2.3. Anna Magnani e Giulietta Masina, la vecchia e la nuova generazione sul set

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Una foto in bianco e nero dell’archivio Getty immortala la ‘leonessa’ Anna Magnani che solleva il braccio della collega Giulietta Masina, sguardo fiero e fisso quello di Magnani, mentre Masina, in un nervoso sorriso che cela imbarazzo, rifugge lo sguardo diretto della collega, preferendo guardare verso il fuori campo. È il 1958, il set quello del film di Renato Castellani Nella città l’inferno, che vede le due attrici protagoniste nei ruoli di Egle (Anna Magnani) e di Lina (Giulietta Masina) e che racconta il dramma ambientato nel carcere femminile di via delle Mantellate. E l’inferno su quel set parve scatenarsi per davvero, a causa dei dissapori tra le due prime donne [fig. 1].

Secondo la testimonianza di Masina, fu lei stessa a segnalare Magnani per il ruolo di Egle, mossa che, di fatto, la adombrerà a causa del temperamento di quest’ultima che ‘divorava’ il set con una recitazione coinvolgente e la capacità di rendere ‘vivi’ i personaggi:

Io dovevo essere la protagonista, ma quando Anna entrò nel film pensai che la sceneggiatura fosse stata cambiata imperniandosi su due personaggi principali, il mio e il suo. Alla fine fui quasi spazzata via: ridotte drasticamente le battute, cancellata quasi del tutto dal secondo tempo, estromessa da parte della vicenda. Quello non è un film di Castellani, è un film della Magnani.

Come rammenta la stessa Masina in più occasioni, le due attrici si erano incontrate negli Stati Uniti qualche anno addietro, Magnani stava girando La Rosa Tatuata (D. Mann, 1955), mentre Masina era lì per ritirare l’Oscar per La Strada (F. Fellini, 1954). In quell’occasione, pare un po’ per scherzo, Magnani suggerì a Masina di chiedere a Fellini di scrivere un film per loro, ma il progetto non si realizzò mai. È solo qualche anno dopo, quando Castellani propose a Masina di lavorare al nuovo progetto Nella città l’inferno che, ripensando a quell’incontro, fece il suo nome. Il film racconta la vicenda delle recluse di via delle Mantellate (riprendendo il testo scritto da Isa Mari nel 1953) e, per questo motivo, per esigenza del regista e della sceneggiatrice Suso Cecchi D’Amico, doveva essere interpretato da carcerate autentiche. Solo per i ruoli di Lina e di Egle la scelta era ricaduta su attrici professioniste. Dapprima per il ruolo di Egle si era pensato a Silvana Mangano ma, dato l’alto cachet richiesto dal marito Dino De Laurentis, l’idea sfumò.

Castellani riferendosi a Magnani disse che «era entrata nel film con la voracità di un leone» e che per lei sarebbero stati accorpati insieme più personaggi per farne uscire quello di Egle, ma che lui stesso ebbe non pochi problemi a gestire l’esuberanza dell’attrice. Sulla questione della scrittura e del conseguente ridimensionamento della figura di Giulietta Masina non è di poco conto il ruolo giocato da Suso Cecchi D’Amico, amica intima di Anna Magnani che con lei aveva già collaborato in diverse occasioni e che sul set fungerà anche da paciere, intervenendo più volte, affinché l’amica potesse recitare secondo i suoi canoni.

Anna Magnani era abituata a calarsi nei personaggi senza intromissioni esterne, come, invece, aveva tentato di fare il regista Renato Castellani, incontrando fin da subito una certa resistenza da parte dell’attrice. Il personaggio di Egle era stato cucito su misura per lei da Suso Cecchi D’Amico, che non solo era ricorsa a una gamma gestuale e posturale tipica dei personaggi di Magnani, ma aveva utilizzato anche lo stile delle sue battute: «Un personaggio che non amo non posso interpretarlo» soleva dire Magnani ed è per questo motivo che Egle risulta autentica, pronta a sciorinare frasi frutto dell’esperienza di vita e dell’arte dell’arrangiarsi, come quando in apertura del film si rivolge all’ingenua Lina confessando:

Io, eh, io la prima volta che sono venuta qua la guerra era finita da poco. Non te lo dico che robba era. Minorenni, politiche, mignotte, tutte insieme come un bel minestrone. Eh, ma a casa mia se stava peggio. Eh, chi l’aveva mai visto un letto tutto pe’ sé, da magna’ tutti i giorni. A me la voglia de sta’ meglio m’è venuta qua dentro, me devi crede’ […] ma perché qui (intendendo il carcere) non è casa de’ signori? Questa è casa del governo, è più signore de tutti, no? […] Magni, bevi, e non paghi le tasse.

In questo dialogo emerge la grande esperienza d’attrice di Magnani, in grado di padroneggiare il personaggio, di arricchirlo con una serie di sfumature e di accenti che la faranno predominare sulla scena. Se Anna Magnani, infatti, lascia emergere tutta la sua forza e veracità, Giulietta Masina, dal canto suo, dapprima ne subisce il fascino – dirà in un’intervista che ammirava Magnani per la sua capacità di essere un tutt’uno con lo schermo – per poi finire nettamente in un angolo quando, a circa mezz’ora dall’inizio del film, Lina ed Egle vengono separate in celle diverse. In una successiva intervista rilasciata dopo la morte di Magnani, ricorderà: «[…] aleggiava intorno a lei qualcosa di cupo al quale soccombevo […] è stata per me, fin dalla giovinezza, un gusto fisico… nel suo carattere, riscontravo un occulto richiamo, il punto d’incontro tra temperamenti affini».

Ed è ancora Masina a menzionare l’episodio che portò alla loro rottura sul set, mutando l’intesa che si era creata in dissapore e costringendole a recitare separatamente pur di concludere le riprese. «Mentre giravamo, L’Europeo pubblicò un articolo intitolato “Magnani e Masina sul set, la vecchia e la nuova generazione insieme”. Apriti cielo! Successe il finimondo. Anna s’infuriò come una belva. Mi accusava di aver ispirato quell’articolo. Non mi rivolgeva più la parola. Il set divenne un inferno» [fig. 2].

Tredici anni separavano anagraficamente le due attrici, troppi per Magnani che sembrava molto sensibile alla questione dell’‘età’. Già dai tempi di Roma città aperta (R. Rossellini, 1945) l’attrice aveva polemizzato sul fatto che nel cinema italiano mancavano totalmente ruoli femminili che ritraessero «una donna qualunque, che non sia bella, non sia giovane»; solo due anni dopo l’uscita de Nella città l’inferno, Magnani rifiuterà di interpretare La ciociara (Vittorio De Sica, 1960) per non dovere fare da madre a Sofia Loren (a cui in origine sarebbe spettato il ruolo della figlia adolescente), ribadendo ancora una volta di non essere intenzionata a cedere il testimone alla nuova generazione.

Ecco allora che Magnani utilizzò l’ira scaturita dall’alterco con Masina per conferire a Egle maggiore autenticità in uno dei passaggi finali del film, offuscando il personaggio di Lina e di fatto ‘sbranandola’, come ribadito da Masolino D’Amico. Giulietta Masina ricorda che, quando Lina torna in carcere non più come l’ingenua ragazza di servizio che era all’inizio, ma come una consumata donna di vizio che ha interiorizzato fin troppo bene la lezione della veterana Egle:

… c’era una scena in cui Anna doveva picchiarmi, per finta, ovviamente. Io indossavo un vestito nero, con una scollatura a forma di cuore. Anna dapprima mi schiaffeggia con violenza, poi afferra il mio vestito per la scollatura e me lo strappa di dosso fino a lasciarmi nuda. Perfino le recluse vere ne restarono allibite.

Anna Magnani, che nelle settimane precedenti aveva dato segni di poter fare esplodere il conflitto, come in effetti accadrà, tanto da costringere Castellani a ricorrere a continui campi e controcampi pur di non farle recitare insieme, quel giorno arrivò sul set di buonumore, senza lasciare presagire quanto di lì a poco sarebbe accaduto. La sequenza fu rigirata in seguito proprio per via di quel nudo imprevisto, il vestito da nero divenne color crema, come appare nella versione tuttora in circolazione, e le voci sulla presunta rivalità messe a tacere [fig. 3].

Per i giornali è il match Magnani/ Masina a dominare sullo schermo, ne parlerà Filippo Sacchi su Epoca dell’8 febbraio 1958, chiosando:

Se Anna Magnani domina da sola tutta la seconda parte della vicenda, Masina ha precedentemente tutto il tempo di portare avanti una di quelle sue ineffabili creature disarmate ed infantili, esitanti ai confini dell'irreale. Ma c’è un altro vincitore ed è Renato Castellani. Perché due grandi attrici presuppongono un grande film e questo è un grande film.

Aggiungiamo che di vincitrice ce n’è almeno una quarta, Suso Cecchi D’Amico, che, attraverso il lavoro di scrittura, ha saputo valorizzare la grandezza di Magnani mediante un ventaglio di gesti e battute caratterizzanti, dando al contempo voce alle altre recluse.

Le foto, realizzate sul set e conservate dall’archivio Getty che ritraggono le due attrici fianco a fianco, vanno lette come un tentativo da parte di entrambe di mettere a tacere le voci di corridoio, prova ne è la didascalia d’accompagnamento su L’Espresso del 7 settembre 1958: «Le due attrici […] vanno adesso perfettamente d’accordo, malgrado gli inizi piuttosto burrascosi dei primi giorni di lavorazione».

I rapporti tra Magnani e Masina si raffreddarono inevitabilmente ma, con l’uscita di Giulietta degli spiriti (F. Fellini, 1965), fu proprio Magnani a cercare Masina per complimentarsi per la sua interpretazione. Magnani, nota ai più per il suo temperamento esplosivo e imprevedibile, seppe riconoscere le grandi capacità della collega e ci tenne a dirglielo personalmente mettendo fine ai vecchi dissapori, anche se le occasioni per tornare a lavorare insieme non si presentarono più [fig. 4].

 

Bibliografia

P. Carrano, Anna Magnani. Il romanzo di una vita, Milano, Rizzoli, 1982.

C. Costantini, Gelsomina, Giulietta Masina racconta, Roma, Il Calamo, 2001.

S. Cecchi D’Amico, Nella città l’inferno, sceneggiatura originale dell’omonimo film di R. Castellani, Mantova, Circolo del cinema, 2003.

M. D’Amico, Persone speciali, Palermo, Sellerio, 2012.

M. Hochkofler, Anna Magnani. Lo spettacolo della vita, Roma, Bulzoni, 2005.

M. Hochkofler, Anna Magnani, Roma, Gremese, 2001.

S. Trassati, Renato Castellani, Firenze, Il Castoro cinema/La Nuova Italia, 1984.

F. Sacchi, Epoca, 8 febbraio 1958 (riportato in M. Hochkofler, Anna Magnani, , p. 120).

M. Balducci, ‘La figura femminile nella produzione di Suso Cecchi D’Amico’, La cosa vista, III, 5, 1987, pp. 45-48.

M. Pierini, ‘Idioma e idioletto: Magnani e Masina in Nella città l’inferno’ in G. Carluccio, L. Malavasi, F. Villa (a cura di), Il cinema di Renato Castellani, Carocci, Roma, 2015, p. 189-198.