Tra ingorghi di desideri. Corpi in transito nel sistema audiovisivo di San Berillo*

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San Berillo web serie docè il prodotto di un laboratorio audiovisivo condotto dalla visual artist Maria Arena nel quartiere catanese di San Berillo, una sorta di no man’s land abitata per lo più da sex workers e immigrati. Grazie all’attivazione di dinamiche relazionali basate sulla condivisione di esperienze, il format riesce a indagare le traiettorie esistenziali di una comunità che tenta di riabilitare il proprio modus vivendi attraverso feconde pratiche di rigenerazione urbana. Le due stagioni della serie coniugano la mobilità e la leggerezza del web con la profondità di sguardo del documentario e offrono una inedita cartografia di corpi e storie. L’intervento mira a ricostruire la poetica queer che ha ispirato l’architettura del progetto, da intendersi come strategia di messa in forma di un’alterità che attraversa le strade, i muri e i volti degli abitanti del quartiere, da sempre in lotta per una piena affermazione di sé.

The San Berillo web serie doc is the product of an audio-visual laboratory led by Maria Arena, a visual artist, in the San Berillo neighbourhood in Catania – practically a no man's land mostly inhabited by migrants and sex workers. By promoting relational dynamics on the basis of shared experiences, this format successfully portrays the existential trajectories of a community trying to rehabilitate its way of life through fertile practices of urban renewal. The series' two seasons combine the fluidity and simplicity of the web with the in-depth gaze of a documentary, thus offering an innovative map of bodies and stories. This presentation aims to rewire the queer poetics which inspired the architecture of the project, intended as a strategy to embody an "alterity" which runs through the streets, the walls and the faces of this suburb's inhabitants, always fighting for a fuller self- affirmation.

 

San Berillo Web Serie Doc è l’esito di un laboratorio di video-documentazione votato al recupero – attraverso una pratica di comunità – del ‘senso del luogo’ dello storico quartiere catanese San Berillo.[1] L’attività ha coinvolto nel corso di tre anni un gruppo composito di ragazzi che hanno condiviso un’esperienza formativa per certi aspetti inedita, perché caratterizzata da un approccio multidisciplinare e da una reale interazione con lo spazio[2].

 Un momento del laboratorio di videodocumentazione condotto da Maria Arena © Federica Castiglione Un momento del laboratorio di videodocumentazione condotto da Maria Arena © Federica Castiglione

Il progetto si inserisce nel piano di rigenerazione urbana guidato e sostenuto dalla Associazione Trame di quartiere,[3] protagonista di un’infaticabile attività di studio e sensibilizzazione nel cuore di Catania. Grazie all’intuito di Maria Arena, visual artist già autrice del docu-film Gesù è morto per i peccati degli altri (2015) selezionato alla 55ª edizione del Festival dei popoli di Firenze, i vicoli, i muri, i corpi e le storie che pulsano a San Berillo hanno trovato una via di ri-composizione formale che conferisce alle micronarrazioni lo statuto di «immagini della memoria»[4] e assegna loro la consistenza di «database interattivo».[5]

Le due stagioni della serie, disponibili su un canale youtube dedicato[6], coniugano la liveness e l’interattività del web[7] con la profondità di sguardo del documentario e puntano sull’attivazione di dinamiche relazionali basate sulla condivisione di esperienze e di ‘estratti di vita’. I tanti attori sociali coinvolti (abitanti, immigrati, docenti, attivisti, sex workers) offrono testimonianze emblematiche della condizione di marginalità in cui versa il quartiere e, allo stesso tempo, rilanciano la necessità di una risemantizzazione di spazi, abitudini e memorie.

Se la prima stagione si affida all’immediatezza della forma-intervista e tende a sottolineare la processualità aperta del laboratorio, con sequenze spesso sporche e un sentimento del tempo mai pienamente risolto, la seconda esibisce una più studiata messa in scena e intreccia discorsi più consapevolmente orientati verso strategie di resistenza culturale.

Nonostante la differenza stilistica fra le due stagioni, sulla quale qui non possiamo indugiare, il progetto mostra un concept coerente declinato secondo un’articolazione volutamente instabile, che riproduce il modello ‘granulare’ di certa drammaturgia contemporanea e soprattutto ricalca la frammentarietà dello storytelling creativo attivando un vero e proprio «laboratorio di immaginazione intermediale».[8]

 

 

1. Tracce, appunti, sopralluoghi

Del resto, fin dall’elaborazione dei primi appunti visivi,[9] emerge la volontà di cartografare la «geografia delle sensazioni»[10] del luogo attraverso una forma-palinsesto che agglutina scritture e visioni a partire da due personaggi-matrice – Goliarda Sapienza e Francesco Grasso (alias Franchina) – ai quali si deve la natura metamorfica degli episodi. Maria Arena si addentra infatti per la prima volta nella «casbah di lava»[11] di San Berillo per mettersi sulle tracce di Sapienza, che proprio in via Pistone aveva abitato da bambina:

 

Sono entrata per la prima volta nel quartiere alla ricerca della casa di Goliarda Sapienza, e subito sono stata investita da una pluralità di storie, sensazioni ed esperienze e ho quasi pensato che si trattasse di una consegna da parte dell’attrice e scrittrice catanese. È nato così quel legame artistico e affettivo che mi spinge a tornare continuamente a San Berillo.[12]

 

Il legame fra il corpo di parole di Goliarda e la mappa del quartiere si salda nel ricordo del primo sopralluogo in casa Sapienza, avvenuto quasi per caso e diventato poi – nel tempo – una specie di rito di passaggio, di inaugurale cerimonia di ingresso in quel dedalo di vicoli e memorie:

 

La casa di Goliarda a Catania. Piove davanti al portone in via Pistone n° 20, premo tutti i pulsanti del citofono, qualcuno mi getta le chiavi dal secondo piano. Un corridoio con il soffitto a volta immette nel cortile disastrato di un palazzo dell’ ’800, tubature di plastica arancione e verande in alluminio color bronzo. Qui, sotto l’altarino, Goliarda, Nica e le altre bambine, giocavano a sposarsi tra loro e si scambiavano l’anello. Adesso il vetro è rotto e la madonna non c’è più. Qui Goliarda è rimasta seduta ad aspettare Anna la sediaia, partita dopo l’omicidio. La scala è ampia e ristrutturata, salgo confusa al punto giusto da essere disponibile ai fantasmi che mi vengono incontro. […] Sono al secondo piano davanti a un sessantenne in tuta con i capelli lunghi raccolti, voce maschile e modi gentili. Incuriosito ci fa accomodare fra cornici dorate, angioletti, madonne, divani anni venti e vasi cinesi nell’apoteosi del kitsch di un ampio salone. Racconto brevemente della scrittrice che abitò nel palazzo, lui non ha mai sentito questo strano nome, descrivo dettagli della casa. “Una bussola di legno? L’ho tolta io quando sono venuto in questa casa dieci anni fa, era vecchia e malandata”. Così siamo in casa di Goliarda![13]

 

Recuperare le atmosfere viscerali evocate dalla scrittura autobiografica di Sapeinza significa per Maria Arena scivolare felicemente nel raggio di azione di Franchina e degli altri travestiti e trans del quartiere, cominciare a filmare l’alterità di corpi e spazi rimasti per lo più invisibili eppure carichi di una vitalità straordinaria. Il fantasma di Goliarda comincia presto a incarnarsi nelle silhouette artefatte di Franchina, Meri, Alessia, Marcella, Wonder, Salvo e Totino, epigoni della tensione libertaria che si respira nelle pagine dei suoi romanzi, e lascia via via il campo a un fervido intreccio di storie.

 La locandina del film Gesù è morto per i peccati degli altri

Gesù è morto per i peccati degli altri è il primo, intenso capitolo del lungo viaggio al termine di San Berillo, che procede per scarti, visioni, letture e appunti giungendo infine a trovare – grazie alla collaborazione vigile di Josella Porto –[14] una drammaturgia[15] efficacemente in bilico tra effetti di realtà e strategie di reenactment.[16] Accanto all’indispensabile lavoro di documentazione dal vero, che si fonda sulla motivata alternanza fra improvvisazioni e scene ricostruite, il film deve la sua impronta al serrato dialogo con Francesco Grasso che offre, attraverso il suo Davanti alla porta,[17] l’occasione di un vero e proprio «sopralluogo emotivo».[18]

 

Nel periodo in cui giravo con la telecamera, studiavo. Leggo tantissimo, non scrivo ma leggo tanto. Ci sono molti testi: anche rappresentazioni teatrali, Turi Zinna, ecc. e poi c’è questa luce che viene dal libro di Franchina perché scritto da qualcuno […] che vive all’interno.[19]

 

La trasmigrazione di archetipi dal codice letterario (Sapienza e Grasso, in modi e gradi evidentemente diversi, ma anche altri autori)[20] al regime di verità della strada sostanzia il racconto e nutre l’immaginario, moltiplicando le piste diegetiche e le traiettorie dello sguardo. Il carattere ibrido della tessitura audiovisiva conferisce ai destini dei protagonisti un’aura poetica che non esclude la rappresentazione della nuda materialità di un’esistenza ai margini («Noi non siamo niente. […] Siamo carne da macello»), ma che rinnova altresì il desiderio di «salvare il cuore».[21] Tra le pieghe di un montaggio che riesce a dosare stilemi diversi (la rarefazione di riprese d’ambiente, la concitazione di sequenze da reportage, il marchio rock di alcuni inserti musicali) e a scandire forti «accenti emotivi»,[22] scorrono le vite in transito di queste sette figure, segnate da conflitti e attese, solitudini e affetti, tentativi di cambiar vita e soprattutto pelle, come se il trucco potesse cancellare le tracce di un passato di affanni e privazioni. A traghettare il racconto verso un orizzonte di speranza, se non addirittura di possibile redenzione, è la cornice esterna che incastona la narrazione in tre episodi, ancorati a precisi momenti liturgici (la festa della Madonna del Carmelo, la festa di Sant’Agata, la Santa Pasqua), necessari a individuare le coordinate spazio-temporali dentro cui si muove «una comunità solidale di femmine di corpo e di spirito, vestali custodi».[23]

 

 

2. Soglie, abiti, desideri

Nel passaggio dal docu-film al format della web serie avviene una sorta di inarcamento, di ‘trasloco’ di storie, gesti e domande, a cui si aggiunge la necessaria amplificazione di temi e di sguardi.

 Un momento del laboratorio di videodocumentazione condotto da Maria Arena © Federica Castiglione

L’attento lavoro di documentazione sul campo produce una fitta congerie di materiali – interviste, testimonianze, articoli, mappe, fotografie – che si sedimentano in forma di archivio vivente e si innestano nella orizzontalità degli episodi.

Rimandando ad un’altra occasione l’analisi sistematica dei livelli della diegesi audiovisiva e della complessità intermediale del prodotto webseriale, cercherò qui di esplorare il «groviglio»[24] di affetti che attraversa il dedalo di strade di San Berillo, abitato da un incrocio di figure – sex workers, occupanti, immigrati – ontologicamente votate ad esprimere diverse geometrie di desideri. È nel segno di Girard, del suo Geometrie del desiderio appunto, che provo a mappare questo territorio antropologicamente connotato, nel tentativo di far emergere come San Berillo diventi per i corpi che transitano nel suo spazio «quella regione di confine fra la solitudine e la comunità»[25] che Kafka descrive nei suoi Diari e Girard richiama a proposito della scrittura romanzesca di Robbe-Grillet. In questo primo affondo, al quale spero seguiranno altre tappe, concentrerò la mia attenzione sulle logiche di desiderio espresse da Franchina (che metonimicamente rappresenta il gruppo delle prostitute e dei travestiti del quartiere) ma è bene precisare che dentro l’architettura mobile della serie entrano in gioco anche le aspirazioni e le rivendicazioni degli immigrati e degli occupanti. In breve mi limito qui a sottolineare, sulla scorta di Girard, che immigrati e occupanti manifestano soprattutto un ‘desiderio esclusivo’, quasi tragico, che coincide per gli uni con la volontà di vivere o sopravvivere, per gli altri con quella di abitare. Si tratta in entrambi i casi di opzioni che solo raramente trovano piena attuazione dentro le maglie del quartiere, a causa del consistente tasso di degrado urbanistico, ma che determinano una forte coloritura identitaria per la presenza di una radicata colonia di senegalesi, di una frangia di ragazzini gambiani, per lo più dediti allo spaccio, e di nuclei sparsi di abitanti abusivi, disperatamente ancorati alle pareti di palazzi pericolanti (si vedano in proposito il quinto episodio della prima stagione, Un’altra Africa, e il sesto episodio della seconda stagione Qui non arrivano gli angeli).

Rispetto alla cifra di questi gruppi, il desiderio incarnato da Franchina è invece di natura «mimetica»,[26] modellato addirittura sulle insegne cristologiche e in parte assimilato – per analogia e contatto – agli uomini di Chiesa. In uno dei passaggi più vibranti del suo libro Ho sposato San Berillo è lo stesso Francesco Grasso a introdurre e motivare il paragone fra le prostitute e i preti, giungendo a considerazioni di grande profondità («Noi accettiamo di avere rapporti con chiunque senza chiedere i documenti, così come loro confessano e assolvono senza chiedere i titoli»)[27], che si riverberano nelle trame visive della web serie. Sulla disposizione religiosa di Franchina tornerò nel finale, adesso proverò a indagare i risvolti della sua postura desiderante.

Nell’ottava puntata della seconda stagione, epigrammaticamente intitolata Sogno o realtà, Franchina è protagonista di un’intensa conversazione con Federica, che tocca i nodi di ogni relazione:

 

Federica: secondo te che cos’è il desiderio?
Franchina: Io posso avere il desiderio di stare in compagnia di qualcuno, o avere desiderio di viaggiare… I desideri sono dei sogni, no? Si possono realizzare come no. Sta a noi. Il mio desiderio su San Berillo è [qui la voce di Federica si sovrappone] vedere questa famiglia che riesce a vivere insieme, rispettandosi vicendevolmente.[28]

 

La dialettica fra ‘desiderio’ e ‘bisogno’ disegna le traiettorie fragili della carne di Franchina e ne incorpora i ‘discorsi’, da intendere secondo l’accezione barthesiana come «passi», «intrighi». Riprendendo le suggestioni proemiali dei Frammenti di un discorso amoroso possiamo allora assegnare alla persona/personaggia[29] di Franchina lo statuto di «figura»,[30] colta in un doppio movimento: quello della statua, fissa in un ruolo, e quello dell’atleta, con i suoi gesti in divenire.

Tra le molte voci del lessico amoroso di Barthes quella che più si adatta alla postura di Franchina è abito[31] perché la pratica del ‘travestimento’ determina l’accesso all’identità desiderata. La femminilizzazione del corpo attraverso il trucco innesca il principio della seduzione e assegna la personaggia a un regime ludico che almeno apparentemente potrebbe somigliare a quello descritto da Baudrillard nel suo Della seduzione. Si tratta però, nel nostro caso, di un gioco rovesciato, in cui non sembra esserci spazio per «un’invocazione esaltata, ma ironica»[32] quanto piuttosto per una disforia solo a tratti compensata dal guadagno.[33] Se è vero – come sostiene Mardjurie Garber – che «il travestito è lo spazio del desiderio»[34] bisogna tener conto che quello della prostituzione è un regno senza onore, in cui la transitorietà delle pratiche e degli scambi non produce ebbrezza ma consegna a chi la esercita un nido di esperienze dolorose e spesso mortificanti.

Nonostante l’evidenza di un mestiere che non prevede ‘esercizi di gioia’, Francesco Grasso non si arrende alla condanna della solitudine e sublima la sua situazione tramite la scrittura e la preghiera, a cui si aggiungono una sorta di strenua militanza (più volte lo vediamo muoversi nell’arco della prima e della seconda stagione per rivendicare diritti e diverse condizioni di esistenza materiale)[35] e una forte empatia con gli altri travestiti del quartiere. Oltre a essere il personaggio-matrice dell’intero progetto drammaturgico, anche grazie alla forza dei suoi libri che spesso sostanziano i dialoghi di alcuni episodi e diventano – tra le sue mani – veri e propri oggetti feticcio, Francesco/Franchina è anche una specie di personaggio-cerniera, figura in transito fra un episodio e un altro, capace di portare dentro le trame delle puntate la spontaneità del suo sorriso, la crudezza delle sue parole, la grazia di una camminata in bilico fra estasi e abisso. Per un calcolato paradosso, la traiettoria del suo personaggio (ma sarebbe più appropriato dire della sua persona) si distende fra due poli opposti: la fissità del pisolu, «lo spazio del nulla e del tutto» in cui può misurare da una parte «l’immobilità del letto, delle sedie e di tutto quanto intorno», dall’altra «il movimento dei passanti, il suono delle voci, il dinamismo della strada»[36]; la fluidità della sua identità di genere, liberamente queer, divisa fra mascolinità e femminilizzazione, orientata verso una pertinace alterità («Io smisi presto di assumere quella roba perché volevo essere me stesso, Francesco, travestito sì, ma con la mia anima»).[37] Quella di Francesco/Franchina è dunque un’esistenza liminale, avvitata sulla soglia fra dentro e fuori, stasi e ribellione, nella quale il tempo si scioglie e si consuma davanti alla porta, in un «foulard di pietra» che «non è ancora casa né più strada».[38] Il suo attraversare la linea diegetica degli episodi della serie contrasta con la fissità del quotidiano, ovvero con la sospensione dell’attesa dei clienti, con il pulsare indecente dei desideri: il suo corpo diviene così figura dell’ossimoro, luogo in cui co-abitano pulsioni contrapposte («Ho vestito i panni squallidi della prostituta dalle calze a rete lacere e gli abiti della gran signora. Ho gridato parole sguaiate e taciuto nei silenzi pieni di vergogna del sesso»).[39]

A marcare ancor di più l’ambiguità di Francesco/Franchina è la sua fede, la sincera vocazione verso Dio che si traduce in autentica testimonianza di sé, e ancora in una furente via della croce perché il peccato, le ferite della carne avvicinano il suo destino all’immagine di Cristo, o perlomeno al suo sembiante. Per cogliere questa intima dimensione religiosa occorre posare lo sguardo sulla superficie dei suoi scritti, da cui emerge un senso vivo della liturgia della preghiera:

 

La preghiera non può essere una ripetizione di formule magiche a cui si attribuisce un potere che va al di là della parola stessa, ma deve essere mezzo per dialogare con Dio come se fosse un amico o, meglio ancora, un padre.[40]

 

La conferma della predisposizione martirologica di Franchina giunge dalla ballata con cui nel docu-film Gesù è morto per i peccati degli altri si cristallizza la sua cifra espressiva, ovvero l’essere personaggio-emblema di un intero quartiere.

 

Questo quartiere è tutto pietre,
è puttane e puttanieri.
È una chiesa,
un crocefisso,
quattro sedie di pensieri.
 
Di queste pietre io conosco,
ogni graffio e ogni buco
perché questo cuore, davanti alla porta,
è cresciuto generoso.
 
Vi pagate la confessione,
un battesimo ogni settimana, io
vi do l’assoluzione
con i peccati di una buttana.
 
Siete furbi e sposati,
tutti maschi,
altro che froci,
nascondete pure questa paura
tra questi seni e in queste orecchie.
 
Con Gesù sola mi corico,
e Gesù mi ha consigliato
di dare a tutti il mio conforto
Ché di te non mi sono dimenticato.[41]

 

Nel videoclip della canzone, realizzato da Maria Arena secondo il principio del ‘riciclo’[42] di schegge audiovisive, Franchina marca il perimetro dello spazio con il suo passo, solca le vie con la gravità di una dea e la leggerezza di una bambola, accennando un sorriso che diviene profferta d’amore. Il suo «passeggiare recidivo»[43] inaugura così un nuovo modello, nel quale convivono compassione e oltraggio, desiderio e ascesi.

 

 

* Questo articolo nasce come primo contributo al progetto di ricerca finanziato dall’Università di Catania dal titolo OPHeLiA - Organizing Photo Heritage (in) Literature and Arts, che si è concentrato sull’analisi di uno specifico caso di studio dedicato alle stratificazioni visive, performative, musicali e letterarie dell’antico quartiere San Berillo di Catania. Il paper offre alcune riflessioni preliminari sulla disposizione identitaria dei corpi delle prostitute e dei travestiti rappresentati all’interno del sistema audiovisuale di San Berillo e mira a rintracciare altresì alcune delle strategie diegetiche messe in campo dalla regista Maria Arena. Desidero ringraziare Cristina Jandelli per avermi permesso di discutere le linee di questo studio al convegno Sguardi sulla città e Giulia Carluccio per avermi invitata a presentare i risultati della ricerca nell'ambito del suo corso su cinema e gender. 


1 La controversa vicenda dello sventramento del quartiere San Berillo, che nel 1956 ha ridotto l’antica area abitativa a soli 240.000 m2 destinandola a un progressivo degrado, è al centro di un fitto dibattito storiografico, urbanistico e antropologico, che ha prodotto negli ultimi anni ricerche pionieristiche e significativi processi di testimonianza: per una prima ricostruzione delle vicende si rimanda a: P. Busacca, F. Gravagno, ‘L’occhio di Arlecchino. Schizzi per il quartiere di San Berillo a Catania’, Catania, Gangemi Editore, 2004; G. Arcidiacono, ‘San Berillo di Catania: da centro a periferia’, Architettura & Città, 2, 2007, pp- 87-92; A. D’Urso, G. Reina, B. Reutz, F. Peirè, Urban cultural maps. Condividere, partecipare, trasformare l’urbano’, C.U.E.C.M, 2013. Su un piano diverso, a metà strada fra invenzione letteraria e fedeltà documentaria si veda invece R. Di Salvo, C. Marchese, San Berillo. Un santo a luci rosse. Storia del quartiere San Berillo di Catania e di un giullare di Dio, Roma, Edizioni Croce, 2015

2 Intervistata sulla qualità e sulla composizione del gruppo di lavoro, Maria Arena sottolinea l’apertura della squadra e le specificità della azione sul territorio: «I partecipanti al laboratorio sono 21 giovani tra i venti e i trent’anni che vivono a Catania. Molti di loro non erano mai entrati a San Berillo e ciò ha una sostanziale importanza in quanto il loro personale processo di conoscenza del quartiere, al di là delle etichette, determina anche il modo in cui i contenuti vengono trasmessi. Loro sono i portatori di un messaggio e di domande che nascono dalla personale esperienza di frequentazione, ricerca e studio del quartiere. Le domande stimolano il pensiero. È questo il punto di partenza di San Berillo Web Serie Doc (M. Arena, ‘Periferie partecipate: San Berillo Web Serie Doc – A Catania, una periferia al centro, intervista a cura di J. Mastellari, Pilastro2016, 3 ottobre 2016).

3 «Il progetto Trame di quartiere si fonda sulla necessità di avviare un processo di conoscenza del territorio del quartiere San Berillo, dove linguaggi artistici del teatro e del video si combinano con strumenti più analitici capaci di dialogare e di intrecciare vari punti di vista. L’idea della trama riguarda la complessità del contesto urbano, e quindi l’esigenza di approcci capaci di leggere il tessuto, ricercare le forme e scrutare le pieghe per scomporre le parti e riannodare i fili (Lazzarini, 2011). Le microinterazioni quotidiane consentono di individuare il rapporto che esiste tra pratiche convenzionali, aspetti formali e i momenti più intimi, gli atteggiamenti, privati e individuali. Le relazioni nello spazio e tra le diversità che compongono il tessuto sociale di San Berillo, favorite dal teatro e dalla videodocumentazione, costruiscono una risorsa su cui investire per risolvere le problematiche di degrado e abbandono da cui nasce l’esigenza di prospettive di azione o l’emergere di conflitti» (Trame di Quartiere, ‘Costruire trame, intrecciare percorsi: pratiche artistiche di rigenerazione urbana per tutte/i’, Roots&Routes, 2, 25, maggio-agosto 2017, pp. ).

4 Il capitolo dei cosiddetti Memory studies vanta ormai un consistente nucleo di studi e contributi: per una prima mappatura dei più significativi punti di ancoraggio ai linguaggi della visione si rimanda a A. Cati, Immagini della memoria. Teorie e pratiche del ricordo tra testimonianza, genealogia, documentario, Mimesis, Milano, 2013 e F. Zucconi, La sopravvivenza delle immagini nel cinema. Archivio, montaggio, intermedialità, Milano-Udine, Mimesis, 2013.

5 G. Santaera, ‘San Berillo web serie doc’, in Ead., Maria Arena nell’ecosistema visuale della cultura contemporanea. Nuove pratiche intermediali fra teatro, cinema, videoarte, arti performative e media digitali, Tesi di Laurea Magistrale in Comunicaizone della cultura e dello spettacolo, a.a. 2017-2018, tutor: Prof.ssa Stefania Rimini, p. 183. Per un approfondimento sugli archivi ‘deterritorializzati’ cfr. P. Nogueira, ‘Partecipative Interactive Documentary as a fragmented and ‘deterritorialized’ archive, Cinergie, 10, novembre 2016, pp. 156-164.

6 Come sottolinea Santaera «l’uso di Facebook, di Youtube e del sito legato alla serie all’interno del progetto si inserisce nelle pratiche dei connective media che generano contenuti ibridi tra user generetad content e professional generated content (produser) per attingere a nuove forme di condivisone e rivalorizzazione del capitale umano e delle risorse materiali e immateriali, lavorando anche sulla dimensione affettiva dell’audience» (G. Santaera, ‘San Berillo web serie doc’, p. 182).

7 La vertiginosa espansione della webserialità nell’attuale medialandscape ha generato articolate riflessioni su diversi fronti (autorialità, format, strategie produttive, audience) che rendono il panorama critico particolarmente denso: in Italia la discussione e l’analisi su contenuti e forme delle serie on line è risultata estremamente viva, grazie anche al posizionamento di scuole e gruppi di ricerca. Per un primo orientamento nella intricata rete bibliografica sull’argomento cfr. M. Lino, ‘Webseries, Original series e Digital Series: le forme delle narrazioni seriali nel web’, Between, VI, 11, Maggio 2016; M. Lino, ‘L’interactive storytelling delle web serie: sperimentazioni e rimediazioni’, Mediascapes journal, 7, 2016; S. Arcagni, ‘Le web serie sono morte, viva le webserie!’, in J. De Nardis, M. Di Donato, A. Minuz , ‘Dossier: le web-serie e i nuovi mercati dei media’, Imago. Studi di cinema e media, 13, gennaio 2017; A. Santangelo, ‘Il linguaggio delle webserie. Modelli semiotici e pratiche comunicative a confronto’, Emerging Series Journal, 2, 2015, pp. 54-74.

8 P. Montani, L’immaginazione intermediale. Perlustrare, rifigurare, testimoniare il mondo visibile, Roma-Bari, Laterza, 2010, p. XVI.

9 In più occasioni Arena ribadisce la centralità del suo modo di utilizzare la mdp, da cui ricava sempre profondità di sguardo e materiale per continue rimediazioni: «Prendere appunti con la telecamera per me non è registrare ma osservare. So benissimo, già, che magari non li userò. A volte prendo la telecamera e la accendo all’improvviso. Non curo neanche l’aspetto fotografico. È uno strumento di osservazione. Questa è una cosa che voglio trasmettere. Io insegno e lo dico sempre ai miei studenti: il mezzo di registrazione della realtà serve ovviamente a registrare, ma la prima cosa che bisogna avere in mente è l’osservazione. Non devono pensare di prendere la realtà, ma stare attenti. È lo stesso procedimento quando guardiamo. Quindi l’educazione nel fare delle riprese, prendere degli appunti o osservare, in realtà, non è un’educazione fotografica. È un’educazione dello sguardo, che è una cosa un po’ diversa» (M. Arena, Masterclass di regia, 29º Festival Mix di Milano, 8 luglio 2015, https://www.youtube.com/watch?v=t8z3PhBm7UI).

10 Prendo in prestito questa espressione da Enrico Pitozzi, che la declina a proposito del rapporto delle coreografie di Roberto Zappalà con l’environment siciliano: cfr. E. Pitozzi, ‘Il corpo: geografia delle sensazioni’, in R. Zappalà, Omnia corpora, Catania, Malcor D’, 2016, p. 27.

11 G. Sapienza, Io, Jean Gabin, Torino, Einaudi, p.

12 M. Arena, ‘Con Trame di quartiere do voce alle sensazioni di San Berillo’, intervista a cura di M.E. Giannetto, SicilyMag, 23 dicembre 2016.

13 M. Arena, ‘Andare indietro per andare avanti. Quasi un diario’, Arabeschi, III, 9, gennaio-giugno 2017, <http://www.arabeschi.it/andare-indietro-per-andare-avanti-quasi-un-diario/> [accessed 31/12/208].

14 L’intenso lavoro di scambio fra Arena e Porto viene restituito nella video intervista pubblicata sul numero di Arabeschi, che resta uno dei contributi più interessanti per esplorare il metodo di lavoro e le traiettorie del film: cfr. ‘Videopresentazione di Gesù è morto per i peccati degli altri’, a cura di M. Italia, Arabeschi, III, 6, luglio-dicembre 2015.

15 Riprendo il termine ‘drammaturgia’ nell’accezione declinata da Handel nel suo studio sulle relazioni tra racconto e dinamiche produttive: cfr. L. Handel, Drammaturgia del cinema documentario. Strutture narrative ed esperienze produttive per raccontare il reale, Roma, Dino Audino editore, 2014. Per un approfondito sguardo alla tessitura di Gesù è morto per i peccati degli altri rimando a G. Santaera, ‘La struttura drammaturgica del film’, in Ead., Maria Arena nell’ecosistema visuale della cultura contemporanea, pp. 121-134.

16 Vale per il delicato meccanismo diegetico del film quanto Dottorini scrive a proposito del cinema di Jean Rouch: « Lo sguardo coglie il fluttuare delle identità, la forza affabulatoria di chi costruisce la propria idea del mondo e di sé stesso, di muoversi e di esistere all’interno e all’esterno delle proprie finzioni» (D. Dottorini, La passione del reale. Il documentario o la passione del mondo, Milano-Udine, MImesis, 2018, p. 21).

17 F. Grasso, Davanti alla porta. Testimonianze di vita quotidiana nel quartiere catanese di San Berillo, Scordia, Museo civico Etno-Antropologico ed Archivio Storico “Mario De Mauro”, 2012. Per una lettura critica del testo si rinvia al saggio di Mariagiovanna Italia presente in questo stesso numero: cfr. M. Italia, ‘Sposare un quartiere, ovvero quando la memoria prende ‘corpo’ nello spazio. Francesco Grasso oltre Franchina’, Arabeschi, VII, 13, gennaio-giugno 2019.

18 J. Porto, Videopresentazione di Gesù è morto per i peccati degli altri, http://www.arabeschi.it/videopresentazione-di-ges--morto-per-i-peccati-degli-altri/ .

19 M. Arena, Masterclass di regia, 29º Festival Mix di Milano, 8 luglio 2015, https://www.youtube.com/watch?v=t8z3PhBm7UI).

20 In un’altra occasione, Arena aggiunge alla sua peculiare cartografia su San Berillo altri riferimenti, che confermano la natura polimaterica del suo stile: «Mi sono costruita un bagaglio in cui ci sono i libri di Goliarda, i libri di Trischitta, il libro di Turi Zinna, il libro di Franchina, ci sono le tesi che poi sono diventate delle mappe di San Berillo, ci sono le mie interviste agli artigiani e alle prostitute...» (M. Arena, Videopresentazione di Gesù è morto per i peccati degli altri, http://www.arabeschi.it/videopresentazione-di-ges--morto-per-i-peccati-degli-altri/ .

21 Si tratta di due battute del film.

22 G. Santaera, ‘Una partitura di tracce narrative del reale’, in Ead., Maria Arena nell’ecosistema visuale della cultura contemporanea, p. 153.

23 A introdurre il film è la voice off del drammaturgo e performer Turi Zinna, autore di una serie di opere dedicate alla memoria e alla storia del quartiere tra cui spicca Ballata per San Berillo presentato come novità assoluta al Festival Europeo di Drammaturgia contemporanea Outis nel 2004. Zinna comparirà nel film nelle vesti dell’infermiere responsabile del corso di formazione per badanti (episodio ricostruito ma carico di grande espressività) e porterà voce e presenza anche in alcuni episodi della web serie, trasformandosi in una sorta di giullare postmoderno.

24 Uso questo termine in accezione deleuziana: cfr. G. Deleuze, ‘Che cos’è un dispositivo?’, in Id., Due regimi di folli e altri scritti. Testi e interviste 1975-1995 [2003], a cura di D. Borca, Torino, Einaudi, 2010, pp. 279-287.

25 R. Girard, Geometrie del desiderio [2011], trad. it. di L. Trevisan, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2012, p. 136.

26 Per Girard è «sempre la parola di qualcuno che accende il desiderio» (R. Girard, ‘Un desiderio mimetico. Paolo e Francesca’, in ivi, p. 35.

27 F. Grasso, Ho sposato San Berillo, Catania, Trame di Quartiere, 2018, p. 47.

28 San Berillo web serie doc, Sogno o realtà, trascrizione mia. La famiglia a cui si fa riferimento è quella appena formatasi fra Humberto ed Edoardo, la cui unione civile viene filmata e incorporata dentro l’episodio, a ulteriore conferma della fluidità dei desideri che transitano nel quartiere.

29 Declino qui il termine «personaggia» secondo l’accezione elaborata in seno alla critica femminista: cfr. N. Setti, ‘Personaggia, personagge’, Altre modernità, 12, 2014, pp. 204-213; M.V. Tessitore, ‘L’invenzione della personaggia»’, ivi, pp. 214-219.

30 R. Barthes, Frammenti di un discorso amoroso [1977], trad. it. di R. Guidieri, Torino, Einaudi, p. 5.

31 Cfr. Ivi, pp. 15-17.

32 J. Baudrillard, Della seduzione [], trad. it. di P. Lalli, Milano, ES,1997, p. 21.

33 In questo senso appare tanto più stringente l’analogia col discorso barthesiano: «è come se, alla fine di ogni toilette, vi fosse sempre compreso, nell’eccitazione che essa suscita, il corpo ucciso, imbalsamato, laccato, imbellito alla maniera della vittima. Vestendomi, io faccio bello ciò che sta per essere guastato dal desiderio» (R. Barthes, Frammenti di un discorso amoroso, p. 15).

34 M. Garber, Interessi truccati. Giochi di travestimento e angoscia culturale [1992], a cura di M. Nadotti, Milano, Raffaello Cortina, 1994, p. 35.

35 Si vedano a tal il terzo e il quarto della prima stagione: Luci rosse e Transessualità, prostituzione e diritti.

36 F. Grasso, Ho sposato San Berillo, p. 19.

37 F. Grasso, Davanti alla porta, pp. 39-40)

38 F. Grasso, Ho sposato San Berillo, p. 19.

39 Ivi, p. 73.

40 Ivi, p. 47.

41 Franchina, testo di Cesare Basile e Dina Basso, traduzione in italiano di Cesare Basile. Questa la versione originale: «Stu quarteri è tuttu petri / è buttani e buttaneri / è na chiesa, 'n crucifissu / quattru seggi di pinseri // Di sti basuli canusciu / tutti i nzinghi, ogni purtusu / ca stu cori avanti a porta /c'ha crisciutu ginirusu / Vi pavati a cunfissioni / un vattiu ogni simana / ju va rugnu a 'ssoluzioni / cche piccati i na buttana / Siti sperti e maritati / tutti masculi, quali puppi / ammucciatilu ssu scantu / nta sti minni e nta st'aricchi // Cu Gesù sula mi curcu / e Gesù ma cunsigghiatu / di spartirlu u ma cunortu / ca di tia nun m'aju scurdatu».

42 Si veda in proposito M. Bertozzi, Documentario come arte. Riuso, performance, autobiografia nell’esperienza del cinema contemporaneo, Venezia, Marsilio, 2018.

43 F. de André, Princesa, Sony/ATV Music Publishing LLC, 1996.