Fotografa, pittrice, disegnatrice, animatrice, sperimentatrice indipendente, anima libera, visionaria, poeta dell’immagine. Ursula Ferrara potrebbe essere definita in molti modi, sia pensando alla produzione creativa che ha sviluppato negli anni, sia guardando alla sua metodologia di lavoro dove indipendenza, tenacia, rigore e pazienza si uniscono a un’attitudine onnivora verso l’impiego di tecniche e linguaggi diversi. Nata nel 1961 a Pisa, ha frequentato l’Istituto d’Arte di Porta Romana a Firenze, dove ha potuto studiare grafica pubblicitaria e fotografia, nonché approfondire varie tecniche artistiche, dal disegno all’incisione, dalla litografia all’acquerello e alla tempera a olio. Il suo è un percorso di crescita artistica che parte da una base genetica peculiare: dal padre geologo Ferrara eredita la passione per la fotografia, ed è proprio lui a regalarle la prima macchina fotografica. Giovanissima inizia a scattare, a sviluppare, a stampare, intraprendendo un percorso sperimentale che porta avanti insieme al disegno. Ed è qui che vibra l’altra componente genetica, quella materna: figlia dell’eclettica pittrice e scultrice Milena Moriani, Ursula riceve da lei non solo il dono dell’abilità grafica e pittorica, ma ne eredita la capacità visionaria e il coraggio per la sperimentazione libera, componenti essenziali per la costruzione di mondi poetici dove l’elemento memoriale e il vissuto intimo si fondono con la dimensione immaginaria più creativa.
1. Attrice e donna
Elena Varzi si è definita molto presto come uno dei volti rappresentativi del cinema italiano degli anni Cinquanta, nonché una ‘delle quattro bellezze’ di quel periodo accanto a Mangano, Bosè e Lollobrigida [fig. 1], come si legge su un numero di «Oggi» dell’epoca (Venturi 1952, p. 8) che reca le foto delle attrici e sottotitola L’industria italiana si prepara ad attaccare il mercato inglese con la bellezza delle donne, un articolo che tra l’altro chiarisce l’importanza fondamentale dell’immagine femminile nell’economia del cinema di quegli anni.
Dopo il primo film, È primavera di Renato Castellani (1950), incontra Raf Vallone con cui si sposa nel 1952 [fig. 2] e nel 1955, arrivata a tre figli, lascia definitivamente il cinema per dedicarsi, a suo dire, al marito e alla famiglia. Senza colpi di scena, la fine della sua carriera – otto film a quella data – è anticipata dalla scelta di partecipare unicamente a film in cui recita il marito (Tacchella 1951, p. 21).
L’identità di attrice e l’immagine pubblica s’incrociano dunque con la sua vicenda personale, influenzata dalle scelte di Vallone, impostosi come divo. Da parte dei media italiani, malgrado il successo ottenuto, l’interruzione del percorso artistico di Varzi non sembra fare particolarmente notizia. Su un numero di «Oggi» del 1956 si legge ad esempio che «Elena Varzi ha temporaneamente abbandonato il cinema per dedicarsi alla famiglia» (p. 32) e che «l’attrice è un’ottima cuoca e una brava donna di casa, […] qualità […] apprezzate da Raf Vallone» (p. 33), il tutto corredato di fotografie ad hoc [figg. 3-4].