Umberto Eco, Sulla televisione. Scritti 1956-2015

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Ci sono libri che andrebbero letti dall’inizio alla fine. E altri che è bene sfogliare secondo l’impulso del momento, seguendo itinerari trasversali, facendosi guidare dall’indice dei nomi o da estemporanee associazioni di idee. Sulla televisione. Scritti 1956-2015 di Umberto Eco, a cura di Gianfranco Marrone (La nave di Teseo, 2018), è entrambe le cose. Nella rigorosa disposizione cronologica dei testi è possibile seguire la riflessione critica del semiologo che dal 1956, anno in cui le trasmissioni televisive si diffondono sull’intero territorio nazionale italiano, al 2015, ha accompagnato lo sviluppo del mezzo televisivo. La postfazione del curatore, che ha la consistenza e la precisione del saggio, distingue il percorso di ricerca di Eco in sei fasi, secondo una scansione temporale che di volta in volta viene individuata dalla preponderanza di un differente approccio metodologico.

I saggi della prima fase, definita ‘estetico-metodologica’, che si sviluppano dal ’56 al ’64, ruotano attorno al fenomeno della diretta televisiva, avvertito come proprium del mezzo. Studioso dell’estetica medievale, ma anche funzionario della RAI assunto insieme a Furio Colombo nel drappello dei cosiddetti “corsari”, il giovane Eco riconosce nella televisione la dialettica tra forma e indeterminazione tipica delle poetiche contemporanee – sono gli anni di Opera aperta – attribuendo alla ripresa diretta la capacità di influenzare anche il cinema. Allo stesso tempo focalizza la propria attenzione sull’intervento del regista e sulle tecniche di montaggio. La televisione viene considerata, fin da subito, come un dispositivo tecnologico che produce effetti estetici, non come un particolare genere artistico: «è uno strumento tecnico – di cui si occupano i manuali di elettronica – in base al quale una certa organizzazione fa pervenire a un pubblico, in determinate condizioni di ascolto, una serie di servizi, che possono andare dal comunicato commerciale alla rappresentazione dell’Amleto» (p. 59).

Nella tappa successiva, dal ’65 al ’68, l’indagine vira decisamente verso la semiologia: la scoperta della decodifica aberrante, il dibattito attorno all’iconismo e alla classificazione dei codici visivi, la critica al celebre «il medium è il messaggio» di McLuhan sullo sfondo dello scontro tra apocalittici e integrati (Il cogito interruptus) sono argomenti di critica che coinvolgono il mezzo televisivo e che saranno sviluppati, pochi anni dopo, in saggi sistematici come La struttura assente (1968) e il Trattato di semiotica generale (1975).

Mentre è impegnato a dare un’impostazione complessiva alla sua riflessione semiotica, Eco elabora una proposta pratica di distorsione dei messaggi televisivi: è la fase ‘critico-ideologica’, dominata dalla celebre ‘guerriglia semiologica’, introdotta poco prima del ’68 e poi raffinata negli anni fino al ’77. Se nella società di massa il pubblico, a causa della sua costitutiva differenziazione interna, non condivide totalmente i codici comunicativi dell’emittente, finendo per comprendere solo parzialmente il messaggio, Eco propone di assumere positivamente questa decodifica aberrante per promuoverla a tattica generalizzata di distorsione, interpretando ad esempio il telegiornale come se fosse uno sceneggiato, perché «la battaglia per la sopravvivenza dell’uomo come essere responsabile nell’Era della comunicazione, non la si vince là dove la comunicazione parte, ma là dove arriva» (p. 129). Con l’avvento della Neo-televisione questa proposta diventerà strategia dell’emittente, i confini tra i generi si ibrideranno al punto da diventare indistinguibili, e in particolare il connubio tra informazione e finzione diverrà drammaticamente inestricabile. Rimane, però, – e anzi si rafforza col tempo – la generosità di un’idea visionaria quanto pragmatica.

È a questo punto – grosso modo dal ’73 all’84 – che Eco approda alla fase ‘testuale’ e applica la semiotica della cultura alla televisione, spostando gradualmente l’attenzione dalla relazione tra codici e messaggi alla testualità: dalla critica letteraria (Segre e Fortini) mutua alcuni schemi di critica televisiva, mette a punto l’esperimento Vaduz in cui inventa dei documentari su scontri politico-religiosi verosimili ma mai avvenuti per valutare l’efficacia comunicativa di forme complesse, distingue la Paleo-TV dalla Neo-TV, caratterizzata dall’autoreferenzialità e da processi di spettacolarizzazione, si occupa della serialità, notando come nell’era delle comunicazioni di massa i confini tra i media tendono a diventare sempre più porosi ed effimeri.

Dopo l’iniziale curiosità, Eco avverte rapidamente i rischi della diffusione sul territorio nazionale delle televisioni private e mette in guardia anche dai tentativi, come la TV-verità di Guglielmi, di tornare alla realtà adoperando però gli stessi mezzi della Neo-Tv e quindi riproducendone le caratteristiche. La profonda tensione etica che anima questi interventi – destinati soprattutto alla rubrica La bustina di Minerva tenuta sull’«Espresso» – è sempre congiunta con un’attenta analisi della dimensione estetica dei testi televisivi: dagli spot a Un giorno in pretura, dalla Corrida all’Ispettore Derrick fino al Grande fratello, nelle sue interpretazioni Eco è abile a mettere in luce alcune pratiche – come la retorica della disintermediazione – destinate a trionfare nei nuovi media digitali. È la fase che il curatore definisce ‘etico-estetica’ e che prepara l’ultimo tempo, quello ‘post-mediale’, caratterizzato dalla coscienza della crisi del mezzo televisivo e dalla concorrenza di altri media. Appare dunque evidente come il celebre giudizio formulato nel 2016 sulla diffusione via Web di discutibili opinioni di imbecilli che in altre epoche sarebbero rimaste riservate alle chiacchiere da bar, non nasce dal ravvedimento di un integrato scopertosi apocalittico con l’avanzare degli anni, ma affonda nello sguardo lungo dello studioso, capace di riconoscere l’azione e lo sviluppo di certe dinamiche anche nei mutamenti dei media.

Tra i testi contenuti nel volume – profondamenti diversi per impostazione, taglio metodologico, altezza cronologica – si notano i frequenti rimandi, le riprese di temi e di argomentazioni, che si potrebbero mettere a sistema con gli altri libri per disegnare il diagramma delle ossessioni del nostro autore. La questione della verità nelle rappresentazioni mediali ricorre con martellante precisione, e se si vuole avere un saggio ulteriore della capacità di Eco di maneggiare episodi della cultura pop per produrre affilate interpretazioni, si può rileggere l’analisi dello sketch del Sarchiapone contenuta in Kant e l’ornitorinco (1997): sarebbe l’occasione per fare una scorta di sorridente intelligenza prima di inoltrarsi lungo la strada impervia della post-verità e delle fake news.