1.11. Elena Varzi, un ‘tipo’ per il cinema italiano?

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1. Attrice e donna

Elena Varzi si è definita molto presto come uno dei volti rappresentativi del cinema italiano degli anni Cinquanta, nonché una ‘delle quattro bellezze’ di quel periodo accanto a Mangano, Bosè e Lollobrigida [fig. 1], come si legge su un numero di «Oggi» dell’epoca (Venturi 1952, p. 8) che reca le foto delle attrici e sottotitola L’industria italiana si prepara ad attaccare il mercato inglese con la bellezza delle donne, un articolo che tra l’altro chiarisce l’importanza fondamentale dell’immagine femminile nell’economia del cinema di quegli anni.

Dopo il primo film, È primavera di Renato Castellani (1950), incontra Raf Vallone con cui si sposa nel 1952 [fig. 2] e nel 1955, arrivata a tre figli, lascia definitivamente il cinema per dedicarsi, a suo dire, al marito e alla famiglia. Senza colpi di scena, la fine della sua carriera – otto film a quella data – è anticipata dalla scelta di partecipare unicamente a film in cui recita il marito (Tacchella 1951, p. 21).

L’identità di attrice e l’immagine pubblica s’incrociano dunque con la sua vicenda personale, influenzata dalle scelte di Vallone, impostosi come divo. Da parte dei media italiani, malgrado il successo ottenuto, l’interruzione del percorso artistico di Varzi non sembra fare particolarmente notizia. Su un numero di «Oggi» del 1956 si legge ad esempio che «Elena Varzi ha temporaneamente abbandonato il cinema per dedicarsi alla famiglia» (p. 32) e che «l’attrice è un’ottima cuoca e una brava donna di casa, […] qualità […] apprezzate da Raf Vallone» (p. 33), il tutto corredato di fotografie ad hoc [figg. 3-4].

Nel tempo è forse questa l’immagine che ha persistito maggiormente, cosicché, nonostante sia sempre ricordata anche come attrice, come testimonia l’omaggio del Festival di Roma del 2014, anno della sua scomparsa, Varzi è menzionata soprattutto come «moglie di Raf Vallone» e resta pressoché invisibile negli studi sul cinema.

 

2. Attrice anziché dottoressa

Malgrado l’interesse per la recitazione provato dalla sua partecipazione a un teatro dilettante, e sebbene eletta Miss Cinema (Grossi e Palazzo 2012, p. 21), l’esordio cinematografico di Varzi sembra avvenire ‘per caso’, secondo la pratica corrente attribuita all’esigenza del cinema neorealista di dare nuovi volti alla nuova realtà italiana del dopoguerra. Nella maggior parte delle fonti consultate per questa ricerca, Varzi, che viveva sotto la stretta sorveglianza dei suoi genitori, viene descritta come poco attratta dalla settima arte. Secondo alcuni articoli apparsi in Francia («Cinémonde» e «L’Ecran français»), la giovane Elena viene notata al carnevale di Ostia del 1949 da Renato Castellani, che le propone il ruolo femminile principale di È primavera. Tuttavia, «La chose la laissa (presque) complètement indifférente. [...] En effet, Elena voulait devenir doctoresse» («Cinémonde» 1956, p. 19). Il suo moderato interesse per il cinema (e quello smoderato per Raf) è attestato da «L’Écran français» già nel 1951 in un’intervista di Jean-Charles Tacchella, che incontra la coppia Vallone-Varzi in occasione della presentazione di Il cammino della speranza (P. Germi, 1950) e Il Cristo proibito (C. Malaparte, 1951) a Cannes:

 

Le débuts d’Elena Varzi sont aussi des débuts par hasard […] elle ne tourne plus: elle a décidé de ne tourner des rôles que dans les films de Vallone pour ne pas être séparée de lui «Comme je le lui répète – explique Vallone – c’est très gentil de sa part, mais c’est très dangereux pour sa carrière» «Pour l’instant, sa carrière, elle n’y pense pas. En réponse à cette phrase, elle se contente de sourire à Vallone» (p. 21).[1]

 

Molti anni dopo, comunque senza rammarico, Varzi affermerà di aver lasciato il cinema su richiesta del marito (Grossi e Palazzo 2012, p. 24). Eppure, a guardarne i film, l’attrice, interpretando personaggi principali o comunque significativi, non restituisce affatto quest’idea del cinema come interesse secondario. Indipendentemente dalla sua motivazione, da infatti prova di un certo potenziale, che viene già rilevato all’uscita del film di Castellani: «Primavera plut beaucoup. Et Varzi obtint d’excellentes critiques», come si legge sul citato «Cinémonde».

 

3. Un tipo?

Da un lato, la sua vicenda appare simile a quella di attrici e attori non professionisti del dopoguerra, resi noti da un solo film il cui successo li ha consegnati alla storia del cinema ma anche confinati ad un personaggio o a varianti di quest’ultimo. E infatti l’immagine di Varzi resta indissociabile dal volto e dallo sguardo di Barbara con il bambino in braccio nel momento cruciale dell’incontro con i doganieri nel finale di Il cammino della speranza, il suo secondo film [fig. 5]. Da un altro punto di vista, il suo percorso assume l’aspetto di una vera e propria carriera attoriale, in cui l’attrice ha interpretato ruoli con caratteristiche diverse, dimostrando molto presto la volontà di liberarsi dal ‘tipo’ della siciliana di cui si parla a proposito del suo primo film, forse sulla scia del dibattito sul non professionismo che ha luogo sulle riviste proprio in quegli anni (Pitassio 2007, pp. 147-163).

Sulla legenda di una foto di scena pubblicata su «Cinema» poco prima dell’uscita del film (28 febbraio 1950) si legge: «Il cinema italiano e la ricerca del tipo: Elena Varzi nella parte della siciliana nel film È primavera diretto da Renato Castellani» [fig. 6]. Nella foto Elena ha lo sguardo pensoso e grave e indossa un grembiule da cucina, trovandosi così in forte contrasto con le immagini delle attrici che la precedono sulla rivista, la quale in tal modo rinforza la sua presentazione come ‘tipo’, che è al contempo un modello di femminilità casalinga e rassicurante.

Il film esce nel marzo 1950 e poco dopo Elena viene contattata da Pietro Germi per Il cammino della speranza, in cui torna a interpretare una donna siciliana, pudica, religiosa, attaccata ai valori della famiglia come ben esemplifica un’altra foto apparsa su «Cinema» (30 maggio 1950) [fig. 7]. Una prima questione, quindi, riguarda la verifica e le metamorfosi eventuali di questo ‘tipo’ che, al di là della connotazione regionale, rimanda a un modello femminile portato sullo schermo. Se nei film citati sopra Varzi incarna, come attrice protagonista, delle donne legate a valori tradizionali, queste tuttavia sanno fare scelte in autonomia dalla comunità. Infatti, in È primavera la ragazza si ribella al padre per andare a Milano a cercare suo marito, anche se poi il film si conclude con la vittoria del matrimonio cattolico e della famiglia, il marito torna a casa «perdonato» e tutto rientra nell’ordine. In Il cammino della speranza Barbara accetta di vivere «in peccato mortale», come dice lei stessa al prete. È la compagna del bandito, e per questo è esclusa dalla comunità, salvo poi esservi riammessa grazie alla sua rottura con Vanni e per il tramite di Saro e dei suoi bambini, che permetteranno la redenzione della donna. In questi film che la consacrano come attrice di successo Varzi sembra diventare anche il luogo di una tensione tra figure prestabilite e rassicuranti che evocano la purezza, la fedeltà e la devozione all’uomo ed elementi di segno contrario, che sfuggono alla logica della dominazione maschile, anche se poi vi vengono fatti rientrare.

Da un lato, infatti, incarna i valori del pudore, del buon senso e dell’intelligenza messa a servizio della morale, che la liberano dal tipo regionale e le permetteranno di interpretare altri personaggi nei film successivi. Dall’altro lato, meno evidente, svela che, per poter essere ricondotti a quel sistema di valori, i suoi personaggi, comunque agendo, sono costretti all’opacità, alla laconicità, e rivolti verso la propria interiorità. Questo contenimento che dissimula spinte contrarie l’attrice lo esprime attraverso il suo corpo, sempre coperto e di rado scomposto, le sue posture misurate, la sua espressione riservata e spesso grave, attribuiti al tipo siciliano ma da cui sconfinano, come dimostra la sua filmografia.

 

4. Raf, la vita e lo schermo

Come si è detto, Varzi interrompe la propria carriera nel 1955, anche rifiutando, a suo dire, ruoli propostigli da registi quali Fellini, De Sica e Sordi (Grossi e Palazzo, 2012, p. 24). Tuttavia, la sua presenza nell’immaginario (para)cinematografico persiste attraverso una quantità di materiali, in cui è fotografata insieme al marito, spesso con i figli, come ricorda anche Fallaci facendo il ritratto di Raf Vallone, divo e soprattutto uomo, latin lover dal concetto di famiglia «pressoché patriarcale» (Fallaci 2017, p. 94) [fig. 8].

Proprio Raf nel suo scritto autobiografico Alfabeto della memoria non a caso situa Elena alla voce «santificazione» (2001, p. 83): «Se esiste la santificazione, Elena la merita, per aver sopportato così a lungo un caratteraccio come il mio, passando sopra a tutti i miei difetti, le mie defaillances, le mie scappatelle, che a volte erano scappatone. Sempre comprendendo tutto, anche questo mio desiderio di evasione e di libertà» (Ivi, p. 84). E una delle «scappatone» a cui allude è quella, nota, con Bardot, per la quale, come si legge in un articolo recente, Elena minacciò di lasciarlo (Amorosi 2020).

A ben guardare, il carattere ‘sacro’ attribuitole dal marito, lo incarnano anche i personaggi di Varzi, da lei comunque attentamente scelti, come lascia intendere il succitato «Cinémonde» (p. 19). Più che il tipo siciliano, presto abbandonato, Varzi ha interpretato ruoli di donne a sua misura, percorse da tensioni sotterranee, e ci è riuscita forse proprio grazie al fatto che si è volutamente tenuta a margine della professione in tutte le sue sfaccettature.

 

Ringrazio calorosamente per i materiali e i consigli Franco Sepe, Chiara Tognolotti, Eleonora Vallone.

 

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1 Quaderni De Santis, p. 24.