1.5. «Un lavoro inadatto a una donna»: protagoniste femminili nella serialità crime italiana*

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1. Introduzione

«Nonostante la percezione diffusa che il crime drama sia un genere intrinsecamente ‘maschile’, le donne vi hanno giocato un ruolo fondamentale fin dall’inizio, non soltanto nella veste di vittime indifese o femme fatale doppiogiochiste, ma anche in qualità di personaggi sempre più risolutivi nell’ambito delle indagini, nonché come percentuale del pubblico televisivo in costante aumento dagli anni Cinquanta a oggi». Inoltre, «la rappresentazione della donna nel crime drama ne [ha] testimoniato il mutamento del ruolo sociale nel corso degli anni, alimentando il dibattito sia sulla stampa di massa che nel campo dei feminist media studies» (Turnbull 2019, p. 247).

Per quanto l’indagine di Turnbull sulla presenza della donna nella serialità televisiva di genere crime coniughi virtuosamente le due prospettive «behind the camera» e «on-screen», e analizzi nel dettaglio la presenza femminile in ruoli produttivi e creativi, tale analisi resta circoscritta all’area anglofona (in particolare USA e UK) con una breve incursione in territorio nordico, per esaminare i celeberrimi ruoli di Sarah Lund (The Killing, 2007-2012) e Saga Norén (The Bridge, 2011-2018). Per l’Italia, anche nelle sue relazioni con altre esperienze produttive e narrative che si sviluppano a livello europeo, una indagine di questo tipo sembra ancora mancare del tutto, e solo di recente è stata mappata la presenza femminile nella produzione di fiction televisiva a livello europeo (Jiménez Pumares 2021).

L’intento delle ricerche che stiamo svolgendo nel quadro del progetto DETECt,[1] finanziato dall’Unione Europea nel programma Research and Innovation di Horizon 2020, è dunque quello di offrire un contributo in questa direzione, analizzando tre serie televisive con protagoniste femminili riconducibili a tre diversi player del contesto nazionale: Bella da morire (2020), coprodotto da Rai Fiction con Cattleya, Petra (2020-), coprodotto da Sky sempre con Cattleya, e Il processo (2019), coprodotto da Mediaset con Lucky Red. L’analisi, che si colloca nel quadro della critica culturale femminista del genere crime nella cultura popolare, integrata da interviste a figure creative e manageriali nella prospettiva dei production studies, intende riflettere sui rapporti tra personaggi femminili in ruoli di detection e professioniste dell’audiovisivo, al fine di discutere la più ampia rinegoziazione sia delle norme del genere che delle identità di genere all’interno del contesto sociale (Hoffman 2016).

 

2. Quadro teorico e metodologico

Storicamente le donne come personaggi, autrici e lettrici hanno giocato un ruolo molto importante nel racconto giallo fin dal Diciannovesimo secolo, seppure le performance investigative di personaggi femminili siano state a lungo confinate in ruoli amatoriali. Infatti, «the professional female character is an exhilarating newcomer to a market long dominated by men» (Mizejewski 2004, p. 2), l’investigatrice professionista si popolarizza solo negli anni Settanta e la sua rappresentazione come membro delle forze di polizia è subordinata all’effettivo ingresso della popolazione femminile nelle forze dell’ordine – in Italia, per esempio, le donne possono diventare commissario solo dal 1979, e solo dal 1999 possono entrare nei Carabinieri.

Il ruolo della detective donna, sia amatoriale che professionista, è stato ampiamente discusso da una vasta letteratura scientifica che ci aiuta a spiegare meglio sia la percezione della mascolinità ‘intrinseca’ di un genere con elementi conservatori come il giallo, strutturato intorno al ristabilimento di un equilibrio originario messo in pericolo dall’atto criminale, sia le relazioni tra la rappresentazione femminile nel genere e i cambiamenti della condizione femminile nel più ampio contesto socio-culturale, soprattutto nei luoghi di lavoro e negli spazi domestici.

Klein ha affrontato il problema dell'intersezione tra gender e genere crime attraverso la nozione di ‘script’, sottolineando che «the script labeled detective in readers’ minds did not naturally overlap or even mesh with the labeled woman» (Klein 1995, p. 4). Dresner ha ampliato questa prospettiva, suggerendo come le qualità del detective siano tradizionalmente e culturalmente codificate come maschili, che siano l’iper-razionalità dell’investigatore intellettuale alla Sherlock Holmes o la violenza casuale del detective hardboiled (Dresner 2007, p. 1). In questo senso, la donna investigatrice è presentata come fondamentalmente imperfetta, e come simbolo dell’incompatibilità delle categorie culturali di donna e detective (Dresner 2007, p. 2).

Gli studi sulla crime fiction hanno dimostrato che le possibilità di avere una vita sentimentale appagante e di svolgere una professione investigativa sono tradizionalmente considerate come mutualmente esclusive, al punto che Gates riconosce che la detective donna deve lottare per essere sia una detective di successo che una donna di successo (Gates 2011, p. 14). Naturalmente, il ‘successo’ per una donna deve essere interpretato in relazione alla prevalente definizione sociale dell’identità femminile con i ruoli – socialmente prescritti ma percepiti come ‘naturali’ – di moglie e madre.

La donna detective è spesso single, divorziata, vedova o, in ogni caso, sola, e come tale tende a essere percepita – come le sue controparti criminali e a differenza dei colleghi uomini, la cui ‘solitudine’ non diviene stigma sociale – come una donna ‘innaturale’, incompleta, o nel migliore dei casi non convenzionale. Le investigatrici del Nordic Noir hanno rafforzato questa percezione, dato che sia Sarah Lund che Saga Norén sono professioniste brillanti ma emotivamente distanti, fredde e – in particolare nel caso di Saga – prive di basilari abilità sociali.

Il modello del Nordic Noir della detective ‘trascurata’ ed emotivamente trattenuta (almeno in relazione alle norme sociali prevalenti) è ambivalente e problematico in termini di critica della rappresentazione di genere, dato che sembra incorporare una tensione tra il bisogno di ‘mascolinizzare’ le detective per adeguarsi alle convenzioni del genere crime, da un lato, e dall’altro l’intento di criticare la mascolinità ‘intrinseca’ di tratti come la razionalità e la freddezza, provando dunque a ridefinire il valore e il ruolo di queste caratteristiche nella società e nei processi di costruzione delle identità di genere.

Sia Sarah che Saga reagiscono agli stereotipi dell’iperemotività femminile con una mascolinizzazione della loro personalità, basata su un contegno freddo e razionale tradizionalmente associato al maschile, specialmente nelle professioni di detective e poliziotto. Tuttavia, entrambe sono rappresentate come disfunzionali nella loro vita privata, incapaci di avere relazioni sentimentali significative e una vita sociale gratificante, come se fossero punite per il loro successo professionale con la loro incapacità di raggiungere relazioni personali soddisfacenti.

Attraverso le interviste con i professionisti, la nostra ricerca ha dimostrato che il Nordic Noir rappresenta oggi un riferimento importante nel tentativo di innovare la produzione seriale italiana e favorirne una più ampia circolazione internazionale. Tale modello ha avuto un impatto significativo nel trattamento delle location, nella caratterizzazione dello stile visivo e soprattutto nello sviluppo dei personaggi femminili, come si vedrà nella sezione successiva. Le interviste più rilevanti ai fini dell’analisi che abbiamo condotto sono le seguenti: per Bella da morire, interviste allo sceneggiatore Filippo Gravino, al regista Andrea Molaioli, alla produttrice Laura Cotta Ramosino e alla direttrice casting Claudia Marotti; per Petra, abbiamo intervistato gli sceneggiatori Furio Andreotti, Giulia Calenda, Ilaria Macchia, la regista Maria Sole Tognazzi, la produttrice Arianna De Chiara e il direttore di produzione Michele Ottaggio.

 

3. Investigatrici nel mediascape contemporaneo italiano

Un’analisi delle recenti serie crime italiane con detective donne come protagoniste mostra come le narrazioni poliziesche italiane degli ultimi anni abbiano elaborato rappresentazioni originali della donna detective, in un dialogo ambivalente con le popolari e più consolidate figure femminili del Noir nordico. Più in generale, dall’analisi emerge il tentativo di ri-locare e tradurre nel contesto italiano modelli internazionali di ‘complex’ o ‘quality’ tv, bilanciando tradizione e innovazione all’interno di produzioni che puntano a un pubblico mainstream. In primo luogo, i tratti più duri delle detective nordiche vengono smussati e addolciti, ma senza che il personaggio perda in indipendenza e complessità; in secondo luogo, le relazioni familiari e sentimentali, per quanto problematiche, restano un punto centrale del plot; e infine, le ambientazioni vengono diversificate, senza che tuttavia si perda la connessione con la cultura e l’immaginario del Mediterraneo.

La traiettoria dell’impatto del Nordic Noir sul crime contemporaneo italiano può essere misurata con particolare efficacia confrontando Non uccidere (2015-2018), ambientata a Torino e trasmessa inizialmente su Rai Tre [fig. 1], e Bella da morire [fig. 2], ambientata nell’immaginaria località di Lagonero (Rai Uno).

Non uccidere, interpretata da Miriam Leone nei panni del commissario Valeria Ferro, può essere considerato ‘matrice’ delle successive innovazioni di Rai fiction, e risulta ancora oggi la sperimentazione più radicale. Non premiata dagli ascolti in Italia, la serie ha tuttavia circolato molto bene all’estero – in Francia (Squadra criminale), Germania (Die Toten von Turin), e sulla piattaforma Walter presents (Thou Shalt Not Kill). Nelle interviste e nei materiali di backstage (disponibili su RaiPlay), gli attori e la troupe si riferiscono esplicitamente allo stile visivo del Nordic Noir, definendolo come il modello più influente per una serialità europea di qualità, e alle relazioni con la produzione letteraria nordica e con i suoi modelli di donne forti e complesse nel ruolo di investigatrici.

Cinque anni dopo, la miniserie Bella da morire può essere considerata una ‘traduzione’ più elaborata delle caratteristiche del Nordic Noir sul territorio italiano, specialmente a due livelli. Sul piano del casting, la scelta di Cristiana Capotondi (nota al grande pubblico per i suoi ruoli di romantica ragazza della porta accanto nei film per adolescenti) nel ruolo della protagonista contribuisce a smussare i toni più aspri e cupi dell’ispettrice Eva Cantini; a livello di location, l’iniziale ambientazione lagunare nel nord Italia, scura e piovosa, immaginata in fase di sviluppo dallo sceneggiatore Filippo Gravino, viene successivamente sostituita dal lago di Bracciano e dal lago Albano, più vicini alla capitale e più mediterranei, seppure lo stile visivo del regista Andrea Molaioli riesca a preservare una connotazione più nordica.

Prima di Bella da morire, anche il broadcaster commerciale aveva contribuito al trend del crime al femminile con la miniserie Il processo [fig. 3], poco premiata dagli ascolti su Canale 5 ma più fortunata nella successiva distribuzione on demand (Netflix). Anch’essa ambientata in location meno consuete (Mantova) e meno direttamente assimilabili ai più classici scenari mediterranei, la serie vede nei panni del pubblico ministero Elena Guerra l’attrice Vittoria Puccini, anticipando di fatto la strategia del ruolo off type teso ad addolcire e ‘addomesticare’ i tratti meno empatici e più spigolosi del personaggio.

Infine, la stessa strategia è stata ripresa da Sky che, dopo l’esperienza seriale pionieristica di Quo vadis, baby? (2008) [fig. 4], è ritornata su narrazioni poliziesche al femminile con Petra [fig. 5], ambientata a Genova e interpretata da Paola Cortellesi. Amata dal grande pubblico per i suoi ruoli brillanti nella commedia, Cortellesi affronta la sua prima prova in una serie crime nei panni dell’ispettrice Petra Delicato (creata dalla scrittrice Alicia Giménez-Bartlett), un personaggio complesso, fuori dal comune, pieno di contraddizioni, come espresso dal suo nome ossimorico, che evoca sia la durezza della pietra (Petra) che la morbidezza dei sentimenti e delle emozioni (Delicato).

È interessante rilevare come nel press book (per gentile concessione di Cattleya) Sky rivendichi ed enfatizzi la centralità del femminile nell’intera operazione produttiva, a cui viene ricondotta anche la città di Genova:

 

Petra Delicato, eroina anticonformista.
Paola Cortellesi, straordinaria interprete.
Maria Sole Tognazzi, l’intelligenza in regia.
Alicia Giménez-Bartlett, l’ispiratrice bestseller.
Quattro donne, quattro romanzi, quattro puntate, una nuova serie: Petra.
E mettiamoci poi Genova: città bellissima e difficile, quasi una di quelle grandi dive teatrali che torna all’improvviso in un ruolo struggente.
Le donne al centro ma per concatenazione naturale: prendi un’eroina straordinaria dai romanzi di un’autrice capace di unire humor e suspense, la abbini allo straripante talento di un’attrice che non finisce mai di sorprendere, e affidi il tutto a una regista con il gusto e la sensibilità giusti per coniugare giallo anticonvenzionale, osservazione sociale, ironia contemporanea (Nils Hartmann, Senior Director Original Productions, Sky Italia).
 

Valeria, Eva, Elena, Petra. Ma anche, limitando lo sguardo al solo contesto italiano, Giorgia Cantini, Alice Allevi [fig. 6], Imma Tataranni [fig. 7], Lolita Lobosco [fig. 8]. Come affermato anche da Maria Sole Tognazzi, regista di Petra, il cambiamento nella rappresentazione delle figure femminili nei media audiovisivi è stato promosso e diffuso dalla serialità televisiva, soprattutto di genere crime, che ha aperto alla rappresentazione di protagoniste libere, politicamente scorrette, anticonvenzionali. Il racconto giallo e crime si conferma dunque un terreno fertilissimo e un punto di vista privilegiato da cui indagare, in un’ottica sia nazionale che transnazionale, il ruolo decisivo della cultura popolare nei processi di ridefinizione e rinegoziazione delle identità di genere e delle loro rappresentazioni, tanto nel contesto sociale quanto nelle narrazioni che gli danno forma.

 

Bibliografia

M. Buonanno, La fiction italiana. Narrazioni televisive e identità nazionale, Roma-Bari, Laterza, 2012.

M. E. D’Amelio, V. Re, ‘Neither voiceless nor unbelievable: Women detectives & rape culture in contemporary Italian TV’, MAI: Feminism & Visual Culture, 7, 2021 <https://maifeminism.com/neither-voiceless-nor-unbelievable-women-detectives-rape-culture-in-italian-tv/> [accessed 1 October 2021].

L. Dresner, The Female Investigator in Literature, Film and Popular Culture, Jefferson, McFarland, 2007.

P. Gates, Detecting Women: Gender and the Hollywood Detective Film, Albany, State University of New York, 2011.

M. Hoffman, Gender and Representation in British ‘Golden Age’ Crime Fiction, London, Palgrave Macmillan, 2016.

P. D. James, Un lavoro inadatto a una donna [1972], Milano, Mondadori, 1990.

M. Jiménez Pumares, Female audiovisual professionals in European TV fiction production, European Audiovisual Observatory, 2021 <https://rm.coe.int/female-audiovisual-professionals-july-2021/1680a38bd0> [accessed 1 October 2021].

K. Klein, The Woman Detective: Gender & Genre, Urbana and Chicago, University of Illinois Press, 1995.

L. Mizejewski, Hardboiled & High Heeled: The Woman Detective in Popular Culture, New York and London, Routledge, 2004.

S. Turnbull, Crime. Storia, miti e personaggi delle serie TV più popolari, Roma, Minimum Fax, 2019.

 

*L’articolo è stato interamente ideato e discusso in stretta collaborazione dalle autrici, che hanno contribuito in egual misura alla stesura materiale.

 


1 Cfr. [accessed 1 October 2021].