Per chiunque si interessi di fumetto italiano, una conoscenza più che passeggera della serie di Tex è requisito imprescindibile, tanto incisiva e duratura è stata la presenza nella nostra cultura fumettistica di questa serie ammiraglia. Tex, però, appare più refrattario all’analisi di altri importanti personaggi Bonelli. Di Dylan Dog si possono discutere l’antieroismo, il citazionismo, le componenti autoreferenziali; di Martin Mystère l’intreccio di riferimenti colti e le trame sofisticate; di Julia lo stravolgimento degli stereotipi sessisti del fumetto avventuroso – e via dicendo. Sono serie, si può dire, che spesso sviluppano un livello ‘meta’ su cui l’analisi può dirigere i propri strumenti. Il Tex che conosciamo oggi invece resiste all’interpretazione, e non sembra prestarsi a molte sottigliezze. Le robuste arcate narrative delle storie, l’essenziale profilo psicologico di tutti i personaggi (ognuno colto in una sola, grande funzione narrativa), le scenografie accurate ed evocative, la sobria e ordinata scansione delle tavole – tutto, insomma, si presenta agli occhi del lettore con la forza di una voluta immediatezza che si rifiuta a ogni autocompiacimento; che vuole essere puro trionfo della narratività, del contenuto che si dipana agevolmente davanti agli occhi del lettore, quasi cercando di celare la presenza di una voce autoriale.
Eppure, questa versione architettonicamente posata di Tex non è uscita già tutta formata dalla testa di Gianluigi Bonelli, ma ha preso forma gradualmente lungo la serie medesima, rinforzandosi per piccoli incrementi. In questo saggio intendo offrire una lettura ravvicinata delle storie principali della prima annata di Tex, riferendomi alla versione originale, prima che nelle ristampe venissero operati considerevoli ritocchi dovuti anche alla necessità di correggere errori e di adattarsi alle pressioni della censura. Sarà dunque necessario procedere per analisi minute, o persino microscopiche, perché aggiustamenti anche minimi ai testi originari hanno finito nel tempo col propagarsi in tendenze di grande impatto. Si tratta, prima di tutto, di un modo per riscoprire il personaggio nella sua originaria e ancora indefinita incarnazione. Allo stesso tempo, una considerazione di questo tipo permette di apprezzare una volta di più le speciali modalità comunicative delle narrazioni seriali protratte, lungo le quali è possibile determinare effetti che non pertengono ad altri tipi di espressione.
Ma partiamo dagli inizi, anzi dalla preistoria.
Estate, 1948: in un’Italia ancora in macerie, un curioso esperimento imprenditoriale sta avendo luogo in un appartamento di via Saffi a Milano.[1] Tea Bertasi, ex moglie di Gianluigi Bonelli ed ex assistente di tipografia, ha assunto le redini della casa editrice Audace, e dopo avere ristampato i materiali pubblicati nell’anteguerra ha deciso di mettersi a produrre cose nuove. Nell’appartamento di via Saffi in cui vive col figlio Sergio, ha assegnato una stanza ad Aurelio Galleppini, un giovane artista intenzionato a guadagnarsi da vivere disegnando fumetti. Per questo motivo Galleppini si incatena al tavolo da disegno giorno e notte, lavorando con cura a un nuovo personaggio che sembra destinato a diventare la punta di diamante dell’Audace: Occhio Cupo,[2] su sceneggiature di Gianluigi Bonelli.
Occhio cupo è ambientato a metà Settecento, nello scenario della guerra franco-indiana, e racconta le vicende di Carlo Lebeau, un francese falsamente accusato di omicidio che, in apertura del primo albo, viene mostrato sulla rotta della deportazione verso il Canada.[3] Qui Lebeau assume l’identità del giustiziere mascherato Occhio Cupo, con un costume corredato di mascherina domino, camicia a frange, pantaloni attillati, e stivali a cima floscia, da illustrazione per I tre moschettieri. Così camuffato, Occhio Cupo si batte per vendicarsi del suo nemico Vitrè (che lo ha fatto condannare), per carpire il cuore della bella Clara e per porsi al servizio di deboli e indifesi. Il tutto in una narrazione distesa e posata, ben calibrata, con una successione di duelli, inseguimenti e palpitazioni che ha un andamento quasi letterario, come se si trattasse della trasposizione a fumetti di un romanzo anziché dell’espressione di un’idea originale.
Gli elementi per il successo sembrano, insomma, esserci tutti. Anzi, forse il fumetto era stato fatto troppo bene, troppo ‘da manuale’, e il risultato non era eccitante. Per prendere in prestito una bella immagine di Raffaele De Falco, Occhio Cupo era come una pietanza fatta di ingredienti deliziosi, ma che nessuno voleva mangiare.[4] Il fiasco fu totale, e non ci volle molto all’editore e agli autori per capirlo.[5]
Ma tornando all’estate del 1948, nell’appartamento-redazione-pensione di via Saffi c’era anche un altro progetto che stava prendendo forma, distrattamente e senza clamore. Si trattava di una serie pensata per la nuova nicchia editoriale del formato a striscia, con minuscoli albetti comprendenti una sola striscia di fumetto per pagina. E questa serie, ovviamente, era Tex.
Quanto a cura, la nuova impresa risultava del tutto opposta a Occhio Cupo, concepita com’era nei ritagli di tempo tanto dello sceneggiatore quanto del disegnatore.
Bonelli, dopo essersi profuso a calibrare le orologerie narrative di Occhio Cupo e di altri progetti in corso, si accontentava di riciclare in Tex idee e abbozzi prodotti in precedenza per il personaggio di Red Killer, pubblicato da Giovanni Di Leo,[6] e trasformava quel pistolero in una copia quasi omonima – Tex Killer. Galleppini, dal canto suo, riservava a Tex Killer le ore più tarde della sera e della notte. Dopo il minuzioso autocontrollo mantenuto sui dettagli di Occhio Cupo, Galleppini aveva bisogno di lasciarsi andare, e quindi lavorava su Tex per linee libere e svelte, omettendo le minuzie, rubacchiando qualche immagine dagli albi di Molino,[7] trapiantando elementi già pronti da Occhio Cupo (come l’abbigliamento di Tex, identico a quello di Lebeau) e anche da una sua storia western precedente, Il segreto della valle nascosta (dove troviamo un cowboy la cui fisionomia già richiama il volto del primo Tex).[8] Nella sua ansia di risparmiar tempo Galleppini arrivava addirittura a ricalcare i suoi stessi disegni per Tex da un albo all’altro, in una sorta di curioso autoplagio.[9] La serie insomma prendeva forma in un processo rapido e spontaneo, spigliato all’estremo, che sostituiva i raffinati intarsi di Occhio Cupo con pochi ed essenzialissimi nuclei visivi.
Il risultato, dopo un cambio di nome da Killer a Willer,[10] arriverà in edicola il 30 settembre 1948. E questo Tex scritto e disegnato in tutta fretta, in difficili condizioni tecniche, proprio per la sua natura naif finisce per essere caratterizzato da un freschissimo senso di energia e dinamismo.
Energia e dinamismo, congiunte a essenzialità, sono in evidenza sin dalle due vignette iniziali del primo numero. Nella prima vignetta in assoluto vediamo Tex in cima a una roccia sul pendio di un canyon; la figura guarda in basso a destra, verso un fondo che non viene mostrato, portando così l’interesse del lettore fuori e oltre la vignetta e incitandolo a proseguire nella lettura. La composizione generale è semplicissima, pratica e funzionale, con l’eroe che domina lo spazio centrale, uno sfondo di macigni dall’aspetto credibile, e sulla sinistra il cavallo di Tex, a dire il vero un po’ fuori prospettiva perché troppo piccolo rispetto alla sua posizione.
Quello che conta di più è la sapiente posa della figura di Tex, solidamente piantata in scena grazie alle gambe divaricate, ma pure animata da una torsione interna, con i piedi verso il lettore e il corpo che gradualmente si gira fino a che il viso risulta rivolto verso il retro della scena. La figura è attraversata da quella che fin dal tardo Rinascimento viene conosciuta come ‘linea serpentinata’, che determina un senso di forte coinvolgimento del corpo nello spazio. L’impressione di movimento qui è rafforzata dal braccio destro di Tex, che estrae una seconda pistola, oltre a quella già impugnata con la mano sinistra, dando così al lettore la sensazione di un evento che richiede una reazione vigorosa.
Nella vignetta successiva, il cono formato dalla figura di Tex è contratto nella corta piramide del corpo accovacciato a scrutare verso il fondo del canyon, dove ora il nostro sguardo si dirige a scoprire un gruppo di figure lanciate in un’affannosa galoppata. Lo scopo e le intenzioni delle figurine a cavallo non sono ancora note (così che la curiosità del lettore ne risulta di nuovo sollecitata), ma è chiaro che sta avvenendo qualcosa di importante, visto che i cavalli corrono a gran velocità sollevando un polverone che avvolge la maggior parte dei personaggi (secondo un criterio, di nuovo, di dinamismo ed essenzialità).
I disegni di Galleppini riescono dunque a coinvolgere il lettore sin dalle prime vignette, trascinandolo in un turbine di figure in movimento e volumi protesi all’azione. In tale flusso visivo il naturalismo viene talvolta ridotto a vantaggio dell’effetto d’insieme, senza per questo ridurre la leggibilità della catena d’immagini.
Per citare un altro esempio: nella sequenza finale dell’albetto l’illuminazione si fa vivacemente espressionistica, con effetti non del tutto realistici ma di notevole impatto. Si veda la prima vignetta di pagina 29, quando Tex ha raggiunto il criminale Coffin nella sua dimora. Tex, intenzionato a recuperare il medaglione rubato da Coffin, fa un’entrata teatrale e minacciosa, piazzandosi ben in mezzo alla finestra spalancata con le pistole puntate sui criminali. L’impressione generale risulta accentuata dalla coltre di tenebra che cela il volto e il petto del personaggio, conferendogli un aspetto inquietante. Questa barriera d’ombra, però, per quanto efficace, non ha alcun senso nella concezione generale della scena. Tex ha alle spalle la strada di una minuscola città del West a tarda notte, e sta rivolto verso l’interno di una stanza perfettamente illuminata. Se Galleppini avesse cercato un effetto di realismo, il volto e il petto di Tex sarebbero apparsi inondati di luce, mentre la schiena si sarebbe confusa nella tenebra retrostante. Eppure questo ‘errore’ funziona benissimo. Tex, che Coffin credeva morto, è per un istante un fantasma sovrannaturale tornato per compiere la propria vendetta; è una creatura misteriosa che vive nelle ombre, e che infatti poco dopo sparerà alla lampada per sconfiggere i suoi nemici con la copertura del buio.
Quello che più conta, per la nostra comprensione dello stile visivo del primo Tex, è annotare come in questo caso il disegnatore abbia deciso di sacrificare in qualche misura il realismo in nome dell’effetto e dell’intensità espressiva. Tale soluzione si diparte solo di poco, e in maniera sottile, dal realismo, senza danneggiare il procedere serrato dell’azione e l’intuitiva accessibilità della lettura.
Così come la composizione visiva, anche la costruzione degli eventi è volta ad appassionare il lettore sin dalle prime vignette, con un inizio in medias res che presenta un’azione narrativamente poco determinata e che omette molti dettagli. È una narrazione volutamente sbilanciata, che trascina in avanti il lettore attraverso il desiderio di conoscere lo sviluppo degli eventi e di comprendere gli elementi che non gli sono ancora stati spiegati. Ed è una narrazione tutta densa di inseguimenti, sparatorie, combattimenti, che rivela la sostanza della trama col contagocce, incorniciando i dialoghi più sviluppati tra intense scene di azione e soffondendo così anche questi momenti di rallentamento con un senso di pericolo incombente.
Di questo stile narrativo ellittico abbiamo un esempio già nell’esordio della serie, nella didascalia che dovrebbe introdurre situazione e personaggio: «In una delle gole selvagge del Rainbown [sic] Canyon, Tex Willer sta bivaccando dopo una lunga galoppata che lo ha portato oltre i confini del Texas, quando improvvisamente, alcuni spari echeggiano a non molta distanza».[11] Di certo questa didascalia ci insegna poco: abbiamo soltanto il nome del protagonista, il nome (sgrammaticato) di un’ambientazione esotica e astratta, e una non spiegata situazione di dislocamento spaziale (perché Tex ha lasciato il Texas?). Dopo aver letto questa didascalia, quello che vogliamo sapere è più di quello che abbiamo appreso, e questo è esattamente l’intento del testo.
Tex, rivoltosi a cercare la fonte degli spari, si chiede: «Per tutti i diavoli? che mi siano ancora alle costole?»; poi, scorgendo il gruppo a cavallo esclama: «Ah... eccoli... vengono dalla prateria... e non è lo sceriffo coi suoi scagnozzi...», mentre alla pagina successiva conclude: «Vediamo un po’... Ehi!... una giovane indiana... e che il diavolo mi porti se quello non è quel dannato di Coffin! Una faccenda losca, questo è sincero, ma non è detto che io lasci nei guai quella ragazza...». Certo questo non è il linguaggio che si insegnava nelle scuole e a catechismo nel 1948! Nel giro di quattro vignette Tex ha usato due espressioni che riguardano il diavolo e una che richiama i dannati, e in generale ha inaugurato quel gusto per l’espressione vivace e metaforeggiante che caratterizzerà poi l’intera serie di Tex nei decenni a venire.
Tuttavia, anche se i dialoghi di Tex risultano molto mossi e vitali grazie a scelte lessicali come queste, dubito che si possa parlare di realismo in senso facilmente mimetico. Si ha piuttosto l’impressione di un concentrato di espressioni gergali che derivano dalla letteratura, dal cinema e dall’invenzione bonelliana, impiegate con tale insistenza da suonare volutamente eccessive. Gianluigi Bonelli non è Faulkner, e all’atto di dare voce ai suoi personaggi non si preoccupa tanto di trasporre lo slang del Sud degli Stati Uniti, preferendo modulare il dialogo per spezzoni gergali artefatti che risultano rinvigoriti dall’accostamento, dalla frequenza con cui le coloriture si inseriscono in ogni aspetto del discorso. Il senso di freschezza risiede dunque principalmente nello scostamento dal linguaggio paludato dell’ufficialità (soprattutto scolastica, per il giovane lettore di Tex) e nel giocoso gusto per la trovata insolita.
Fin da quando Tex chiama ‘scagnozzi’ coloro che collaborano con lo sceriffo, appare inoltre chiaro che il personaggio deve provare poco rispetto per i rappresentanti della legge. Non a caso nelle riedizioni successive del testo la parola ‘scagnozzi’ verrà modificata dagli autori e sostituita col più neutro ‘uomini’, per dare a Tex un più chiaro allineamento coi valori dominanti.
Eppure, anche se parla di ‘scagnozzi’ dello sceriffo, questo primissimo Tex non può essere un vile criminale, perché già alla quarta vignetta decide di andare a prestare aiuto alla ragazza inseguita da Coffin, Tesah, senza che alcun obbligo lo vincoli e senza alcun apparente vantaggio personale. Questi due indizi sul carattere di Tex (irriguardoso verso la legge, ma dotato di forte etica) convergono nel dialogo chiarificatore che si legge poco dopo:
Tex: Hai mai inteso parlare di Tex Willer? ||
Tesah: Tex Willer, il fuori legge solitario?
Tex: Proprio io e se hai sentito parlare di me saprai anche che io uccido solo chi merita di essere ucciso.[12]
Poco più avanti si scopre che Tesah si confida facilmente con Tex perché egli ha fama di uomo affidabile, che conta amici tra i nativi.[13] Si scorge già in questo passaggio il germe di quello che sarà poi un cruciale sviluppo della serie, con l’assunzione da parte di Tex del ruolo di mediatore tra la cultura dei bianchi e quella dei nativi.
È dunque, questo, un Tex fuori dal sistema del potere, escluso e amico di altri esclusi come i nativi americani, e trattato ingiustamente dalla legge, come si vede bene in questo dialogo che avviene tra due passanti, alla vista di Tex, in un albo successivo:
Passante 1: Povero Tex! Sempre in fuga davanti agli sceriffi!
Passante 2: Al diavolo gli sceriffi! Con dieci uomini come Tex Willer... || …in un mese non vi sarebbero più banditi e bari in tutta l’Arizona!
Passante 1: Gli sceriffi… puah![14]
Annoto anche che questo passaggio rientra bene nella prospettiva delle origini, dove Tex viene mostrato come un eroe del popolo, aperto e alla mano nei rapporti con le persone comuni e felice di stare in mezzo a loro.[15] Nei primi albi sono infatti numerosi i momenti in cui Tex è al saloon attorniato da una folla che intona sonori hurrah perché Tex ha sconfitto dei criminali locali, o perché ha dato una lezione a uno sceriffo corrotto, o ha pagato da bere a tutti, o tutte queste cose insieme.
In questa fase iniziale i crimini passati del personaggio vengono accennati molto vagamente, e si capisce che Tex è un ricercato perché ha commesso quelli che lui ritiene atti di giustizia. Nel settimo albo assistiamo a un dialogo in tal senso molto rivelatore. Tex è stato catturato da un capitano dell’esercito che si prepara a condurlo in prigione. In una sosta del viaggio, i due siedono davanti al fuoco e il capitano ammette di provare ammirazione per Tex:
Capitano: Credetemi, Tex, non è molto piacevole per me il farvi scortare al Forte Custer, ma... || il mio dovere è preciso. So che non siete un bandito come gli altri ma per il governo degli stati siete sempre un fuori-legge. || […] Purtroppo voi siete... uno di quei tanti che si fanno giustizia da sé, dimenticando le leggi... ||
Tex: Leggi… quali leggi, capitano? Queste zone sono infestate di banditi che predano e uccidono... || e cosa fanno gli sceriffi? ...Impiccano di tanto in tanto qualche ladro di cavalli...[16]
In quel momento un ranger dell’esercito giunge sulla scena per parlare col capitano, e avendo appreso che l’altro uomo è Tex si lascia scappare che sarebbe stato meglio se l’esercito avesse catturato Tex dopo che questi avesse sgominato la banda della Mano Rossa. I rappresentanti della legge paiono insomma essere incapaci o non interessati a contrastare gli autentici criminali che minacciano la società (mostrandosi per giunta del tutto consapevoli di tale incapacità o disinteresse!), e tocca allora agli individui più determinati proteggere gli innocenti e punire i colpevoli. Il mondo che ne risulta è sfiduciato e crepuscolare, venato di un tratto di pessimismo verso le istituzioni che può venire bilanciato soltanto dalla reciproca collaborazione tra i giusti. È anche un mondo in cui i contrasti tra bene e male sono rigidi, ma non per questo seguono linee stereotipiche. Se il genere western del periodo ancora tendeva a contrapporre bianchi buoni e nativi cattivi, per esempio, nel primo Tex i nemici sono di norma dei bianchi, e i pochi nativi che appaiono o sono personaggi simpatetici come Tesah, oppure, quando si tratta di criminali, lavorano per i bianchi che li hanno corrotti moralmente – e sono dunque tanto sicari quanto vittime dell’oppressione colonialista.
Ma ripartiamo, una volta di più, dall’inizio. Dunque, avevamo lasciato Tex lanciato al soccorso di Tesah. Raggiunta la ragazza e fatte rapide presentazioni, giungono sulla scena i cinque inseguitori, che Tex riesce a mettere in fuga a colpi di pistola dopo averne uccisi alcuni. Rimasto solo con Tesah, Tex apprende che Coffin le aveva ucciso il padre per rubargli un medaglione che conterrebbe le indicazioni per recuperare un tesoro nascosto. Prima della scena d’apertura dell’albo, Tesah era riuscita a riprendere il medaglione, e per questo Coffin la stava inseguendo. Proprio in quel momento arriva Coffin con due sgherri; Coffin spara a Tex a distanza ravvicinata e Tex precipita in un fiume. Coffin cattura Tesah, le carpisce il medaglione, e la condanna a morte lenta, seppellendola fino al collo nel deserto. Tex però non è morto; rinviene, trova Tesah, e dopo averla messa al sicuro si reca alla casa di Coffin a Calver City: qui sorprende il nemico che sta discutendo i dettagli del recupero del tesoro col nativo rinnegato Dente di Lupo, attacca i due e ferisce Dente di Lupo, ma è poi costretto a fuggire dalla finestra. Non è chiaro se nella lotta Tex sia riuscito ad afferrare il medaglione, cosa che, per pianificazione o per distrazione, crea comunque un buon cliffhanger. L’albetto termina con Coffin che ordina a un nuovo gruppo di sgherri di catturare Tex.
Tirando le somme, questo primo numero della serie presenta tre scontri a fuoco, quattro morti effettive, la morte apparente di Tex, una condanna al supplizio del deserto, un medaglione con messaggio in codice, un tesoro perduto, una roccia misteriosa, un imprecisato passato da fuorilegge per il protagonista, e un eroe sempre in movimento, costretto alla fuga sia nella scena iniziale che in quella finale. Certo che c’è davvero tanto materiale in appena 96 riquadri visivi tra vignette e didascalie! Senza dubbio su questo ritmo frenetico pesa l’influenza del formato ad albetto a striscia, che obbliga gli autori a presentare molti motivi di interesse per il lettore in uno spazio di testo davvero esiguo. Eppure i confini fisici dell’episodio non bastano a spiegare questo martellante succedersi di eventi, perché albetti successivi di Tex, ancora del periodo a striscia, si muovono per assemblaggi narrativi più posati, con dialoghi meglio sviluppati e maggiore autocontrollo nel presentare il flusso degli eventi. Il contrasto è ancora più forte al paragone col formato Bonelli odierno, in cui il primo albo di Tex riempirebbe appena una dozzina di pagine (il che, nel Tex degli anni recenti, a volte non basta nemmeno per risolvere una singola scazzottata o sparatoria). Oggi in Tex tutto è ampio e allungato, ma nel Tex delle origini la dirompente energia creativa dello sceneggiatore e le limitazioni del formato portavano a procedere per scatti rapidi e brevissimi, e si ricorreva di continuo all’ellissi per concentrare un numero impressionante di spunti e situazioni. Questo ha permesso a Bonelli di immettere un flusso indiavolato di elementi in una narrazione certo inelegante, che sembra quasi il riassunto di una storia più lunga, ma che al contempo pare agile e nervosa quanto il suo protagonista.
Nel secondo albo, tuttavia, la narrazione si distende parzialmente, con campiture narrative più ampie che includono anche trame parallele e montaggio alternato: la caccia al tesoro di Tex e Tesah da una parte, di Coffin e Dente di Lupo dall’altra. Tex e Tesah cadono in un agguato, e Coffin e Dente di Lupo li legano alle colonne della camera del tesoro, dove Coffin spara al suo complice per non dover dividere il bottino. All’inizio del terzo albo Coffin lascia i due eroi nella caverna, ma Dente di Lupo, morente, libera Tex e si fa promettere che Tex ucciderà Coffin. Tex torna a Calver City, e lancia attraverso la finestra di Coffin un sasso con accluso un sinistro messaggio: «Coffin, il tesoro della Roccia Parlante non ti porterà fortuna. Il sangue versato ricadrà su di te. L’uomo della tomba».[17] Tex ignora le molte occasioni che avrebbe per uccidere Coffin, e inizia invece uno spietato gioco del gatto col topo, in cui tormenta il suo nemico in veste di giustiziere mascherato, col volto coperto da una bandana. Dopo una serie di inseguimenti, Tex sconfigge Coffin con un pugno alla mascella e lo lascia presumibilmente a morire nell’incendio che si è sviluppato durante la lotta.
Nel quarto albo la narrazione si distende ulteriormente, finalmente prendendosi il tempo di presentarci la situazione e suoi attori: una banda di rapinatori nota come la Mano Rossa, un investigatore ucciso da questi ultimi, e il nostro Tex, fuorilegge per motivi ancora non chiari, che viene scambiato per l’assassino. Iniziano qui a presentarsi con qualche regolarità pagine-striscia di due vignette invece di tre, che consentono maggiore complessità interna e maggior gusto per gli spazi e i paesaggi. Dotato di barba finta, Tex si reca a discutere della situazione con un colonnello dell’esercito, e lo convince a dargli una possibilità: Tex sarà così esonerato dai crimini della Mano Rossa se riuscirà a consegnarne i membri alla giustizia. Di nuovo troviamo il trucco della pietra con messaggio minatorio per atterrire i criminali, e di nuovo, nel numero 5, il fazzoletto sulla faccia, la pallottola che fa esplodere la lampada, e la voce del vendicatore che tuona nel buio: «Uomini della Mano Rossa, non dimenticate che la vendetta è in cammino!».[18]
La storia della Mano Rossa continua sino all’ottavo albo, dove termina nel mezzo del fascicoletto, non all’ultima pagina, peraltro senza l’indicazione ‘Fine’. Con assoluta continuità, il flusso di vignette trascolora nella narrazione successiva: Tex, dopo lo scontro con la Mano Rossa, si sposta verso il confine col Messico «ove spera di trovare un po’ di tranquillità e sceriffi meno ficcanaso»,[19] e scopre un gruppo di persone massacrate intorno a una fattoria in fiamme. Parte da qui una nuova trama che mette Tex contro il criminale El Diablo e che costituisce una storia significativa perché rappresenta il primo caso, nella serie, in cui la piccola criminalità si affilia con gli schemi del grande capitalismo e della politica. Coffin vuole un tesoro, mentre la Mano Rossa desidera godersi i frutti di rapine e scorrerie; El Diablo, invece, compie crimini per destabilizzare la zona intorno a El Paso, allontanarne i proprietari terrieri, e consentire al Messico di acquistare i territori a nord del Rio Grande. Il governo degli Stati Uniti non può agire oltre il confine per non rischiare un incidente diplomatico, e per questo un agente segreto avvicina Tex e lo ingaggia per catturare El Diablo. Nel giro di soli due mesi di albetti, la prospettiva narrativa si è di certo ampliata e arricchita.
Lo scontro con El Diablo dura sino al numero 13, dove, dopo aver sconfitto i criminali, Tex comincia a preoccuparsi di Florecita, la figlia di El Diablo, che sembra essere sparita col fuorilegge Bill Mohican. Intanto arriva un agente del governo, che in virtù dell’eroismo mostrato da Tex lo esime dalle sue pendenze e lo arruola nel servizio segreto dei rangers. Qui Tex viene anche presentato ad altri due rangers; il primo è Arkansas Joe, il secondo è colui che diventerà, negli anni successivi, il principale comprimario della serie, Kit Carson.
Prima di accettare una missione governativa, però, Tex ottiene il permesso di andare da solo sulle tracce di Mohican e Florecita. In questa indagine Tex scopre che Florecita, rapita da Mohican, si è suicidata pur di non soffrire le pene della prigionia (e forse di una violenza sessuale a cui il fumetto non avrebbe potuto nemmeno accennare). È un momento di realismo tragico e amaro, come a ricordarci che nemmeno gli eroi più dedicati possono sperare di raddrizzare ogni torto e portare sempre il lieto fine.
Dopo avere punito Mohican ed essere tornato in città, Tex scopre che Jeff, il ranger che lo aveva arruolato e protetto, è stato ucciso a Silver City. Tex si lancia allora a vendicarne la morte, e non tarda a scoprire che Silver City è in mano al capitano di battello Bud Lowett, il quale controlla lo sceriffo (vigliacco e corrotto), tiene al soldo il pistolero Tim Hardy (che ha ucciso Jeff), dirige una ventina di sicari e possiede un locale malfamato gestito dalla maliarda Marie Gold (stereotipo incarnato della femme fatale). In questo episodio per la prima volta si fa strada un altro tema che sarà di continuo successo nella serie, quello cioè del capo di una grande gang che controlla ogni punto nevralgico di una cittadina. Nell’albo 15 Tex sconfigge cinque criminali al servizio di Lowett, e il lettore attento comincia a notare una costante. Di cinque uomini era pure la banda di Coffin, e di cinque quella della Mano Rossa. Si è chiaramente stabilito che cinque sia il numero massimo di nemici che Tex può ‘sistemare da solo’ – ed è un numero ben scelto, abbastanza alto da riuscire superomistico, ma non così elevato da perdere di ogni credibilità. Tex negli albi seguenti distrugge il piccolo impero di Lowett, e la storia culmina, al numero 19, in quella che è la sparatoria più lunga e complessa realizzata all’interno della serie fino a quel momento. Vinto lo scontro e sgominata la banda, Tex rimane a letto per due mesi per riprendersi dalle ferite; alla fine, deve vincere la tentazione di fermarsi a Silver City e mettere su casa con Joan, la figlia del giornalista locale. I due provano attrazione reciproca, ma Tex alla fine decide di ripartire. Come spiega il padre di Joan:
Sii fiera di aver conosciuto un uomo come Tex... Egli non poteva restare... || poiché uomini come Tex Willer non possono essere di una sola donna... Essi sono di tutte le donne del West che hanno un focolare da proteggere. Tex non è uomo... è la legge dei forti in lotta contro il male...[20]
E Tex, che si sta allontanando a cavallo, si concede un rarissimo momento di introspezione quasi lirica: «Corri, Dinamite, corri... E non ti fermare sino a che la notte non nasconda ogni cosa... Non l’amore, ma la morte deve essere la fedele compagna di ogni giorno e di ogni ora...».[21] Si intravede qui quello che sarà un altro dei tratti portanti di Tex, ovvero il suo carattere virile imperniato intorno all’impegno in una missione etica più alta. Eppure, si può dire, Tex non nasce così determinato, e in questi primi albi è ancora e senza dubbio un uomo di carne e sangue, che si dibatte tra il desiderio di autosacrificio e la tentazione di abbandonarsi al sentimento e alle gioie di una vita senza azione.
Dal punto di vista strutturale l’albo 19 rappresenta un momento importante nello sviluppo della serie, anche in quanto costituisce il termine della terza storia di Tex… forse. La vicenda del tesoro perduto e lo scontro con la Mano Rossa avevano un inizio e un finale ben definiti; in seguito, tuttavia, la narrazione comincia a essere più mobile e complessa, a essere costruita per campiture da cui è a volte ambiguo estrapolare segmenti definiti. Tex è andato a sconfiggere El Diablo, cosa che lo ha portato, come si è visto, a diventare ranger del Texas e a incontrare Carson e Arkansas Joe. Questo potrebbe essere un degno finale, se non che il destino della ragazza rapita da Mohican è ancora incompiuto. Tex risolve anche quel caso, e torna dalle autorità. Il finale potrebbe essere allora questo – se non fosse che mentre Tex era lontano la banda di Lowett ha ucciso Jeff, di fatto facendo deragliare la trama che il lettore poteva attendersi, in cui Jeff avrebbe dovuto dare un incarico a Tex. Ma almeno dopo che Tex ha sconfitto la banda di Lowett e detto addio a Joan, si potrà pur dire che siamo al finale? Difficilmente, perché Tex scopre che durante la sua convalescenza qualcosa è avvenuto a un personaggio presentato prima: Carson, che è intanto scomparso senza spiegazione – e l’albo 19 si chiude proprio con l’introduzione di questo nuovo mistero, in un forte cliffhanger.
Se le prime due storie di Tex si erano susseguite pacificamente, a partire dalla vicenda di El Diablo Bonelli comincia introdurre nella serie la tecnica dell’entrelacement, mediata forse dal poema di Ariosto di cui era grande ammiratore. Certi filoni narrativi (El Diablo, Mohican, Lowett) rimangono ben identificabili, ma le transizioni sono più morbide, ed ogni nuovo intreccio emerge dallo sviluppo di un elemento narrativo inizialmente introdotto come secondario, in tutti i casi con l’espediente di un personaggio minore che finisce nei guai: Florecita, poi Jeff, poi Carson.
Proseguendo nella lettura ravvicinata, dopo tre albi di ulteriori avventure Tex è riuscito a salvare Carson, il quale lo porta al saloon per festeggiare con «due bottiglie celestiali di wishis»[22] (sic). A due pagine dalla fine dell’albetto arriva un telegramma che chiama Carson a Washington e Tex a Fort Wellington, dove quest’ultimo riceverà i dettagli della sua nuova missione. I due si salutano, e Tex parte. L’idea che Tex debba avere dei comprimari fissi chiaramente ancora non si è presentata, e questo, ovviamente, consuona con l’idea originaria di un Tex reso più grande dall’assenza di legami stretti. La vicenda che inizia ora assomiglia molto a quella originale del tesoro scomparso, con Tex che si intromette nei piani del criminale Don Felipe, il quale ha raggirato un gruppo di nativi residenti in Messico e ha pianificato di impadronirsi di un loro ancestrale tesoro. Di questa sequenza di albi, oltre alle ormai consuete scazzottate e sparatorie, è notevole soprattutto un passaggio in cui Tex lascia un messaggio strafottente ai suoi inseguitori, come faceva nei primi episodi, e un altro in cui offre da bere a tutti al saloon, come amava fare agli inizi.[23] Anche in questo caso si osserva bene, dunque, come il percorso dal Tex ‘paesano’ al Tex ‘olimpico’ di oggi non sia da pensarsi all’interno di una traiettoria rettilinea, quanto in una serie di concrezioni da cui la nuova versione emerge molto lentamente.
Al termine della vicenda Tex porta il tesoro (che i nativi hanno rifiutato!) negli Stati Uniti, e ottiene dal governatore una concessione di terre per formare una riserva che apparterrà ai nativi e ai loro discendenti. Ancora una volta, i nativi americani vengono rappresentanti come tendenzialmente pacifici, e dediti alla violenza principalmente quando corrotti o ingannati dai bianchi. E ancora una volta, Tex si fa portavoce di coloro che non possono rappresentarsi da soli.
Narrativamente la vicenda dovrebbe essere risolta, con cattivi puniti e nativi risarciti. Il lettore inizia a rilassarsi e ad attendersi qualche pacifica scena di riposo. E invece no! Lo zio di Don Felipe riferisce al governo messicano la notizia del tesoro portato oltre frontiera. In risposta, l’esercito manda cinque squadroni di cavalleria a razziare ranch texani, a trafugare il tesoro dalla banca di Santa Fè e a radere al suolo l’intera cittadina. Peggio ancora, il raid è pensato con l’intenzione di provocare una reazione dell’esercito statunitense, il che a sua volta giustificherà l’intervento ufficiale dell’esercito messicano e scatenerà una guerra da cui il Messico spera di recuperare i terreni perduti con l’annessione del Texas agli usa e con la guerra messicano-statunitense. Così, nella seconda parte di questo albetto, dove ci si poteva attendere un calo di tensione, gli autori introducono invece a sorpresa una vera e propria battaglia nella quale, tra grandi cariche di cavalleria, edifici in fiamme, lotte su barricate di carri e civili travolti dagli zoccoli dei cavalli, si trovano senza dubbio le sequenze più appassionanti della serie di Tex fino a questo punto.
Dopo un inseguimento dal taglio molto moderno e cinematografico, Tex giunge a un forte dove spera di ottenere rinforzi per i difensori di Santa Fè. Il colonnello Cabot, a capo del forte, è a colloquio «con un pezzo grosso»,[24] il generale Sanders, e ha dato ordine di non essere disturbato. Tex deve malmenare alcune guardie per farsi strada fino a Cabot, e addirittura è costretto a sfondare la porta dell’ufficio. Tex spiega la situazione, ma il generale Sanders ignora la notizia perché è troppo indignato per il comportamento indisciplinato di Tex. Cabot deve intervenire prima che Tex spacchi la mandibola a «questo idiota di generale».[25] Il tema di Tex che resiste a un sistema pomposo e innamorato delle proprie procedure ritorna insomma con grande forza, in misura anche maggiore rispetto alla fase in cui Tex era ufficialmente un fuorilegge.
Negli albi seguenti la battaglia è risolta, ma come in un getto continuo la ‘saga messicana’ continua a crescere, tramite bande di razziatori messicani che collaborano con due spie americane: l’illusionista Steve Dickart (che si esibisce con un costume da diavolo e ha nome d’arte Mefisto) e sua sorella Lyly (fatale e dalle gambe ben in vista, che verranno in seguito censurate). Tex si schiera adesso a difesa del governo americano, ma questo momento di patriottismo non è destinato a durare. Quando Lyly e Mefisto costruiscono false prove per accusare Tex di omicidio, il nostro eroe passa un mese in galera ad attendere l’esecuzione. Quando Kit Carson viene per aiutarlo a fuggire, quello che trova non è più l’americano antiautoritario ma in fondo orgoglioso della propria bandiera, ma un ribelle arrabbiato e senza illusioni:
Rimetterò le mani su Mefisto e su quella tigre bionda, ma non mi prenderò certo la pena di tornare a rendere omaggio a questa massa di imbecilli... || Consegnerò i prigionieri a quel bravo Kit. L’unico uomo che ha creduto in me, e poi tornerò ad essere quello che ero una volta… e all’inferno la legge![26]
Ed ecco che al numero successivo, fuggito dalla prigione, Tex si abbandona a un tetro monologo, che è quasi un manifesto da controcultura ante litteram:
Non mi sono tolto soltanto una divisa non mia, ma mi sono levato anche qualcosa di cui Marshall e gli altri non mi ritenevano più degno... || ...l’onore di appartenere alle forze della legge. Mi ero sempre battuto fedelmente per esse... me ne hanno scacciato... mi hanno condannato... e da questo momento, non servirò più la legge dello stato, ma la sola mia legge... || Addio! E che il diavolo si porti gli sceriffi, i rangers, e tutti gli zucconi in divisa![27]
Da qui, la ribellione morale di Tex diverrà ancora più accentuata. Arrivato in un villaggio in cui alcuni sembrano riconoscerlo, Tex va al saloon e da vero spaccone attacca il proprio manifesto segnaletico al muro, sfidando gli avventori a incassare la taglia sulla sua testa. Poiché i bevitori preferiscono starsene tranquilli, Tex chiude il momento di tensione gridando: «E allora… tutti al banco! Paga Tex Willer il fuorilegge!», dando così luogo a gozzoviglie da cui si levano vari «Urrah per Tex!», «Evviva!», e «Al diavolo gli sceriffi!».[28] Quest’ultima esclamazione, in particolare, nelle ristampe successive sarà rimpiazzata con «Fate correre i bicchieri, gente!».[29]
Ritorna insomma quell’associazione dei primi albetti tra Tex ‘fuorilegge’ e Tex ‘uomo del popolo’, primo tra molti pari. E non sarà forse un caso che, a suggellare la ventata anarcoide che ora soffia nella serie, il padrone del saloon assoldi Tex per fermare un banchiere che pianifica di scappare con i risparmi del paese. Il romantico ribelle si trova così ad andare contro una figura d’autorità solidamente inserita negli ingranaggi del sistema, e la sua lotta diventa protesta contro le convenzioni che proteggono i ladri in doppio petto e ignorano i bisogni della gente. Nessuna sorpresa se ad avventura finita Tex, abbandonando il paese, è salutato in questo modo: «Un fuorilegge! Bah! Val più quello di cento sceriffi!».[30]
L’avventura che segue porta Tex a scontrarsi con uno sceriffo corrotto e in combutta con alcuni ladri di bestiame. Di nuovo, il trionfo dell’impresa viene festeggiato pagando da bere a tutti al saloon, con una nota mentale di Tex a se stesso: «Dall’accoglienza che mi fanno si direbbe che stimano di più un fuorilegge che un dannato sceriffo».[31] Ma la sete di rivalsa è più dura a spegnersi di quella del whisky, e così Tex si unisce ad alcuni contrabbandieri che intendono portare fucili in Messico per supportare un gruppo di ribelli capitanati da Montales. È un modo per Tex di trovare vendetta ad ampio raggio: contro gli Stati Uniti, infrangendone le leggi, e contro il Messico, aiutandone la caduta del governo. Una volta raggiunti i ribelli, Tex si accorge che «Montales e i suoi uomini sono brava gente che la prepotenza dei governativi ha costretto a diventare dei desperados», e diventa amico di Montales.[32] La ribellione di Tex contro i soprusi ‘sistemici’ cresce non solo nelle proporzioni ma anche sul piano della chiarezza, come si vede da una discussione tra Montales e Tex, amareggiato per aver dovuto uccidere dei soldati messicani:
Tex: Dovremo cercare di colpire i capi... quelli che stanno comodi e sicuri dietro una scrivania, e mandano al macello gli altri. || Dobbiamo accattivarci la simpatia del popolo. Far capire ai soldati che noi lottiamo non contro di loro, ma contro gli sfruttatori del paese... || I soldati sono un pericolo se hanno dei capi che li guidano, ma se noi li priviamo dei capi... a chi obbediranno essi? || Spareranno essi senza averne l’ordine contro coloro che si battono per difendere i poveri e gli oppressi? No, Montales! Essi non spareranno! || Essi passeranno sempre più numerosi dalla tua parte, Montales, e tu diventerai non un celebre desperado ma un eroe nazionale!
Montales: Caramba, sei un grande hombre, Tex! ||
Tex: No, Montales. Sono solo un uomo che si è alleato a te perché lottavi per un ideale di giustizia, e tutto ciò che voglio io... || ... è che tu continui a lottare per un ideale, anche a rischio della tua vita.[33]
Tra la fratellanza del popolo contro l’oppressione dei padroni e la consapevolezza che sono i padroni, i ‘poteri alti’, a metterci gli uni contro gli altri, ci sono qui elementi davvero eversivi, che non si trovavano nel western statunitense del periodo. E con queste considerazioni possiamo lasciare la lettura al microscopio operata sino ad ora e tentare di tracciare alcune conclusioni.
Tex può essere nato come eroe ribelle perché quello era il tipo che andava di moda sugli schermi, e i materiali delle storie possono essere stati cuciti insieme con poca cura, selezionandoli semplicemente perché erano disponibili tra i materiali consolidati del genere. Tutto, in questi inizi, tradiva il senso di una narrazione abbozzata e che, per così dire, navigava a vista. Eppure, dopo soltanto pochi albetti, Bonelli inizia a dare maggiore considerazione alla serie, e lavora per fornirvi diversi tipi di unità. Unità narrativa, prima di tutto, con trame che si intrecciano organicamente e si allontanano dal gioco di scatti bruschi delle origini. Unità contenutistica, poi, col lento formarsi di una folla di personaggi di contorno che ritornano con qualche regolarità, dando spessore e credibilità all’ambientazione.
Bonelli instaura anche un senso di forte unità tonale e psicologica, sebbene non dall’angolazione che si aspetta il lettore di oggi. Il tono è di ribellione, di anarchia perfino, e la psicologia del personaggio è quella di un uomo che si sente chiamato a una missione troppo grande per la società che lo circonda; che sente empatia per la gente del popolo, ma che mantiene anche una vena solitaria, come una sottile distanza che lo separa dagli altri. È un personaggio più complesso di quello che conosceremo in seguito, più aperto al dubbio, alla rabbia e al rimorso.
Nelle versioni successive Tex accetterà il suo ruolo fatale di supereroe, deponendo quel rovello che agli inizi lo faceva altalenare tra voglia di avventura e desiderio di un’esistenza appartata. Parallelamente a queste evoluzioni si svilupperà intorno a lui una minisocietà distaccata e ben selezionata, con un Tex più a suo agio con i suoi pards intorno al fuoco, nel deserto, che tra sconosciuti festanti al saloon. E alla separazione fisica e psicologica dalla folla corrisponderà anche, corollario inevitabile, un allontanamento dalle radici politiche che sembravano animare le passioni originarie dell’eroe. Col tempo Tex si allineerà più pacificamente ai valori dominanti, preferendo attaccare di volta in volta diversi criminali anziché il sistema che li ha prodotti.
Ritornando alle considerazioni da cui abbiamo preso inizio, possiamo ora renderci meglio conto della distanza abissale che separa il Tex delle origini con la versione che si è stabilizzata negli anni Cinquanta e permane ancora oggi. La posata eleganza delle trame di Tex, la forza quasi archetipica del quartetto di eroi, la qualità ‘statuaria’ del personaggio possono essere le qualità che nel corso dei decenni hanno fatto la fortuna del personaggio. Ma il raggiungimento di questo misuratissimo equilibrio non è stato un processo lineare, bensì una serie di approssimazioni a partire da una base ribollente di passioni, in un processo il cui punto di approdo neppure gli autori delle origini potevano prevedere. Il prezzo da pagare è stato la perdita di una ruvidezza energica e naif che conferiva grande fascino alle prime incarnazioni del personaggio.
1 Sulle origini delle pubblicazioni Bonelli, quando la casa non si chiamava ancora con questo nome, e soprattutto sull’origine di Tex, si vedano almeno La leggenda di Tex. Il West di Gianluigi Bonelli e Aurelio Galleppini, [Catalogo della mostra], testi di L. Bertuzzi, Monza, Fondazione Franco Fossati, 2014; R. De Falco, Tex. Fiumi di china italiana in deserti americani, Roma, Nicola Pesce Editore, 2013; G. Romani, L’arte di Galep. Aurelio Galleppini: il creatore grafico di Tex, Modena, Panini Comics, 2012; L’audace Bonelli. L’avventura del fumetto italiano, [Catalogo della mostra], Napoli, Napoli Comicon/Facta Manent, 2010; S. Bonelli, F. Busatta, Come Tex non c’è nessuno, Milano, Mondadori, 2008; A. Mondillo, Tex. Tra mito e storia, Battipaglia, Tesauro, 2008; L. Tamagnini (a cura di), Galep prima di Tex, Torino, Scarabeo, 2000; F. Gargarone (a cura di), Galep: cinquant'anni di avventura a fumetti, Torino, Scarabeo, 1999; G. Frediani (a cura di), Le frontiere di carta. Piccola storia del western a fumetti, Milano, Bonelli, 1998; D. Parolai, E. Detti, Storia e storie di Tex, Roma, Anicia, 1994; C. Scaringi, Tex, Roma, Gremese, 1998; E. Linari (a cura di), Gianluigi Bonelli, dal romanzo a Tex, Firenze, Glamour International, 1991; A. Galleppini, L’arte dell’avventura. Autobiografia professionale di un maestro del fumetto, Milano, Ikon, 1989; Buon Compleanno Tex, Firenze, Glamour International, 1989; E. Detti, Il fumetto fra cultura e scuola, Firenze, La Nuova Italia, 1984, p. 80 sgg; Il mio nome è Tex: evoluzione del fumetto avventuroso italiano attraverso gli originali di Galep, Genova, Prima cooperativa grafica genovese, 1982.
2 L’intera produzione di Occhio cupo oggi è ristampata in G. Bonelli, A. Galleppini, Occhio cupo, San Giovanni in Persiceto (BO), Editoriale Mercury, 2014.
3 La serie aveva avuto una sua prova generale nell’albo conclusivo L’agguato nella foresta, disegni di Aurelio Galleppini, Milano, Audace, 1948, dove un giovane francese è costretto a trasferirsi in Canada in seguito a un combattimento in duello.
4 R. De Falco, Tex. Fiumi di china italiana in deserti americani, p. 25.
5 Con l’uscita del 30 dicembre 1948 l’Audace pone fine alla serie.
6 R. De Falco, Tex. Fiumi di china italiana in deserti americani, p. 26.
7 Cfr. ibidem, e A. Galleppini, L’arte dell’avventura. Autobiografia professionale di un maestro del fumetto, p. 68.
8 Cfr. F. Baglioni, A. Galleppini, Il segreto della valle nascosta, Milano, Audace, 1948.
9 Per limitarsi solo ad alcuni esempi, la vignetta di destra a pagina 18, sull’albo 9, viene riproposta con pochi ritocchi a pagina 7 del numero 10; in questo caso Galleppini ha modificato l’originale cambiando i vestiti e la posa del personaggio centrale, a cui ha anche messo la barba, e ha riusato con pochi cambiamenti il gruppo di personaggi circostanti. La vignetta centrale a p. 27 del primo albo, con Tex che si arrampica sulla finestra di Coffin, viene riprodotta identica a p. 12 dell’albo 10, mentre, sempre in questo albo, ricompare a p. 17 la stessa figura di Tex che campeggia nella prima vignetta del primo albo.
10 A detta di Sergio Bonelli (cfr. S. Bonelli, F. Busatta, Come Tex non c’è nessuno, p. 9), il cambio sarebbe stato voluto da Tea; a detta di Galleppini (cfr. A. Galleppini, L’arte dell’avventura. Autobiografia professionale di un maestro del fumetto, p. 63) da lui stesso. Del nome originale rimane qualche traccia nelle pubblicazioni, forse a causa di refusi. Al numero 5, per esempio, Tex viene chiamato Killer tre volte, di cui una nella didascalia finale: «Riuscirà Tex Killer a far fronte alla mortale minaccia che lo sovrasta?» (p. 32). Sarà da imputarsi a semplice refuso anche il fatto che più avanti nel corso dell’annata il nostro eroe venga indicato in un’occasione come «Tex Viller» (n. 41, p. 32).
11 G. Bonelli, A. Galleppini, Il totem misterioso, ‘Collana del Tex’, s. 1, n. 1, Milano, Audace, 1948, p. 1. Il toponimo ‘Rainbown Canyon’ sarà corretto in ‘Rainbow Canyon’ nelle edizioni successive.
12 Ivi, p. 4.
13 Ivi, p. 11.
14 G. Bonelli, A. Galleppini, Pista insanguinata, ‘Collana del Tex’, s. 1, n. 6, Milano, Audace, 1948, p. 8.
15 Come ricorda Sergio Bonelli in un’intervista, nei casi di attrito tra Tex e la legge «mio padre ha modo di sfogare da un lato la sua antipatia per le istituzioni (e per chi le gestisce arrogantemente) e dall’altra di conquistarsi la simpatia di tutti gli italiani, che eleggono Tex a paladino delle classi sociali più deboli» (S. Bonelli, F. Busatta, Come Tex non c’è nessuno, p. 48).
16 G. Bonelli, A. Galleppini, La mano fantasma, ‘Collana del Tex’, s. 1, n. 7, Milano, Audace, 1948, p. 9.
17 G. Bonelli, A. Galleppini, Terrore a Calver City, ‘Collana del Tex’, s. 1, n. 3, Milano, Audace, 1948, p. 12.
18 G. Bonelli, A. Galleppini, La freccia della morte, ‘Collana del Tex’, s. 1, n. 5, Milano, Audace, 1948, p. 12.
19 G. Bonelli, A. Galleppini, «El Diablo», ‘Collana del Tex’, s. 1, n. 8, Milano, Audace, 1948, p. 30.
20 G. Bonelli, A. Galleppini, Uno contro venti, Milano, Bonelli, ‘Collana del Tex’, s. 1, n. 19, 1949, p. 31. Il titolo richiama direttamente quello di un albo precedente, Uno contro cinque (‘Collana del Tex’, s. 1, n. 15).
21 Ibidem.
22 G. Bonelli, A. Galleppini, L’audace impresa, ‘Collana del Tex’, s. 1, n. 23, Milano, Bonelli, 1949, p. 28.
23 G. Bonelli, A. Galleppini, L’Estrella de Rio, Milano, Audace, ‘Collana del Tex’, s. 1, n. 25, 1949, p. 18.
24 G. Bonelli, A. Galleppini, Sfida al pericolo, ‘Collana del Tex’, s. 1, n. 32, Milano, Audace, 1949, p. 18.
25 È il pensiero di Cabot: cfr. ivi, p. 24.
26 G. Bonelli, A. Galleppini, Condanna a morte, ‘Collana del Tex’, s. 1, n. 39, Milano, Audace, 1949, p. 25.
27 G. Bonelli, A. Galleppini, Fuorilegge, ‘Collana del Tex’, s. 1, n. 40, Milano, Audace, 1949, pp. 5-6.
28 Ivi, pp. 13-14.
29 G. Bonelli, A. Galleppini, Tex nuova ristampa, n. 3, Milano, Bonelli, 1996, p. 103.
30 G. Bonelli, A. Galleppini, Tex l’uomo-ciclone, ‘Collana del Tex’, s. 1, n. 41, Milano, Audace, 1949, p. 12. Il commento sarà puntualmente censurato in seguito e corretto in «Proprio il tipo adatto per ripulire l’intero West» (cfr. G. Bonelli, A. Galleppini, Tex nuova ristampa, n. 3, p. 113).
31 G. Bonelli, A. Galleppini, Tex l’uomo-ciclone, p. 26.
32 G. Bonelli, A. Galleppini, Montales, el desperado, ‘Collana del Tex’, s. 1, n. 43, Milano, Audace, 1949, p. 27.
33 G. Bonelli, A. Galleppini, Allarme a Buenavista, ‘Collana del Tex’, s. 1, n. 48, Milano, Audace, 1949, pp. 20-24.