1. Introduzione

«Nonostante la percezione diffusa che il crime drama sia un genere intrinsecamente ‘maschile’, le donne vi hanno giocato un ruolo fondamentale fin dall’inizio, non soltanto nella veste di vittime indifese o femme fatale doppiogiochiste, ma anche in qualità di personaggi sempre più risolutivi nell’ambito delle indagini, nonché come percentuale del pubblico televisivo in costante aumento dagli anni Cinquanta a oggi». Inoltre, «la rappresentazione della donna nel crime drama ne [ha] testimoniato il mutamento del ruolo sociale nel corso degli anni, alimentando il dibattito sia sulla stampa di massa che nel campo dei feminist media studies» (Turnbull 2019, p. 247).

Per quanto l’indagine di Turnbull sulla presenza della donna nella serialità televisiva di genere crime coniughi virtuosamente le due prospettive «behind the camera» e «on-screen», e analizzi nel dettaglio la presenza femminile in ruoli produttivi e creativi, tale analisi resta circoscritta all’area anglofona (in particolare USA e UK) con una breve incursione in territorio nordico, per esaminare i celeberrimi ruoli di Sarah Lund (The Killing, 2007-2012) e Saga Norén (The Bridge, 2011-2018). Per l’Italia, anche nelle sue relazioni con altre esperienze produttive e narrative che si sviluppano a livello europeo, una indagine di questo tipo sembra ancora mancare del tutto, e solo di recente è stata mappata la presenza femminile nella produzione di fiction televisiva a livello europeo (Jiménez Pumares 2021).

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In un contributo del 2014, Dana Renga ha rintracciato nel cinema italiano post-Duemila un incremento dei film con protagoniste giovani e giovanissime, sia nel filone del teen movie, sia nel cinema d’autore, o meglio delle autrici (come Costanza Quatriglio, Alice Rohrwacher, Susanna Nicchiarelli). Un discorso simile si applica anche alle serie televisive italiane, dove negli ultimi anni è aumentato il numero di prodotti che muovono le ragazze al centro della narrazione. L’amica geniale, best-seller letterario adattato in serie televisiva, è forse il prodotto culturale italiano che più fruttuosamente ha azzeccato la congiunzione tra girlhood, specificità nazionale e storia sociale: nonostante i romanzi – e di conseguenza i prossimi adattamenti – attraversino molti decenni e fasi della vita delle protagoniste Lenù e Lila, le prime due stagioni sono inevitabilmente centrate sull’amicizia totalizzante tra le loro versioni giovanissime [fig. 1], rendendo L’amica geniale una delle rappresentazioni più complesse della crescita e della connessione tra ragazze viste sul piccolo schermo. Tuttavia, la serie rimane un prodotto atipico: per la sua origine letteraria da un lato, e per la sua storia produttiva e distributiva dall’altro (co-produzione Rai-HBO andata in onda sui rispettivi canali), è evidentemente indirizzata a una audience transnazionale e trasversale (Bisoni e Farinacci 2020), che comprende tanto il pubblico generalista quanto quello più di nicchia attratto dalla componente autoriale, trasferita dai libri (Elena Ferrante) alla trasposizione (la regia di Saverio Costanzo con alcune incursioni di Alice Rohrwacher).

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