4.6. Una telenovela in cucina: genealogie di spettatrici in Janethe Virgin

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  • [Smarginature] «Ho ucciso l'angelo del focolare». Lo spazio domestico e la libertà ritrovata →
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Sin dalle prime sequenze del pilot, la serie Jane the Virgin (Jennie Snyder Urman, The CW 2014-2019) vede la sua protagonista nella cucina della casa di Miami, che divide con la madre nubile e la nonna venezuelana, intenta a guardare con le altre donne della sua famiglia un episodio di una fittizia telenovela ispanofona, dedicata al pubblico latinex negli Stati Uniti. In modo arguto e ricco di sfumature, la serie utilizza la pratica di spettatorialità condivisa fra le tre donne e il loro diverso modo di reagire ai generi del romance (affettuosamente parodiati nella messa in scena) per delineare genealogie culturali e sentimentali e la produzione di un discorso femminista intersezionale in seno a questa famiglia. Si sviluppa così il complesso rapporto fra generazioni e rispettivi posizionamenti culturali, fra modi narrativi diversificati a cui ispirano la propria esistenza, e fra configurazioni della soggettività. Il saggio affronta innanzitutto il modo in cui la memoria – personale e collettiva – venga messa in scena da Jane the Virgin come strumento di posizionamento rispetto all’essere genitori o figliə, nella sua qualità di atto condiviso, narrativo ed emotivo. E va a sottolineare come la serie proponga questa esperienza in modo simile a quella del confronto con il racconto melodrammatico delle telenovelas, secondo il modo in cui è stato studiato dalle teorie femministe sin dagli anni ’80. La spettatorialità domestica condivisa diviene dunque pratica di messa in scena che permette la produzione di una complessità soggettiva e narrativa, una diversificazione e una molteplicità che coinvolgono lə personaggə così come gli spazi che possono chiamare ‘casa’.

From its opening scenes, the TV series Jane the Virgin (Jennie Snyder Urman, The CW 2014-2019) shows its main character in the kitchen of the Miami house she shares with her single mom and the Venezuelan abuela. The Villanueva women are watching together an episode from the fictitious Hispanic telenovela for the Latinx audience in the US. The show uses the representation of women’s spectatorship and their various reactions to romance to produce cultural and sentimental genealogies and create an intersectional feminist discourse in the Villanueva family. It also proposes a loving and pointed parody of telenovelas and develops a complex intergenerational network. All the characters have a mobile but conscious cultural location, and all face multiple narrative models for their subjectivity. The essay addresses how personal and collective memories are represented in Jane the Virgin as a tool to locate the characters regarding the relationship between parents and children. Memory is, more and foremost, a shared act from a narrative and emotional perspective. Therefore, the series represents memories as an experience that has very much in common with the melodramatic imaginary of telenovelas – according to how melodrama has been studied by feminist theory since the 1980s. Domestic and shared spectatorship is a practice that represents and produces the complexity of subjects and narrative, creating diversification and a multiplicity for both the characters and the spaces they can call ‘home’.

Una nonna, una madre, una figlia: tre generazioni di donne, appartenenti alla stessa famiglia ma di nazionalità diverse, discendenti le une dalle altre, sedute assieme, spettatrici di un avvincente racconto. Potrei stare descrivendo una variante della famosa fotografia Por um fio di Anna Maria Maiolino, scattata nel 1976, in cui la fotografa italiana si ritrae al centro, fra la madre ecuadoregna e la figlia brasiliana, mentre un filo le tiene legate per la bocca. Potrei stare anche descrivendo – questione della nazionalità a parte – un pomeriggio qualunque in casa mia, fra il 1982 e il 2000: io, mia madre e mia nonna sedute nella cucina-soggiorno, con la televisione accesa su qualche melodramma hollywoodiano. Potrei stare raccontando un momento in una miriade di saghe familiari femministe, e in un certo senso lo è: si tratta della sequenza iniziale di Jane the Virgin [fig. 1], serie creata da Jennie Snyder Urman per il canale statunitense The CW, sulla base della telenovela venezuelana Juana la virgen (Perla Farías, RCTV 2002). I 100 episodi che la compongono sono un viaggio che, fra le altre cose, narra il passaggio dell’eroina eponima, Jane Gloriana Villanueva, da spettatrice ad autrice, grazie al suo essere appunto anche protagonista della telenovela stessa.

 

  1. Memorie e riscritture

Non è un caso né un vezzo che io mi sia confrontata con la mia memoria nel momento stesso in cui ho iniziato a guardare Jane the Virgin: è il racconto stesso a mettere continuamente in discussione i modelli di produzione della soggettività attraverso la memoria personale, nonché la configurazione di genealogie femminili – più o meno risolte – tramite la condivisione e la trasmissione della memoria familiare. L’abilità dell’autrice e dellə suə collaboratorə sta proprio nel creare un intreccio costante fra le memorie dellə personaggə, che risuonano potenzialmente con quelle dellə spettatorə, producendo significati e modelli di interpretazione delle esperienze condivise.

Come scrive Annette Kuhn (2002) le memorie vanno oltre la soggettività che le esprime, espandendosi in una rete di significati che rendono possibile «to explore connections between ‘public’ historical events, structures of feeling, family dramas, relations of class, national identity and gender, and ‘personal’ memory» (p. 5). La memoria è perciò l’elemento che più di tutti definisce l’intreccio fra dimensione collettiva e privata, e che permette di esplorarne gli snodi, i punti di passaggio, ma anche le differenze e le diverse esperienze. Nel secondo capitolo di Jane the Virgin, ad esempio, assistiamo allo stesso evento – un momento imbarazzante durante la quinceañera di Jane [fig. 2] – attraverso il ricordo della protagonista e della madre Xiomara. Se Jane ricorda Xo iniziare a ballare esibendosi come un momento di eccesso ed egocentrismo da parte di una madre irrefrenabile ed esibizionista, Xo sa di averlo fatto perché Jane non si accorgesse che il ragazzo che le piaceva stava baciando un’altra ragazzina. Il modo in cui il ricordo è costruito determina una differenza sostanziale, creando un discrimine mobile fra ‘cattiva madre/figlia’ e ‘brava madre/figlia’, punto di articolazione della serie e continuamente messo in discussione.

 

  1. Genitorialità e maternità

La mobilità e molteplicità delle possibilità genitoriali e filiali è altra questione su cui Jane the Virgin cerca attivamente e in modo complesso di interpellare lə spettatricə, attivando forme di identificazione, confronto, relazionalità articolate. Innanzitutto, è importante sottolineare come sia la posizione genitoriale che quella filiale in Jane the Virgin non siano mai incastonate nel binarismo di genere, anzi: pur in assenza di personaggə trans* o figure esplicitamente non binarie, la serie non vuole aderire al meccanismo postfemminista di certa commedia romantica che vede un’opposizione dialettica insanabile fra maschile e femminile, né raccontare le esperienze solo da un punto di vista. La serie si interroga invece spesso sul ruolo che ciascuno dei membri della famiglia allargata ha nell’educazione e nella cura dellə bambinə, dando vita a reti di relazione e modelli di identificazione di grande complessità [fig. 3].

In secondo luogo, è interessante notare come questo sia il meccanismo che ha portato un’altra studiosa a partire da sé e dalla propria esperienza per confrontarsi con Jane the Virgin: è il caso di Corinn Columpar e del suo saggio Confessions of an Aca-Fan Mom (2022), in cui l’autrice sottolinea come il fulcro della spettatorialità di soap opera e telenovelas stia proprio nel costruire rapporti personali con il testo e con le reti di personaggə su cui basano le loro narrazioni. In particolare, ad essere evocata è proprio la costruzione di comunità spettatoriali intergenerazionali che vanno a rispecchiare quelle mostrate sullo schermo attraverso la forma del ‘materno’ come dinamica di relazione privilegiata. Scrive Columpar, ragionando sulla serie attraverso gli strumenti utilizzati da Teresa de Lauretis (1987) per discutere del film Jeanne Dielman, 23, quai du commerce, 1080 Bruxelles (Chantal Akerman, 1975) e del cinema femminista in generale, «By defining all points of identification as maternal, matriarchal, or motherly, Jane the Virgin addresses its spectator as a mother» (Perlego online ed., par. ‘The Logic of Motherhood in Jane the Virgin’).

Ed è su questo ragionare sul ‘materno’ e sulla cura che tradizionalmente questo modello comporta nei confronti di altre persone che la serie si mostra ancora di più nel suo essere capace di superare le dicotomie tradizionali fra madre (o figlia) buona e cattiva. In particolare, Jane the Virgin mette in scena modi diversi di essere persone materne, non tutti necessariamente improntati alla cura dell’altra persona in senso più ovvio, ma comunque esistenti nella complessità delle soggettività umane. Anche in questo senso, lo spazio domestico e familiare (sia concreto che metaforico) viene ripetutamente riscritto e ridisegnato nel corso dei 100 episodi, costruendo reti di relazione di grande ampiezza e complessità. La capacità del modo melodrammatico di intervenire nella riflessione su famiglia e domesticità, caricandole di potenziale simbolico particolarmente rilevante (Gledhill 1987, p. 21), permette a Jane the Virgin di riscriverne le strutture, consentendo peraltro allə protagonistə di chiamare ‘casa’ edifici diversi, in molti dei quali campeggia uno schermo televisivo fronteggiato da un comodo divano, spesso acceso persino quando non viene guardato.

Grazie a tale «pluralità decentrata» di soggettività materne raccontate da Jane the Virgin, il legame madre-figlia viene raccontato ben oltre il martirio e il sacrificio della tradizione (Williams 1984), senza per questo dimenticarne i risvolti più problematici e a volte dolorosi. Anzi, anche questo elemento diviene parte della qualità profondamente melodrammatica della serie, caratterizzata da pathos e intensità – non solo in senso affettivo, ma anche estetico ed epistemologico.

 

  1. Telenovelas, melodramma e femminismi

Il linguaggio del melodramma diviene strumento di articolazione della memoria da un flusso narrativo consequenziale a un intricato pattern fatto di «situazioni», secondo la proposta di Lea Jacobs (1993). Si tratta di scene contraddistinte da un effetto emotivo, sensoriale, psichico di particolare impatto, che destabilizzano lə personaggə coinvoltə ponendolə a confronto con una improvvisa trasformazione dei parametri tramite cui leggevano la loro esperienza fino ad allora. La differenza rispetto alla scrittura della tragedia sta proprio nella misura in cui la dimensione individuale, privata, familiare interviene nella reazione dellə personaggə all’esperienza sensazionale, e quanto invece questə non sottomettano le loro azioni all’etica e alla morale collettivamente riconosciute come dominanti nella società che abitano. Nel contesto di Jane the Virgin, il desiderio contrastato e l’esperienza del dolore sono determinati sia da fattori collettivi e sociali (tutto il pathos derivante dal fatto che la nonna Alma sia una migrante senza documenti, ad esempio) che dal conflitto con i desideri di altrə personaggə (le numerose linee sentimentali e romantiche). Pubblico e privato, personale e politico si intrecciano ancora una volta, nella migliore tradizione dei femminismi.

Perché Jane the Virgin, nonostante il titolo e lo spunto narrativo che ammiccano alla repressione di stampo cattolico (una giovane che ha deciso di avere rapporti sessuali solo dopo il matrimonio, per preservare la sua ‘verginità’, ma che viene accidentalmente inseminata artificialmente dalla sua ginecologa e deve confrontarsi con questa gravidanza indesiderata), è un prodotto smaccatamente e fieramente femminista. Ad esempio propone, attraverso la relatrice in scrittura creativa della protagonista, una voce esplicitamente femminista che chiede a Jane di scrivere solo romanzi che passino il Bechdel test [fig. 4], dando vita a un episodio in cui la voce narrante sottopone al test ogni scena. Ma la serie è femminista anche per il modo con cui si confronta con la tradizione delle telenovelas e delle soap opera come fulcri della spettatorialità femminile. Le teorie femministe si sono spesso interrogate sul modo in cui la soggettività di genere è stata configurata nel corso dei decenni dai prodotti seriali di intrattenimento popolare, e su come attivino un piacere della fruizione mutevole e stratificato. Oltre a notare i modelli di comportamento relativamente stereotipati messi in scena da questi prodotti, gli studi hanno evidenziato anche come soap opera e telenovelas siano fonte di potenziale impoteramento nell’assunzione della consapevolezza delle proprie emozioni e identificazioni.

Fra le altre, Tania Modleski (2008) discute proprio la complessità culturale dei testi popolari diretti a un pubblico identificato come ‘femminile’. Innanzitutto, reclama la forte componente utopica delle narrazioni popolari, appagamento di fantasie articolate ben oltre le dialettiche banalizzanti di maschile/femminile o attivo/passivo; in secondo luogo, esplora proprio gli aspetti più contraddittori e le molteplicità soggettive che la fruizione di questi testi richiede. Attraverso il ricorso alle categorie psicoanalitiche, Modleski si immerge nella necessaria ‘dispersione’ portata dalla relazione con questi prodotti, senza tralasciare però l’investimento in energia emozionale che viene dalla loro fruizione.

A tal proposito, facciamo ricorso alla discussione dellə spettatorə «esuberante» proposta da Mariagrazia Fanchi (2013): la studiosa ribadisce proprio la ricchezza teorica degli studi sulle soap opera che sono andati a scoprire quell’«insieme di competenze che consentono di leggere i rapporti interpersonali in chiave emozionale, prima che razionale, ignorando i buchi di sceneggiatura e le contraddizioni tipici del genere e garantendo al pubblico femminile un’esperienza pienamente gratificante» (949/3466). Nel caso specifico di Jane the Virgin, però, si crea una doppia articolazione del modello della narrazione melodrammatica qui evocato: innanzitutto, il testo come detto è a sua volta competente e consapevole di derivare da una telenovela, come dimostrano i frequenti interventi della voce narrante [fig. 5]. In secondo luogo, alla mancanza di continuità e causalità si accosta una organicità complessiva dellə personaggə, scrittə per crescere e cambiare, e non soltanto subire i drammi a cui sono sottopostə. Questo è reso possibile proprio dal grande impoteramento ottenuto dal reclamare un proprio linguaggio da parte della protagonistə, che diviene strumento di interpretazione delle esperienze, continua negoziazione fra le dimensioni dell’immaginario e l’aspra concretezza della vita quotidiana.

 

  1. Spettatorialità, identificazione, interpellazione

È proprio il rapporto con i modelli narrativi della telenovela e del realismo magico tipico della letteratura latinoamericana tanto amata dalla protagonista (Isabelle Allende è stata una delle tante guest star della serie, interpretando sé stessa) che permette di costruire soggettività complesse e modelli di comportamento elaborati, come sottolineato da Paola Brembilla (2022). La studiosa nota infatti (pp. 82-83) come la serie proponga un punto di sospensione fra «ordinario» e «straordinario», che permette di strutturare le esperienze dellə personaggə in una doppia dinamica: da un lato permette allə spettatorə di identificarsi e condividere emozioni, desideri, sensazioni in modo profondo; dall’altro, di godere dei colpi di scena e di soluzioni ‘impossibili’, del tutto appartenenti alla sfera dell’immaginario, come di rigore nelle commedie romantiche e nelle telenovelas.

Ad esempio, i passaggi del triangolo amoroso di Jane con Michael e Rafael sono di volta in volta segnati dall’intervento del realismo magico, con la narrazione che ci mostra il cuore della persona innamorata illuminarsi e la coppia del momento baciarsi in una romantica ‘nevicata’ (di calcinacci, durante il primo bacio fra Jane e Michael; o più appropriati petali di fiori. [fig. 6]. Questo godimento dell’esperienza straordinaria va dunque a rafforzare il legame dellə spettatorə con altre emozioni messe in scena in modo più crudo, come la sofferenza di Jane ogni volta che invece il suo cuore si spezza; ed è proprio la capacità di scrivere gli aspetti più quotidiani dell’emozione che permette allə spettatorə di relazionarsi al modo di vivere il dolore, la rabbia, o le piccole gioie ordinarie di una vita che si svolge davanti ai nostri occhi. Come sottolineato da Emily Nussbaum (2018):

 

It is a deeply heartfelt production, sweet without being saccharine, as well as sophisticated about and truly interested in all the varieties of love, from familial to carnal. […] Although it employs all the tools of high melodrama ̶ evil twins, gaslighting ̶ it doesn’t have a camp sensibility. Instead, it ballasts the most outrageous twists with realistic emotional responses.

 

Questa capacità di interpellare in modo radicale lə propriə spettatorə, senza considerarlə come una couch potato ma mostrandone l’agentività oltre alla complessità emotivo-affettiva è uno degli strumenti che Jane the Virgin mette in campo per configurare la soggettività dellə suə personaggə. Soprattutto, questo è lo strumento per mettere in scena donne che usano lo spazio domestico come rifugio senza esserne mai in alcun modo intrappolate, così come usano le telenovelas come strumento di interpretazione dell’esperienza senza certo limitarsi ad esse.

Ad esempio, quando all’inizio del capitolo 72 una giovane Jane guardando una telenovela si interroga su come debba essere un bacio romantico e sensuale, la nonna Alba e Xo ne danno due interpretazioni radicalmente diverse: Alba sottolinea subito come dovrà avere almeno 19 anni, come le labbra si sfioreranno con delicatezza, ma la sensazione sarà esattamente quella di totale appagamento e gioia messa in scena da Las Rutas De Pasion. Appena Alba si sarà allontanata, Xo spiegherà a Jane come nella vita reale un bacio non ha molto a che vedere con la messa in scena di una telenovela, e nel descrivere gli aspetti fisici includerà persone di entrambi i generi come possibili partner di quel futuro bacio. Questo momento verrà poi ripetutamente riscritto nel corso di Jane the Virgin, con molte persone diverse trascinate da quella che viene codificata dalla camera come la stessa passione romantica che aveva colto Teresa e Ramiro nella telenovela guardata dalle donne Villanueva.

Ma il momento in cui viene reclamato in modo esplicito il valore culturale delle telenovelas e l’impegno spettatoriale che ne deriva è nel famoso capitolo 80, in cui Xiomara contribuisce ad educare alla telenovela la famosa attrice statunitense River Fields. Xo è a questo punto sposata con il padre biologico di Jane, Rogelio de la Vega, nel frattempo divenuto divo globale per i suoi ruoli nelle telenovelas ispanofone. Il sogno di Rogelio è adattare per gli Stati Uniti il suo cavallo di battaglia, The Passions of Santos, trasformato in The Passions of Steve and Brenda e poi nella serie sci-fi con linee temporali multiple This is Mars. La famosa attrice River Fields, co-produttrice e co-protagonista con Rogelio, cerca inizialmente di trasformare d’accordo con il network la struttura della telenovela in un quality drama da prima serata: nonostante Rogelio cerchi di difendere la caratteristica delle telenovelas di essere «a pornography of emotions», River le liquida come «cheesy». Le telenovelas infatti non sono soltanto costituite dai loro copioni, dai continui plot twist e dai tropi quali l’amnesia e l’agnizione che permette il ricongiungimento di genitori e figliə: ciò che le caratterizza è il profondo rapporto emozionale e sentimentale con lə propriə spettatorə, come dimostrato dal finale dell’episodio.

Negli ultimi 7 minuti River si reca a casa di Rogelio, dove trova Xo che guarda Amor de dos Caras mangiando dei brownie alla marijuana, per contrastare gli effetti collaterali delle terapie per il cancro al seno da cui è affetta. Senza conoscerne la natura, River mangia un pezzo di brownie, cosa che la costringe a rimanere con Xo, che la spinge perciò a guardare l’episodio con lei. Le frasi di spiegazione di Xo però vengono montate con sequenze che riguardano lə personaggə di Jane the Virgin stesso, giocando ancora una volta con la natura fortemente metatestuale del prodotto. Quando parla della trama criminale che coinvolge una gemella cattiva e una buona, lo ‘schermo’ rimanda alla storia di Petra; il ponte sonoro del commento di River riporta poi alle due spettatrici, finché non passa alla «main couple» – in questo momento, Jane e Rafael – e l’episodio si conclude con il «big sweeping kiss» che sigilla la felicità della protagonista. In quel momento rientra Rogelio, e una River intossicata dalle emozioni (e dalla droga) dichiara: «Oh Rogelio, I love telenovelas so much! They are everything. They surprise you, and move you, and make you feel alive! So… Let’s do Steve & Brenda your way». Ovviamente però l’episodio non è ancora finito: Rogelio, unitosi a loro sul divano [fig. 7] spiega a River come la musica drammatica faccia strada al «classic Friday night cliffhanger», cosa che puntualmente succede anche a Jane e Rafael, mettendo a repentaglio il loro momento romantico.

In modo didascalico, l’esperienza spettatoriale modifica profondamente il modo di agire di una dellə personaggə, trasformando il suo modo di interpretare l’esperienza e di conseguenza il suo comportamento nel quotidiano. Attraverso le pratiche spettatoriali, viene reclamato il diritto di agire sul proprio mondo, indirizzando il proprio potere e accettando di cederlo laddove necessario, oppure trasformando il modo in cui ci si relaziona alla quotidianità. Questo è anche il percorso generale di Jane: grazie alle telenovelas di cui è spettatrice in moltissime aperture di episodio, ma anche ai tanti altri tipi di racconti con cui si confronta (la letteratura, le storie quotidiane di sua madre, l’epica familiare proposta da Alba, e così via), viene messa in grado di prendere in mano la propria narrazione, o viene messo in scena il suo modo di affrontare gli aspetti più drammatici dell’esistenza in tutte quelle situazioni in cui non si ha vero potere. Anche in questo caso, il gesto narrativo è ciò che le permetterà di non sentirsi cancellata dalla propria storia, così da essere definita – a partire dalla terza stagione – esplicitamente in molti modi diversi che non siano soltanto «the virgin» [fig. 8]. È insomma l’essere una spettatrice sempre coinvolta nelle sue emozioni che permette a Jane di diventare autrice e interpellare efficacemente il suo pubblico, ed essere anche moltissime altre cose. Per ciascunə personaggiə di Jane the Virgin viene messa in scena quella complessità narrativa che tiene assieme l’asprezza delle asimmetrie del potere con la molteplicità delle possibilità, le sfumature della memoria personale e l’impoteramento che viene dal fissarla in racconto, fruito collettivamente.

 

Bibliografia

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