Vanni Codeluppi, Vita di Luigi Ghirri. Fotografia, arte, letteratura, musica

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In questo libro, come nel suo soggetto, non tutto è come si crede. Anzitutto, inserito in una collana specialistica, la Biblioteca di testi e studi – Storia dell’arte di Carocci, Vita di Luigi Ghirri rifugge il formato, il linguaggio, i mezzi consueti, i segni di riconoscimento scientifico della critica accademica; ne è una prova la voluta assenza di note a piè di pagina, o di una bibliografia specialistica, a fondo volume.

In secondo luogo, e proprio pensando all’agilità del formato – una guida di poco più di un centinaio di pagine, di godibile lettura –, si propone come una biografia, ed è in sé questo, ma anche altro: un avviamento all’estetica fotografica di Ghirri, un’analisi ravvicinata dei suoi modi compositivi, dei suoi periodi, delle tangenze con le altre arti promesse dal sottotitolo: la giovanile scoperta dell’Annunciazione del Beato Angelico, l’appassionamento per la fotografia americana del paesaggio americano, rurale e industriale; l’onnipresente musica, nella sua vita e nei suoi viaggi, Bob Dylan su tutti; le varie e suggestive letture... E questo grazie a un artificio, o contrainte, strutturale: ogni capitolo viene aperto da un testo visuale-finestra, un’immagine che nel corso del racconto viene messa in contesto e analizzata.

Infine, pur nel suo voluto ritagliarsi un ‘a parte’ rispetto ai lavori di critica che nel tempo si sono succeduti (ricorderemo almeno, fra i testi più recenti e innovativi, Luigi Ghirri and the Photography of Place. Interdisciplinary perspectives, a cura di Marina Spunta e Jacopo Benci, del 2017), e anzi puntando sulla personale conoscenza dell’autore, su un ritratto che, nell’evolvere della sua poetica artistica individua coerenti spunti di interpretazione dell’uomo – la figura ritrosa e impacciata; la generosità con gli amici e con le istituzioni cui dona le proprie opere e i propri negativi; il costante sottrarsi al giudizio nei confronti degli altri –, Codeluppi, noto sociologo dei processi culturali e comunicativi e, cosa questa forse meno risaputa, cultore di fotografia sin dagli anni giovanili (nonché, come il compianto Remo Ceserani che all’arte della luce dedicò nel 2011 un libro di tematologia letteraria, L’occhio della Medusa, figlio di un fotografo professionista), riesce nell’intento di offrire un contributo in certa misura originale, non inerte alla bibliografia critica ghirriana.

In particolare, paiono particolarmente indovinate le zampate analitiche, la capacità del saggista di sintonizzarsi sulle onde del mondo esterno propria di Ghirri («in generale, forse Luigi con le sue foto cerca sempre, con ostinazione, di stabilire una sintonia con quel “suono interno” che tutte le cose del mondo possiedono», p. 54). Un caso paradigmatico riguarda la celebre immagine, in un libro-chiave di una delle tante svolte del fotografo, Il profilo delle nuvole, anno 1989, dei due pilastri e delle scalette che dalla piazza gonzaghesca di Pomponesco conducono all’argine del Po mantovano, immerso in una neve definita come spaesante, in quanto «omogenizza gli oggetti, uniforma il cielo e la terra e rende difficoltoso riconoscere le distanze» (p. 83). Ma si può altresì leggere la ripresa di spalle di Enrico Berlinguer come emblematica dell’arte di Ghirri di riquadrare immagini, di mostrare figure umane intente a contemplare qualche cosa, rivolte altrove: una visione della figura umana furtiva, estemporanea, una semisoggettiva dal valore di riapertura del senso a possibili inesplorati dalla cronaca, nello svelamento dell’umanità e della vulnerabilità del politico stanco, dinanzi alla folla dei convenuti alla Festa nazionale dell’Unità dell’83, al Campovolo reggiano (in Notte e dì, dell’anno successivo).

Il critico ha inoltre mano felice nel descrivere il clima di amicizia e condivisione nelle diverse tappe dell’affermazione di Ghirri, in primis la frequentazione degli artisti concettuali modenesi, cui viene introdotto, sul finire degli anni Sessanta, da Franco Guerzoni, per giungere poi, con gli anni Ottanta, ai fotografi del nuovo paesaggio italiano, agli incontri fondamentali con Claude Nori e Gianni Celati. Pur rievocando l’esordio alla regia, nel ’91, di quest’ultimo, Strada provinciale delle anime, una scompaginata e allegra banda di gitanti per le pianure ferraresi, nella quale viene trascinato lo stesso fotografo (film peraltro dall’estetica molto ghirriana, fatto di inquadrature «tenute a lungo», p. 95), Codeluppi omette di riferirsi all’omaggio di Celati all’amico scomparso, Il mondo di Luigi Ghirri, del 1999, forse, in questo, imponendosi di restituire una cronistoria equilibrata del ‘suo’ Ghirri, e però assorbendo, dello scrittore, letture del fotografo indelebili, stilemi caratteristici, primo fra i quali il suo «ridare dignità a quello che a prima vista nella società sembra essere scontato e privo d’interesse» (p. 91).

Fra gli elementi qualificanti del libro è infine da ricordare l’impegno sistematico di riproduzione delle diverse e sempre significanti topografie emiliane, degli spostamenti abitativi del suo «Luigi», dalla ‘casa-villaggio’ nei pressi di Sassuolo a quelle di Modena-parco Amendola e centro storico, e Formigine, sino alla casa finale di Roncocesi, nelle campagne che circondano Reggio Emilia. Un procedimento tipico delle biografie, questo, si dirà; e tuttavia localizzare Ghirri significa situarlo, in maniera rigorosa, in un campo di fitte relazioni, cogliere le permanenze nella sua struttura di apprensione primaria del suo mondo, di contro a una personale, mobilissima curiosità, tesa verso le forme della cultura, le modificazioni nella società contemporanea, e i suoi simulacri – Codeluppi ci parla di un progetto di allestimento parigino, comunicatogli da Luigi stesso, che avrebbe composto fra loro, alla ricerca di una «etica» del vedere, fotografie di Ghirri, Wenders e Baudrillard (pp. 88-90).

In questa luce riusciamo a intuire la continuità della salutare, sorridente pedagogia demistificatoria delle apparenze sotto le quali si maschera la realtà, perseguita sin dai lavori degli anni Settanta sulle «architetture itineranti per il divertimento» (p. 43), come i luna park, e sulla riminese Italia in miniatura (1978), e ben rischiarata dall’occhio del sociologo. Nella cui veduta, e nelle cui ambizioni ‘a bassa intensità’, per riprendere ancora una definizione celatiana delle immagini dell’amico fotografo, è da leggersi nuovamente un’esortazione a oltrepassare le apparenze, attraversando la brevità dei rilievi della Vita, la natura necessariamente compendiosa della sua ricostruzione per cogliervi rinvii, aperture suggestive a una più ampia interpretazione del mondo Ghirri.