2.1. L’inutilità dell’arte

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  • Un istinto da rabdomante. Elio Vittorini e le arti visive →

 

Nel rispondere a un’intervista sul bollettino Bompiani Pesci rossi dell’aprile1946, Vittorini esprime la convinzione che «tutto della storia sociale sia implicito nella storia dell’arte», ma che, viceversa, «non […] tutto della storia dell’arte sia implicito nella storia sociale». L’assunto può sembrare paradossale, eppure risponde a un’idea precisa di ciò che è trasmesso dalle arti figurative: «nell’arte interviene qualcosa che non è società», prosegue, «e che la società, fin’ora, non si fa scrupolo di escludere dalla propria storia» (Vittorini 2008, p. 289). Nella polemica contenuta in queste parole, Vittorini sta portando avanti una propria battaglia contro la divaricazione della cultura dalla società che, in controluce, non può non lasciare intravedere il programma del progetto Politecnico. Programma che, in quel giro di mesi, sta subendo trasformazioni tanto radicali da indurre a modificare persino la periodicità della rivista, da settimanale a mensile. In un frangente cruciale per la vicenda del periodico, affermare – come fa Vittorini – che la società lascia deliberatamente fuori dal proprio orizzonte «qualcosa di molto umano» (ibidem) equivale perciò a una dichiarazione di fallimento: la società, che si cercava di rinnovare con una «nuova cultura», pare volerne fare con ostinazione a meno.

Quasi per reazione, l’attenzione di Vittorini per le arti è ora prioritaria rispetto ad altre questioni. L’affermazione è esplicita nella nota ‘Ai lettori’ nella terza pagina di Politecnico n. 29, il primo fascicolo mensile, pubblicato nel maggio del ’46: «È infatti perché il nostro contributo alla preparazione di una nuova cultura possa riuscire più meditato, più paziente ed esteso, che la nostra attenzione e la nostra indagine si attarderanno, d’ora in poi, anche su problemi situati, rispetto ai problemi essenziali ed urgenti, in una posizione accessoria e marginale» (Vittorini 2008, p. 291). ‘Accessorio’ e ‘marginale’ sono aggettivi dalla connotazione in apparenza negativa, ma nella prospettiva di Vittorini vanno a identificare quel «qualcosa di molto umano» che è caratteristico dell’arte, da recuperare in una società appiattita su questioni contingenti, legate alla cronaca. Il passaggio dal settimanale al mensile non è indolore e, come traspare anche dall’avviso ‘Ai lettori’, implica una revisione della cultura intesa al contempo come ricerca (o ‘creazione’, secondo il lessico vittoriniano) e come divulgazione, in un equilibrio troppo precario per essere destinato a durare.

La marginalizzazione dell’arte nella società diventa così il pretesto per veicolare la propria idea di cultura come «libera, aperta disposizione alla verità» (ibidem), a partire dalla scelta dei contributi nel primo fascicolo del mensile. Tra i collaboratori ricorrenti compare ora il nome di Alessandro Cruciani, che fa il suo esordio sulle pagine della rivista con un intervento su Gentile Bellini sopratitolato ‘La società nella pittura’, a indicare come la seconda sia o, meglio, debba tornare a essere una delle forme d’espressione privilegiate della prima, perché in grado di rappresentare in modo icastico e sintetico l’insieme dei valori di una data epoca [fig. 1]. «Nella pittura la società trova la sua storia», scrive Vittorini, «e non solo nella illustrazione che la pittura può darne, ma nell’umore che una pittura può avere e la concezione del mondo che può contenere» (Vittorini 2008, p. 290). Che il discorso sia centrale è testimoniato dal fatto che l’introduzione all’articolo di Cruciani viene inclusa nel 1957 in Diario in pubblico, pur con i tagli e le manipolazioni a cui sono sottoposti i testi accolti in tale sede (Vittorini 2016, p. 215).

Messa in questi termini, la questione si sposta dal ‘come’ Vittorini adopera le immagini nei suoi progetti editoriali (dai libri di figure creati per Bompiani ed Einaudi all’antologia Americana fino all’edizione illustrata di Conversazione in Sicilia del 1953, passando proprio dall’esperienza di Politecnico) al ‘perché’ sceglie di usarle. La pittura e, più in generale, le immagini sono infatti lo strumento più idoneo per affrontare le metamorfosi della società contemporanea. Più immediata della letteratura, l’arte coinvolge la dimensione dello sguardo ed è in grado di offrire un ritratto d’ambiente che accoglie mescolandoli – come nel caso di Gentile Bellini – senso del sacro e dimensione profana dell’esistenza [fig. 2]. Vengono così a essere compresi insieme aspetti in apparente contrasto tra loro, ma che fanno parte della medesima realtà: è la stessa logica alla quale obbedisce la scelta degli affreschi di Giotto per illustrare il Decameron curato da Giovanni Petronio e uscito nei Millenni nel 1949.

Società e pittura vanno dunque di pari passo e basta attendere pochi fascicoli di Politecnico perché Vittorini torni sull’argomento con forza maggiore. Nei nn. 33-34 del settembre-dicembre 1946 un nuovo articolo di Cruciani ha per titolo ‘Soggetto e società’ ed è una riflessione sul passaggio dalla pittura di soggetto alla pittura di genere. Vittorini non solo spende parecchie parole nella premessa per dichiarare che le idee di Cruciani sono in sintonia con quelle di Politecnico, ma compila persino le didascalie alle immagini, tutte sul tema dell’adorazione dei Magi [fig. 3], con quadri, tra gli altri, di Duccio di Buoninsegna, Taddeo Gaddi e Beato Angelico [fig. 4]. Che l’una (l’introduzione) e le altre (le didascalie) siano ugualmente importanti è testimoniato ancora una volta dal loro confluire in Diario in pubblico, dove il discorso è ricostruito in modo da mostrare «come questo “soggetto” sia stato trattato attraverso i secoli» e come «quanto più l’artista “crede in esso” tanto più egli riflette, nella rappresentazione di esso, la propria società e lo spirito del proprio tempo» (Vittorini 2008, p. 387; Vittorini 2016, p. 261).

I termini sono analoghi a quelli utilizzati alcuni mesi prima, ma assumono un significato ulteriore se si considera che nelle pagine dello stesso numero è accolta la lettera di Togliatti in polemica con il vittoriniano ‘Politica e cultura’ di Politecnico nn. 31-32. Tutti gli scritti del fascicolo dell’ultimo trimestre del ’46 concorrono così a dare l’impressione di assistere a una sorta di anticipazione della risposta prevista nel numero successivo, datato gennaio-marzo 1947, pochi mesi prima della chiusura, in dicembre, della rivista. In questa prospettiva si possono leggere, per esempio, l’articolo di Roger Garaudy intitolato ‘Non esiste un’estetica del Partito Comunista’ e la nota introduttiva siglata da Vittorini. «Nei riguardi dell’arte e della poesia», è scritto in quest’ultima, «si dovrebbe poter lavorare nel seno dei partiti marxisti: cercare di far leggere libri, guardare i quadri, ascoltar musica sempre di più per la elevazione di un livello culturale», perché quello delle «masse popolari» è tuttora «troppo basso in un idillico accordo con la più pigra e arretrata borghesia» (Vittorini 2008, pp. 390-391). La questione è politica: l’élite intellettuale deve lavorare per il popolo mettendo a sua disposizione risorse culturali. La letteratura, l’arte, la musica sono strumenti di riscatto sociale ed è questo il vero «compito rivoluzionario» secondo Vittorini, non «premere su Renato Guttuso, perché dipinga più in un senso e meno in un altro» (ibidem). Come non lo è fare pressione su Vittorini perché pubblichi, sulle pagine della propria rivista, un certo genere di letteratura anziché un altro, alcuni autori in luogo di altri.

È in gioco l’indipendenza dell’arte e della letteratura dalla politica: esse sono chiamate a essere espressione della società attuale, dei suoi valori e dei suoi miti; devono restituirne le metamorfosi e i cambiamenti che vanno producendosi nel tempo. Risponde a queste istanze la scultura di Marino Marini L’Arcangelo [fig. 5], scelta da Vittorini per intessere un ragionamento in Politecnico n. 35, lo stesso in cui afferma che la cultura non deve «suonare il piffero per la rivoluzione» (Vittorini 2008, p. 409). La statua di Marini diventa per lui l’emblema «immutabile» di «tutto quello che l’uomo è, con le sue forme che mutano, in un’epoca» e solo «il nome è l’unica cosa ch’essa non abbia di attuale, o di non reso attuale», in un attrito che non può non apparire provocatorio (Vittorini 2008, p. 431). Non a caso in Diario in pubblico queste pagine precedono gli stralci della lettera a Togliatti (Vittorini 2016, p. 267). Cambiano le formule adoperate, non la sostanza delle osservazioni: non si può pretendere che la pittura, la scultura, la musica o la letteratura facciano la rivoluzione con gli stessi mezzi della politica, cioè che facciano, in altre parole, propaganda.

L’arte «nasce non necessaria», sottolinea ancora Vittorini in ‘Nomi e statue’, «e nasce anonima, simbolica di anonimo, simbolica di uomini che non tendono a riconoscersi in un tipo, in un mito, in un nome» (Vittorini 2008, p. 432). Uomini fuori dagli schemi e fuori dalle ideologie. Uomini che credono che la cultura debba obbedire a un criterio di ‘inutilità’ per poter guardare non alla cronaca ma alla storia, per registrarne o persino anticiparne le trasformazioni, senza però perdere di vista quel «qualcosa di molto umano» che altrimenti, schiacciato ai margini della società, rischia di smarrirsi per sempre.

 

Bibliografia

V. Brigatti, Elio Vittorini. La ricerca di una poetica, Milano, Unicopli, 2018.

A. Cruciani, ‘Gentile Bellini’, Il Politecnico, 29, maggio 1946, pp. 32-33.

A. Cruciani, ‘Soggetto e società’, Il Politecnico, 33-34, settembre-dicembre 1946, pp. 71-75.

A. Cruciani, ‘Il paesaggio come genere’, Il Politecnico, 35, gennaio-marzo 1947, pp. 75-78.

A. Cruciani, ‘Il ritratto’, Il Politecnico, 36, settembre 1947, pp. 21-25.

G.C. Ferretti, L’editore Vittorini, Torino, Einaudi, 1992.

R. Garaudy, ‘Non esiste un’estetica del Partito Comunista’, Il Politecnico, 33-34, settembre-dicembre 1946, p. 79.

A. Panicali, Elio Vittorini. La narrativa, la saggistica, le traduzioni, le riviste, l’attività editoriale, Milano, Mursia, 1994.

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E. Vittorini, Letteratura arte società. Articoli e interventi 1938-1965, a cura di R. Rodondi, Torino, Einaudi, 2008, dove sono inclusi: ‘Rinnovare la cultura’, pp. 287-289 [Pesci rossi, XV, 4, aprile 1946, pp. 1, 3]; ‘Gentile Bellini’, pp. 290-291 [Il Politecnico, 29, 1° maggio 1946, p. 31]; ‘Ai lettori’, p. 291n [Il Politecnico, 29, 1° maggio 1946, p. 3]; ‘Dal soggetto al genere. Un esempio: l’adorazione dei Magi’, pp. 387-389 [Il Politecnico, 33-34, settembre-dicembre 1946, pp. 69-75]; ‘Non esiste un’estetica del Partito Comunista’, pp. 390-391 [Il Politecnico, 33-34, settembre-dicembre 1946, p. 79]; ‘Dal soggetto al genere: 2. Il paesaggio come genere’, pp. 428-429 [Il Politecnico, 35, gennaio-marzo 1947, p. 74]; ‘Nomi e statue’, pp. 430-432 [Il Politecnico, 35, gennaio-marzo 1947, p. 80].

E. Vittorini, Diario in pubblico [1957], a cura di F. Vittucci, con un testo di I. Calvino, Milano, Bompiani, 2016.

M. Zancan, Il progetto «Politecnico». Cronaca e strutture di una rivista, Venezia, Marsilio, 1984.