich. A Theory of Musical Incongruence, Burlington, Ashgate Publishing, 2000.

25 K. Marx, The Civil War in France, London, Truelove, 1871; trad. it. La guerra civile in Francia, Roma, Editori Riuniti, 1990, p. 63.

26 É. Zola, ʻLa Débâcleʼ, in Les Rougon-Macquart (Bibliothèque de la Pléiade), Paris, Fasquelle et Gallimard, 1967, vol. 5, p. 888. Sull’influenza di Zola sullo scenario de La nuova Babilonia cfr. J-S. Macke, ʻLa Nouvelle Babylone: cinéma, littérature et musique naturalistesʼ, Excavatio, XXII/1- 2 (2007), pp. 10-19.

27 «Tra noi e Vsedolov Pudovkin c’era una grande amicizia. La sera in cui ho visto Konec Sankt-Peterburga avrebbe potuto essermi fatale. […] Ero sbigottito, attonito, incapace di fare ordine nei pensieri e nelle sensazioni. Dio sa come, sono arrivato a un telefono, ho chiamato Kozinsev e gli ho detto […] più o meno queste parole: “Non andiamo in nessuna Parigi. Ho appena visto il film di Pudovkin. Dobbiamo subito metterci al lavoro e rifare la sceneggiatura”. […] Attraverso le vicende, nemmeno così avvincenti, di un giovanotto di campagna capitato in città avevamo visto l’immagine dell’epoca che stavamo vivendo, delle masse, e tutto questo con un’incredibile forza persuasiva, forse persino rozza, ma impeccabile dal punto di vista visivo»: così avrebbe ricordato Trauberg nel suo libro di memorie Svežest’ bytija, (Mosca, 1988, pp. 104-105); la traduzione italiana si legge nello scritto di N. Nusinova, ʻIl grande cinema sovietico, 1925-28ʼ, edito in G. Brunetta (a cura di), Storia del cinema mondiale, vol. III, tomo, 1, pp. 253-278: 277.

28 «Nella nostra stanza di montaggio fece irruzione Adrian Piotrovskij e già sulla soglia cominciò a strillare: “[…] Ma non lo sapete che Ejzenštejn ha pubblicato un articolo sul cinema intellettuale e voi, con le vostre scene strappalacrime, siete rimasti ai margini della cinematografia sovietica?” La concione di Adrian era appena svanita nell’aria e noi due, senza commenti, in silenzio e con i musi lunghi, abbiamo cominciato a rifare il montaggio delle prime due parti. In un viluppo si confusero uomini e destrieri il parco dei divertimenti finisce abbarbicato sul negozio e la stazione, seduto a un tavolino spunta il padrone di “Nuova Babilonia”, di punto in bianco passano i fotogrammi con i tamburi che rullano, poi le lavandaie, i ciabattini, le cucitrici […]. E non ci limitammo alle prime due parti, in questo modo barbaro (non saprei come altrimenti definirlo) fu rifatto il montaggio di tutto il film» (ibidem). Nello scritto Perspektivy (Prospettive), pubblicato nel 1929 nei primi due numeri della rivista Iskusstvo (pp. 35-45) Ejzenštejn scriveva: «Soltanto il cinema intellettuale sarà in grado di mettere fine al contrasto tra “il linguaggio della logica” e “il linguaggio delle immagini” sulla base del linguaggio della dialettica cinematografica» (in Ejzenštein, FEKS, Vertov. Teoria del cinema rivoluzionario, p. 198).

29 L. Trauberg, ʻComment est né La Nouvelle Babyloneʼ, L’Avant-scène cinéma, 217 (1978), p. 14.

30 Lo scritto apparve nella rivista Zizn’ iskusstva a firma anche di G. Aleksandrov e di V. Pudovkin: ʻBudušcee zvnkovoj fil’my. Zajavkaʼ (ʻIl futuro del film sonoro. Dichiarazioneʼ), Zizn’ iskusstva, 32 (1928); trad. it. in S. Ejzenštein, Forma e tecnica del film e lezioni di regia, Torino, Einaudi, 1964, pp. 523-524: 523.

31 Così in un documento ufficiale dello Studio Sovkino di Leningrado, riportato da Iakubov in Dmitri Shostakovich’s Music to the Silent film New Babylon, p. 544.

32 Il giudizio del Comitato centrale si legge nello scritto di Kozintsev Glubokii ekran (Lo schermo profondo), pubblicato a Mosca nel 1971); la traduzione italiana è ripresa da D. Robinson, La “versione lunga” di Nuova Babilonia, p. 41.

33 La reimpaginazione del film coinvolse anche il profilo dei personaggi: se all’inizio avevano dei nomi (Louise, Jean, il giornalista Lutreau) o erano presentati in maniera circostanziata (ad esempio il vecchio Poirier, calzolaio e padre di Louise), nella versione definitiva di Nuova Babilonia sono indicati soltanto con le loro funzioni (la commessa, il soldato, il giornalista) o non vengono designati affatto.

34 Cit. in D. Robinson, La “versione lunga” di Nuova Babilonia, p. 41.

35 Ibidem.

36 L. Trauberg, ʻComment est né «La nouvelle Babylone»ʼ (estratto di una lettera di Trauberg a Myriam Tsikounas del maggio 1978), in La nouvelle Babylone, numero monografico di L’Avant-scène Cinema, 217 (1978), p. 8.

37 N. Nussinova, ʻCostruire una «Nuova Babilonia» - Conversazione con Leonid Traubergʼ, Cinegrafie, 12 (1999), pp. 89-102: 93.

38 P. Bertetto, Introduzione, p. 38.

39 Ivi, p. 42.

40 Non deve sfuggire come i rappresentanti della borghesia appaiano marcatamente truccati con polvere bianca, che li trasforma in maschere grottesche e conferisce loro una dimensione fantasmatica.

41 P. Bertetto, Introduzione, p. 42.

42 Ivi, p. 43.

43 La denominazione ʻMarianneʼ derivava probabilmente dalla diffusione del nome Marie-Anne presso le classi inferiori nella Francia pre-rivoluzionaria; il suo collegamento con la rivoluzione francese si deve al repubblicano Guillaume Lavabre, che nell’ottobre 1792 diede alle stampe la chanson Le Garisou de Marianne. Cfr. M. Agulhon, P. Bonte, Maruianne. Les visages de la République, Paris, Gallimard, 1992.

44 N. Nussinova, Costruire una «Nuova Babilonia», p. 93.

45 D. Šostakoviĉ, ʻLa musica di Nuova Babiloniaʼ, in Sovietskii ekran, n. 11 (1929), p. 3; cit. in M. Iakubov, Dmitri Shostakovich’s Music to the Silent film New Babylon, cit., p. 546. Una produzione anastatica dell’articolo si trova in J. Riley, Dmtri Shostakovich. A Life in film, London, Tauris & Co., 2005, p. 8.

46 La marcia è temporaneamente sospesa da un lungo ribattuto sl la bemolle acuto dei violini primi, riverberato dal timbro luccicante del flexatone, in corrispondenza con il bacio d’addio tra i due protagonisti, destinati a combattere su fronti opposti.

47 Cfr. F. Noske, ʻLa figurazione musicale della morteʼ, in Dentro l’opera. Struttura e figura nei drammi musicali di Mozart e Verdi, Venezia, Marsilio, 1993, pp. 1193-232.

48 La figurazione della morte è ad esempio inglobata nella marcia che alla fine del quarto episodio accompagna l’esodo dell’esercito a Versailles: su note ribattute introduce i diversi incisi motivici e, consegnata a uno sghembo disegno melodico, è presente anche nelle voci secondarie.

49 D. Šostakoviĉ, ʻLa musica di Nuova Babiloniaʼ, in Sovietskii ekran, p. 3; cit. in M. Iakubov, Dmitri Shostakovich’s Music to the Silent film New Babylon, p. 546.

50 Ibidem.

51 N. Nussinova, Costruire una «Nuova Babilonia», p. 90

52 D. Šostakovič, ʻLa musica di Nuova Babiloniaʼ, p. 5, in M. Iakubov, Dmitri Shostakovich’s Music to the Silent film New Babylon, p. 546.

53 Ibidem. Il trattamento visivo e sonoro del tamburo costituisce uno degli esempi più evidenti della sfasatura tra immagini e musica perseguita dagli autori di Nuova Babilonia: benché il tamburo militare si ascolti sin dall’inizio, l’apparizione visiva dello strumento – in primo piano e con due mani che tengono le bacchette – è priva di qualsiasi corrispondenza acustica.

54 Nel primo episodio del film la ripresa del Galop già composto per La cimice, che introduce le immagini iniziali della folla festante alla stazione, è seguita da un’altra autocitazione: quella dal giovanile Scherzo op. 7 per orchestra (diversamente strumentato e con la parte del pianoforte in parte soppressa, in parte assegnata allo xilofono), che ben si presta a rendere l’impaziente agitazione delle clienti di Babylone nouvelle.

55 L’autore delle parole del Ça ira era un soldato di strada di nome Ladré mentre la musica è un’aria di controdanza molto popolare ai tempi della rivoluzione, attribuita a un certo Bécourt, un violinista del Théâtre Beaujolais del quale si conosce soltanto il cognome. John Riley ci ricorda che già il compositore russo Nikolai Myaskovsky aveva citato canti della rivoluzione francese – la Carmagnole e Ça ira – nel quarto e ultimo movimento della sua Sesta Sinfonia, scritta tra il 1921 e il 1923 e ispirata agli eventi del 1917. La prima esecuzione della Sinfonia avvenne a Mosca il 4 maggio 1924; l’anno successivo la partitura fu pubblicata dall’Universal Edition di Vienna. Cfr. J. Riley, ʻMyth, Parisity and Found Music in New Babylonʼ, DSCH Journal, 4 (Winter 1995), pp. 27-31.

56 Composta nel 1792 da autore anonimo e derivata da una danza di origine piemontese, La Carmagnole prevedeva che i rivoluzionari si disponessero in cerchio intorno all’albero della libertà ed eseguissero un girotondo, seguendo precisi passi di danza.

57 Il testo dell’Internazionale fu scritto in francese da Eugène Pottier nel 1871 e fu inizialmente cantato sulle note della Marsigliese; nel 1888 venne messo in musica dall’operaio belga Pierre de Geyter e in questa versione nel 1889 divenne l’inno ufficiale della Seconda Internazionale.

58 Dopo quest’accordo, la partitura originale presenta altre 130 battute cancellate dal musicista, che verosimilmente accompagnavano il finale previsto nella sceneggiatura originaria di Nuova Babilonia, pubblicata nel dicembre 1928 su Sovetskii Ekran. Mentre la versione edita del film si conclude con il riconoscimento di Jean da parte di Louise e il grido di speranza «Viva la Comune», in quella definitiva dopo la fucilazione dei prigionieri viene scattata una foto «per l’Album degli eroi» e Jean, «ingobbito, bagnato, come rimpicciolito e distrutto» viene paternalisticamente incoraggiato da un ufficiale («Ti ci abituerai!»). L’anticlimax implicato da una tale conclusione non si prestava agli intenti celebrativi richiesti ai due registi, che verosimilmente la cambiarono di segno su richiesta del Comitato di Mosca; in ogni caso, diversamente dalla musica, la sequenza corrispondente al finale scartato è andata perduta. Il finale dello scenario originale si legge in N. Noussinova, M. Pytel, ʻAutour de La Nouvelle Babylonieʼ, in D. Huvelle, D. Nasta (a cura di), Le son en perspective: nouvelles recherches. New Perspectives in Sound Studies, Bruxelles, Peter Lang, 2004, pp. 135-154: 146.

59 È degna di menzione l’adozione della Marsigliese nell’Ouverture 1812 di Čajkovskij: in questa celebre composizione per grande orchestra (che prevede dei veri colpi di cannone e rintocchi di campane), scritta nel 1880 e dedicata all’invasione della Russia da parte di Napoleone, la Marsigliese è collegata alla conquista di Mosca da parte dei francesi laddove la finale vittoria dei russi sulle armate napoleoniche è commentata dalla citazione di una melodia folklorica (già impiegata da Rimskij-Korsakov nella sua Ouverture su temi russi), di un inno della liturgia ortodossa e dell’Inno imperiale Dio salvi lo zar.

60 D. Šostakoviĉ, ʻLa musica di Nuova Babiloniaʼ, in Sovietskii ekran, p. 3; cit. in M. Iakubov, Dmitri Shostakovich’s Music to the Silent film New Babylon, p. 546.

61 Nella parte seconda del quinto capitolo dei Demoni il personaggio di Ljamšin propone un brano per pianoforte dal titolo La guerra franco prussiana, che ha inizio «con le note minacciose della Marsigliese»: «Vi si sentiva la sfida piena d’orgoglio, l’esaltazione per le future vittorie. Ma tutt’a un tratto, insieme con le note magistralmente variate dell’inno, echeggiano come in disparte […] i suoni volgarucci di Mein lieber Augustin» (F. Dostoevskij, I demoni, Torino, Einaudi, 1994, p. 301). I due inni combattono tra loro, sinché la Marsigliese cede del tutto al triviale canto popolare tedesco, a sigillo della sconfitta dei francesi.

62 «[…] la sovrapposizione contrappuntistica del can-can e della Marsigliese, il risuonare insieme dei due brani può essere letto come una metafora musicale della guerra tra i comunardi e il popolo di Versailles, una metafora che si rafforza nella mancanza di compatibilità e similarità tra le due componenti»: così H. Bernatchez, ʻStostakovich and Feks. Integrating the theory of Russian formalism into the music of New Babylonʼ, in Dmitrij Šostakoviĉ tra musica, letteratura e cinema, pp. 269-276: 274). Più complesso è il ragionamento di John Riley, che – dopo aver rilevato come la Marsigliese sia citata nell’operetta di Hoffenbach dalla quale proviene il can-can – suggerisce una possibile interpretazione della sovrapposizione dei due brani, che riconduce anch’egli alle due fazioni politiche contrapposte: «Come mostra l’intreccio dei due temi, i borghesi e i comunardi condividevano una ingiustificata convinzione riguardo la loro ‘inevitabile’ vittoria e la facilità con la quale l’avrebbero conseguita» (J. Riley, Keeping the icons on the wall: Shostakovich’s cinema and concert music, in ivi, pp. 223- 233: 226).

63 D. Šostakoviĉ, ʻLa musica di Nuova Babiloniaʼ, in Sovietskii ekran, p. 3; cit. in M. Iakubov, Dmitri Shostakovich’s Music to the Silent film New Babylon, p. 546.

64 Ibidem.

65 Uno studioso vicino al gruppo dei FEKS, Vladimir Nedobrovo, constatava nel 1928 come si stessero evolvendo «dall’eccentricità semplicistica e rozza […] a un’eccentricità complessa e più fine» (V. Nedobrovo, Feks. Grigorij Kozinv, Leonid Trauberg, Mosca-Leningrado, 1928; trad. it. ʻEccentrismo nei Feksʼ, in P. Bertetto (a cura di), Ejzenštein, FEKS, Vertov. Teoria del cinema rivoluzionario. Gli anni Venti in Urss, Milano, Feltrinelli, 1975, pp. 239-259: 241).

66 J-B. Clément, Chansons, Paris, Imprimerie Georges Robert, 1885, p. 243. A chiosa della chanson l’autore annotava: «Puisque cette chanson a couru les rues, j’ai tenu à la dédier, à titre de souvenir et de sympathie, à une vaillante fille qui, elle aussi, a couru les rues une époque où il fallait un grand dévouement et un fier courage! Le fait suivant est de ceux qu’on n’oublie jamais: Le dimanche, 28 mai 1871. […] Qu’est-elle devenue? A-t-elle été, avec tant d’autres, fusillée par les Versaillais? N’était-ce pas à cette héroïne obscure que je devais dédier la chanson la plus populaire de toutes celles que contient ce volume?» (ivi, p. 244).

67 Le temps des cerises ha conosciuto una vasta fortuna anche nel XX secolo. Tra i suoi interpreti più prestigiosi vi è stato Yves Montand, che – dopo averla inserita in uno dei suoi album più celebri, dedicato al récital tenuto nel 1953 al Théâtre de l'Étoile a Parigil’ha riproposta nel febbraio del 1974, in occasione del concerto dedicato al dramma del Cile dopo il colpo di stato che aveva deposto Salvador Allende. Sui canti legati agli eventi della Comune cfr. G. Coulonges, La Commune en chantant, Paris, Les Editeurs Français Réunis, 1970.

68 A parere di Joan Titus, la citazione del brano di Čajkovskij costituirebbe anche una sorta di omaggio di Šostakovič al ruolo del pianoforte nel cinema muto degli anni dieci e venti. Cfr. J. Titus, The Early Film Music of Dmitry Shostakovich, Oxford, Oxford University Press, 2016, p. 33.

69 A. Baricco, Il genio in fuga. Due saggi sul teatro musicale di Gioacchino Rossini, Genova, Il Melangolo, 1988, pp. 67-68.