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  • [Smarginature] Divagrafie, ovvero delle attrici che scrivono →

 

 

È con «Un saluto ai lettori» che il 26 novembre del 1976 Giulietta Masina prende commiato dalle colonne de La Stampa. Per otto anni, dal 1968, le pagine del quotidiano hanno accolto le parole attraverso le quali l’attrice si è rivolta agli italiani – ma soprattutto alle italiane – per dar loro conforto nei momenti difficili, offrire consigli, e approfittare dei racconti personali dei lettori per aprire una riflessione verso i problemi sociali dell’epoca. Sono questi gli anni che vedono Masina indossare le vesti di Gabrielle de La pazza di Chaillot (Bruce Forbes 1969), quelle di Eleonora (Silverio Blasi 1973) e di Camilla (Sandro Bolchi 1976); nello stesso arco di tempo compare con regolarità su rotocalchi e quotidiani, sia in qualità di compagna di Federico Fellini, sia come attrice capace di coniugare l’impegno alla popolarità.

L’immagine di Giulietta Masina appare legata al marito attraverso un doppio filo. Da un lato ci sono i personaggi che il regista le cuce addosso e che, come lui stesso ben descriverà a distanza di anni nel mémoire Fare un film, sono scelti per mettere in luce le sue grandi doti attoriali; essi prendono forma all’interno di una dimensione di meraviglia e di sogno, contraddistinti da una gioia frenetica e infantile ma al contempo capaci di conservare la tristezza di un clown. Dall’altra c’è invece l’immagine di una moglie che, nonostante i ripetuti tradimenti del marito, decide comunque di restare al suo fianco. Stando alla stampa popolare, infatti, Fellini crea attorno a sé un vero e proprio harem: oltre ai numerosi flirt che gli vengono attributi, da più di dieci anni accanto al regista (sembra dal 1957) per alberghi e ristoranti c’è Anna Giovannini, la procace farmacista da lui stesso ribattezzata «La Paciocca» che negli anni Novanta rivendicherà una storia d’amore trentennale; ma anche Sandra Milo, che, presentatagli nel ‘62 da Ennio Flaiano, sarà sua amante per ben diciassette anni. Nonostante ciò, il loro matrimonio durerà per cinquant’anni, fino alla morte del regista.

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Abstract: ITA | ENG

Nella città l’inferno di Renato Castellani rappresenta dal punto di vista della performance un caso di collaborazione a quattro mani tra la sceneggiatrice, Suso Cecchi D’Amico, e l’attrice, Anna Magnani; con la messa a punto del personaggio di Egle, l’istrionica detenuta del carcere delle Mantellate interpretata dall’attrice. Il contributo prenderà in analisi alcune scene delle due stesure delle sceneggiature, conservate presso il fondo Castellani del Museo Nazionale del Cinema, in cui il lavoro di scrittura dell’una per l’altra sottende da un lato una profonda conoscenza della Magnani, andando oltre lo stereotipo, e dall’altro una sicurezza avvalorata dalla profonda amicizia che legava le due donne, che ha permesso alla Magnani di valorizzare le potenzialità del suo lavoro attoriale, qui giocato sulla capacità di inserirsi nella scrittura della D’Amico potenziando la performance con l’assoluta padronanza della scena e l’uso dell’idioletto che contraddistingue il personaggio di Egle. 

…and the Wild Wild Women by Renato Castellani represented a case of collaboration between the screenplay and the performance as the result of the deep knowledge and friendship that connected the screenwriter, Suso Cecchi D’Amico, and the performer, Anna Magnani, that is flown into Egle’s character. The proposal is going to analyze some scenes of the two scripts, stored in the Castellani’s archive collection at the National Museum of Cinema, where this collaboration emerges and promoting and strengthening Magnani’s performance. 

 

 

 

Le parole di Suso Cecchi D’Amico poste in esergo offrono un ritratto di Anna Magnani in cui la lucida obiettività di talune affermazioni («non era bella […] le gambe erano magre e leggermente storte […]») viene del tutto sopravanzata dal tono poetico e immaginifico della descrizione («spesso cupa come il suo cane lupo color dell’ebano […]»), e dal suo chiudersi sull’improvviso emergere di tratti di splendore («aveva un décolleté splendido, come pure lo erano le mani e i piedi […]»), sino alla resa incondizionata di fronte al suo fascino («Dovunque entrasse in scena, non guardavi altri che lei»). Un ritratto delineato da parte di qualcuno che proprio scrivendo per lei, in qualche modo Ê»di leiʼ, aveva sviluppato con l’attrice e la donna un rapporto di profonda intesa e amicizia, durato molti anni e rievocato in numerose occasioni. Un’amicizia fatta di fiducia, in particolare da parte della Magnani nei confronti di Suso, che confidava nella scrittura della sceneggiatrice, avvertendola rispettosa della sua personalità più che dello stereotipato personaggio Ê»Magnaniʼ e, soprattutto, delle sue qualità di attrice, spesso previste, anticipate, ma mai imposte nei ruoli scritti per lei; una collaborazione che inizia con L’Onorevole Angelina (L. Zampa, 1947) e prosegue con Bellissima (L. Visconti, 1951), Camicie rosse (G. Alessandrini, 1952), l’episodio Anna Magnani (L. Visconti, 1953) in Siamo donne, Nella città l’inferno, di cui si parlerà in questo contributo, e che si conclude con Risate di gioia (M. Monicelli, 1960). Ma se sono note le tappe di un rapporto che conosce una fase calante proprio in concomitanza con l’ultimo film di Monicelli, e che si nutre del sodalizio artistico ma anche di quello umano (con la Magnani che coinvolge l’amica nelle sue crisi sentimentali, nelle incomprensioni con i registi, nelle sue partenze – quella per l’America –, nelle sue Ê»ruzzeʼ notturne), non sempre sono state osservate nel dettaglio le relazioni tra la scrittura dell’una per l’altra, e la performance dell’attrice.

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Una foto in bianco e nero dell’archivio Getty immortala la ‘leonessa’ Anna Magnani che solleva il braccio della collega Giulietta Masina, sguardo fiero e fisso quello di Magnani, mentre Masina, in un nervoso sorriso che cela imbarazzo, rifugge lo sguardo diretto della collega, preferendo guardare verso il fuori campo. È il 1958, il set quello del film di Renato Castellani Nella città l’inferno, che vede le due attrici protagoniste nei ruoli di Egle (Anna Magnani) e di Lina (Giulietta Masina) e che racconta il dramma ambientato nel carcere femminile di via delle Mantellate. E l’inferno su quel set parve scatenarsi per davvero, a causa dei dissapori tra le due prime donne [fig. 1].

Secondo la testimonianza di Masina, fu lei stessa a segnalare Magnani per il ruolo di Egle, mossa che, di fatto, la adombrerà a causa del temperamento di quest’ultima che ‘divorava’ il set con una recitazione coinvolgente e la capacità di rendere ‘vivi’ i personaggi:

Come rammenta la stessa Masina in più occasioni, le due attrici si erano incontrate negli Stati Uniti qualche anno addietro, Magnani stava girando La Rosa Tatuata (D. Mann, 1955), mentre Masina era lì per ritirare l’Oscar per La Strada (F. Fellini, 1954). In quell’occasione, pare un po’ per scherzo, Magnani suggerì a Masina di chiedere a Fellini di scrivere un film per loro, ma il progetto non si realizzò mai. È solo qualche anno dopo, quando Castellani propose a Masina di lavorare al nuovo progetto Nella città l’inferno che, ripensando a quell’incontro, fece il suo nome. Il film racconta la vicenda delle recluse di via delle Mantellate (riprendendo il testo scritto da Isa Mari nel 1953) e, per questo motivo, per esigenza del regista e della sceneggiatrice Suso Cecchi D’Amico, doveva essere interpretato da carcerate autentiche. Solo per i ruoli di Lina e di Egle la scelta era ricaduta su attrici professioniste. Dapprima per il ruolo di Egle si era pensato a Silvana Mangano ma, dato l’alto cachet richiesto dal marito Dino De Laurentis, l’idea sfumò.

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