Ludovico Ariosto, Orlando Furioso, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 2011

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Ludovico Ariosto, Orlando Furioso, a cura di Corrado Bologna, illustrazioni di Mimmo Paladino, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 2011

Se vogliono dar credito alla mia esperienza: che qualcuno mi riportasse indietro un libro preso in prestito si è verificato pur sempre più di frequente dell’altra evenienza, vale a dire: che lo avesse letto. E questa – si chiederanno lorsignori – sarebbe una caratteristica del bibliofilo, non leggere i libri? Sarebbe proprio una bella novità! No. Gli esperti potranno loro confermare che invece è una storia vecchissima, e qui mi limito a citare la risposta che France, ancora lui, teneva pronta per il beota di turno, il quale, ammirata la sua biblioteca, gli poneva infine la domanda d’obbligo: «E questi libri lei li ha letti tutti, signor France?» – «Neppure la decima parte. O lei, per caso, mangia ogni giorno nelle sue porcellane di Sèvres?». (Walter Benjamin, Aprendo le casse della mia biblioteca. Discorso sul collezionismo, trad. it. di Elisabetta Dell’Anna Ciancia, Milano, Edizioni Henry Beyle, 2012, p. 16 [articolo apparso per la prima volta in «Die literarische Welt», n. 27, luglio 1931])

L’idea di France, riportata da Benjamin, è doppiamente efficace: sia per l’evocazione di una raffinata sensibilità decadente, cullata nella delicatezza delle porcellane, sia per il suggestivo accostamento tra la voluttà del bibliofilo (il piacere di possedere certi libri non riguarda necessariamente la loro lettura) e la bulimia visiva del collezionista (il guardare con insaziabile piacere i volumi disposti con ordine ‘warburghiano’ nella biblioteca di casa). Certo, il lettore è portato ancora di più a condividere il punto di vista di France-Benjamin dal supporto sul quale sono stampati questi caratteri (monotype corpo 12): una bella carta Zerkall-Bütten. In più, si tratta di copie numerate (l’esemplare ora sottomano di Aprendo le casse della mia biblioteca è il n. 349).

Non sembri fuorviante questa introduzione per parlare delle illustrazioni di Mimmo Paladino per l’Orlando Furioso, pubblicato dall’Istituto dell’Enciclopedia Italiana, nella collana «Classici Treccani», nel 2011. È necessario infatti provare, almeno, a immergersi in un’atmosfera rarefatta per cogliere appieno la bellezza della «qualità editoriale classica» dei tomi [da un’intervista di chi scrive a Mimmo Paladino del 4 ottobre 2013, così come le altre citazioni nel testo], «stampati al torchio piano cilindrico e rilegati a mano in pelle» [da I. Tedesco, I classici Treccani illustrati da Paladino, pubblicato in data 14 giugno 2012], dedicati dalla Treccani ai grandi classici della letteratura (tra i quali Il Milione, Il Principe, l’Orlando Furioso).

La citazione di France è tuttavia utile anche per capire l’attività di Paladino, che oltre a essersi dedicato a imprese editoriali ricercate e rare, come l’Iliade e l’Odissea, il Philobiblon e l’Orlando Furioso appunto, il ‘servito buono’ dunque, le ‘porcellane di Sèvres’, ha prestato la sua opera anche per libri ad ampia circolazione, come Le Metamorfosi e la Nuova Bibbia Salani, Le ceneri di Pirandello, o ancora, nel 2001, realizzando una serigrafia a 9 colori per l’inaugurazione della linea 1 della Metropolitana di Napoli. Tirature limitate e migliaia di copie, destinazione ristretta e circolazione popolare.

Venendo nello specifico all’Orlando Furioso, si tratta di un’edizione estremamente curata, per la quale l’artista ha fatto 13 illustrazioni (compreso il ritratto di Ludovico Ariosto in antiporta), tutte a piena pagina. Tuttavia, non si tratta di mere illustrazioni, ma come spiega Paladino stesso:

Non mi comporto da illustratore ma da ‘verificatore’. Se si riprende un testo così importante e classico è perché comunque bisogna voler dare una lettura contemporanea anche attraverso la pagina disegnata. La libertà che mi posso consentire è data dal fatto che sono un pittore prestato alla letteratura, non un illustratore, quindi da me non ci si aspetta un pagina illustrativa, ma qualcosa di diverso.

E ancora:

La grande letteratura sperimentale, anche antica, è qualcosa nella quale continuamente si possono mettere le mani, anche aprendo una pagina a caso e leggendo una frase a caso, e questo può essere utile alla costruzione di qualcos’altro. Mi annoierebbe il percorso filologico, di significati che non possono essere altri. Sì, giustamente, c’è anche questo aspetto, però da pittore mi comporto diversamente, rubo quello che mi può servire per ottenere un’immagine. Un atteggiamento quasi rabdomantico. Per questo, ritornando ancora al Don Chisciotte, credo sia una figura emblematica: perché lui è un rabdomante, erra per questa pianura, incontra ma non sa, vede una cosa per un’altra. È un po’ l’artista, no?! Perciò alla fine è diventato uno dei miei preferiti.

In effetti, tanto l’atteggiamento ‘del rabdomante’, quanto la volontà di sperimentare, vengono confermati dalle illustrazioni stesse. Per quanto riguarda il primo aspetto, emerge come non vi sia un’equa ripartizione delle immagini tra i diversi canti: è chiaro che Paladino ha seguito la propria ispirazione, cercando, o trovando, i passi a lui più congeniali. Vediamo allora alcune delle immagini. Apre la serie, scelto a emblema della narrazione, un potente e insieme delicato Ippogrifo, tratteggiato graficamente su un cielo blu, percorso da segni grafici ritornanti. Unica eccezione alla leggerezza grafica: le ali definite coloristicamente in arancione.

La prima illustrazione interna si riferisce invece ad Angelica, descritta anch’essa graficamente, con un appena percettibile segno di matita, quasi metonimicamente schiacciata, nella sua fuga, da più corposi arbusti (verdi) e sagome di alberi (nere). Tanto è etereo il profilo di Angelica, quanto è invece sfuggente, immerso in una bianca e candida nebbia, il volto della Fata Morgana. A proposito del profilo di Angelica, tuttavia, pare ineludibile il riferimento alle parole con cui Paladino descrive il proprio lavoro in ambito scultoreo, attestando un comune modo di procedere:

[…] parto da una forma che a volte viene anche fatta direttamente, ma sempre la immagino come forma grafica, quasi mai plastica, pur essendo plastile: sempre visioni prospettiche schiacciate, come se fossero dei segni insomma. Un cavallo ad esempio è una forma geometrica, poi è anche volume, ma prima di tutto è forma geometrica.

E in effetti, definita da un disegno che sembra richiamare alla mente la sensuosità lineare del Matisse delle Poésies di Stéphane Mallarmé (Lausanne, Skira, 1932), è l’illustrazione per il decimo canto, raffigurante il momento in cui «Ruggier, commosso dunque al giusto grido, / slegò la donna, e la levò dal lido» (OF, X, 111, 7-8). Se il cavaliere appare baldanzoso, sostanziato dal colore, imperioso nella sua derivazione dalla scultura italica, con tanto di usbergo arcaico, fragile e indifeso, delicato, appare invece il profilo di donna ai suoi piedi. Riferimenti a una classicità remota che contraddistinguono anche Cloridano e Medoro mentre trasportano il possente corpo di Dardinello, impastati letteralmente di terra e colore.

Non impastato di terra, ma pur sempre paragonabile a una divinità per certi versi ctonia, è il Mago Atlante descritto da Paladino: una sagoma verde, con in mano una sorta di tridente, e una testa che sembra ricordare la matericità di Dubuffet (in particolare il Dubuffet illustratore di Les Murs, Paris, Editions du Livre, 1950), seguito dall’artista nei suoi esordi, eppure negato come riferimento nella presente circostanza:

Non c’ho pensato in realtà. Agli esordi sì, c’era Dubuffet, ma in quegli anni avevo Persico come professore al liceo, pittore napoletano in contatto con il gruppo dei nucleari e Baj. Quindi direi che se c’era un’influenza era più da ricondursi a Baj, con il quale ci siamo anche conosciuti.

Tuttavia, tra le illustrazioni più efficaci, spicca senza dubbio quella dedicata alla pazzia d’Orlando, dove la perdita di senno, la dispersione delle armi e la nudità, sono rappresentati sinesteticamente attraverso una linea grafica semplice e scarna che tratteggia il corpo del paladino, vittima di una sorta di ‘sparagmòs’: il suo corpo è quello di un burattino, alle estremità alcuni caratteri evidenziano il lacerarsi del senno ma anche di ogni senso compiuto associato alle lettere. I colori, i tanti colori che caratterizzano le singole linee, confermano la perdita di controllo:

È proprio l’idea del linguaggio, della parola, che può essere oggetto di pura follia. Ma in quel periodo io stavo di nuovo lavorando al Don Chisciotte: ci sono delle affinità, la follia di Don Chisciotte è legata al linguaggio della letteratura, una follia che porta il protagonista a mescolare tutto quello che aveva letto in un’enorme storia dove entra ed esce qualunque cosa, una metafora della letteratura.

È con questa immagine che si chiude il percorso nelle illustrazioni di Paladino, figure che cercano di trovare un senso sempre nuovo all’interno di un capolavoro illustrato e commentato svariate volte. Forse dunque, per citare nuovamente e un’ultima volta Paladino, è proprio questa la capacità dell’artista: «trovare nel testo qualcosa di nuovo, qualcosa che può sollecitare a fare un disegno che sia comunque sorprendente per chi lo guarda e soprattutto che possa dare una lettura diversa dalla pagina stessa».

Libri illustrati da Mimmo Paladino citati nella scheda

R. de Bury, Philobiblon, introduzione di G. Gaspari, versione di F. Tissoni, xilografie di M. Paladino, Milano, F. Sciardelli, 1996.

Omero, Iliade, Odissea, tavole di M.Paladino, prefazione di D. Koepplin, Firenze, Le Lettere, (2 voll.), 202 tavv., 2001 [altra edizione Paris, Diane de Selliers, 2001].

La nuova Bibbia Salani: l’Antico Testamento, raccontato per intero da S. Giacomoni, con una lettera del cardinale Martini e con 41 tavole di M. Paladino, Milano, Salani, 2004.

R. Alajmo, M. Paladino, Le ceneri di Pirandello, Bagheria, Edizioni Drago, 2008.

N. Machiavelli, Il Principe, a cura di G. Inglese, illustrazioni di M. Paladino, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 2011.

Il Milione di Marco Polo nell’edizione di Giovanni Battista Ramusio, a cura di F. Ursini, illustrazioni di M. Paladino, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 2012.

R. Mussapi, Le metamorfosi: il capolavoro di Ovidio raccontato da una grande voce contemporanea, con 18 tavole di M. Paladino, Milano, Salani, 2012.

Bibliografia

Mimmo Paladino. L’opera su carta 1970-1992, catalogo della mostra (Galleria Civica di Arte Contemporanea, Trento, 16 maggio – 5 luglio 1992), a cura di D. Eccher, Milano, Mazzotta, 1992.

Mimmo Paladino. I 104 disegni di Pulcinella, catalogo della mostra (Torino, 1992), a cura di M. Bonuomo e A. Mistrangelo, Fabbri, 1992.

Mimmo Paladino opera grafica 1974-2001, a cura di E. Di Martino, presentazione di K.A. Schröder, New York, Art of this Century, 2001.

Paladino una monografia a monograph, testi di J. Sallis, D. Eccher, Milano, Edizioni Charta, 2001.

Figurare la parola. Editoria e avanguardie artistiche del Novecento nel fondo Bertini, catalogo della mostra (Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, 16 ottobre 2003 – 31 marzo 2004), a cura di L. Chimirri, Firenze, Vallecchi, 2003.

C. Collodi, Pinocchio. Le avventure di Pinocchio, immagini di M. Paladino, prefazione di E. Di Martino, Venezia, Papiro Arte, 2004.

Parole disegnate, parole dipinte. La collezione Mingardi di libri d’artista, catalogo della mostra (Reggio Emilia, Palazzo Magnani, 4 febbraio – 28 marzo 2005), a cura di S. Parmiggiani, C. Mingardi, Ginevra-Milano, Skira, 2005.

F. Belloni, “La mano decapitata”. Transavanguardia tra disegno e citazione, Milano, Mondadori Electa, 2008.

M. Paladino, Quijote, Pistoia, Gli Ori, 2008.

Mimmo Paladino: opera grafica, a cura di E. Di Martino, Venezia, Papiro Arte, 2008.