2.3. Fautrici dei musei del cinema nel mondo: Iris Barry, Lotte Eisner e Kashiko Kawawita

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It’s such a closed world.

J. Mellen

1. Introduzione

Grazie ad alcune ricerche all’interno dei Women e Film Studies sappiamo che le donne operavano sia dietro che davanti la cinepresa (Pravadelli 2014). Sull’attività ‘davanti’ abbiamo molti contributi, dedicati soprattutto allo star system, inaugurati fra gli altri da Richard Dyer (2000 [1979]) e Paul McDonald (1998). Negli ultimi due decenni, inoltre, abbiamo visto un crescente corpus di ricerche sulle donne come filmmakers (Levitin, Plessis e Raoul 2016), anche se siamo ancora lontani dal render conto della ricchezza dei ruoli rivestiti dalle donne nella film history e nell’intero raggio creativo del lavoro filmico, dallo screen writing alla distribuzione. Inoltre, la raccolta di saggi curata da Gledhill e Knight (2015) e dedicata alla pratica del Doing Women’s Film History permette di gettare anche uno sguardo globale sul contributo delle donne precedentemente nascosto.

Attualmente, però, ciò che è meno noto è il ruolo giocato dalle donne nel Ventesimo secolo per promuovere, conservare e musealizzare il cinema, assicurandogli un ‘luogo’ tra le arti creative così come nelle industrie culturali. Le tre figure qui discusse, Iris Barry (1895-1969) [fig. 1], Lotte Eisner (1896-1983) [fig. 2] e Kashiko Kawakita (1908-1993) [fig. 3] si sono mosse proprio in questa direzione grazie alle loro competenze di archiviste e studiose oltre che di organizzatrici culturali.

Due di loro, Lotte Eisner e Iris Barry, furono costrette ad ‘auto-esiliarsi’, abbandonando i loro Paese natali – rispettivamente Germania e Gran Bretagna – per la Francia e gli Stati Uniti. Non è possibile qui esaminare a fondo quanto le dinamiche dell’esilio abbiano segnato le loro vite, specialmente per Lotte Eisner, che, come ebrea tedesca, fu soggetta alle purghe del 1933 e costretta ad abbandonare il suo lavoro come critica e commentatrice per il Film Kurier (Decelles 2019). Iris Barry risentì meno della temperie politica nazista ma, come Eisner, fu licenziata dal Daily Mail, quotidiano conservatore al quale collaborava come critica cinematografica, a causa di una recensione negativa di un film inglese dell’epoca (Sitton, 2014).

Dal canto suo, Kashiko Kawakita, se viaggiò molto fin dalla giovane età, fu poi costretta ad ‘auto-esiliarsi’ in casa durante gli anni della guerra perché rimpatriata dalla Cina, dove stava lavorando con il marito a uno scambio culturale e cinematografico tra India e Giappone. Kawakita fu così costretta a rinunciare sia all’attività di esportazione e importazione internazionale tra Giappone e altri Paesi con la Towa film che alla attività di critica cinematografica, dedicandosi alla attività di interprete per sopravvivere (Sharp 2011, p. 126; Robinson 1987, p. 255). Come tante donne durante il conflitto, però, ebbe la possibilità di svolgere alcune mansioni prima rivestite dal marito, rafforzando le sue competenze e la sua posizione (si vedano la differenza fra Anderson e Richie 1960 e Mellen 1975; cfr. poi Kawakita 1988; Sharp 2011; Armendariz-Hernandez e Gonzalez 2017).

Per questa loro ‘resistenza’, che segna tutto il loro operato, le tre donne sono ciò che oggi potremmo definire cinema activists. Tutte e tre lavorarono su molti fronti e all’intersezione di istituzioni, imprese e la nascente cultura filmica e cinematografica. Nate tutte durante il periodo delle ‘origini’ del cinema (tra il 1895 e il 1908), vorremmo sottolineare quanto il nuovo medium cinematografico sia stato importante per le loro vite e il loro lavoro, oltre che per il loro essere donne. Sia Eisner che Barry ebbero forte il senso del loro lavoro di intellettuali, oltre che di promotrici di un cinema per tutti: «It is an art of the people. This to my mind is a merit» (Hankins 2004, p. 507). Di Kaskiko Kawakita, che ha contribuito alla pubblicazione e allo sviluppo di diversi libri sul cinema giapponese nel mondo in diverse lingue, non è stato tradotto nulla di ciò che la riguarda in prima persona. Nel 1997 è stata pubblicata in giapponese una biografia postuma nel cui titolo si rimanda all’idea di una vita spesa «in the line of film» (Kawakita 1997), mentre nel 1991 la stessa Kawakita curato con Tagao Sado una pubblicazione in cui nel titolo richiamava l’idea che i film «connettono il mondo» (Kawakita e Sado 1991).

A questo mondo di relazioni e scambi, ‘così vicino’ grazie all’attività di queste donne anche se ‘così chiuso’, come ha dichiarato Joan Mellen, sono dedicati i prossimi paragrafi.

 

2. Iris Barry

Iris Barry è la più studiata delle tre. Per questo motivo ci limiteremo qui a una breve indicazione dei motivi che la legano a Lotte Eisner e Kashiko Kawakita.

Dopo gli esordi a Londra negli anni Venti, spostatasi a New York, Barry ha svolto un ruolo fondamentale per l’apertura della film library e dell’archivio cinematografico del Museum of Modern Art (MoMA), di cui è stata la prima curatrice [fig. 4]. Iris Barry ha assunto una posizione di rilievo soprattutto per la capacità di produrre un cambiamento nella cultura pubblica: un obiettivo raggiunto, attraverso la scrittura sul cinema a partire dagli anni Venti per testate come la Film Society, il Daily Mail, Vogue, etc. (Hankins 2004), in quanto «activist reformer, [..] flapper and […] bohemian artist» (Wasson 2006, p. 158). Su queste basi ha ipostato le premesse di un cambiamento nella percezione pubblica del cinema anche attraverso l’impegno nella promozione della cultura del film. Bandy ha descritto la sua attività curatoriale come «first and foremost [aimed at] creat[ing] a consciousness of tradition and of history within the new art of film» (Bandy 1994, p. 27). Barry credeva fermamente nell’appartenenza del cinema al sistema delle arti e che il suo carattere popolare e commerciale non fosse necessariamente in opposizione alle più tradizionali forme culturali. In questa prospettiva, il contesto museale era visto da Iris Barry come indispensabile non solo per la salvaguardia dei film ma anche per fornire un respiro educativo al più popolare intrattenimento del tempo. Nelle parole di Wasson: «Barry worked to transform the institutional and material conditions in which films were seen, studied, written about, and discussed» (Wasson 2006, p. 154).

Nella sua visione la film library era un’istituzione che poteva fare da ponte tra artisti e artiste d’avanguardia e pubblico, così da promuovere l’apprezzamento per la comprensione delle arti visuali nell’era moderna (Bandy 1994, p. 26); ma non senza contraddizioni, giacché vide nell’avanguardia un pericolo per Hollywood (Decherney 2005, p. 121). Iris Barry e il MoMA, ha ricordato a tal proposito Christie, coltivarono delle relazioni strette con Hollywood e lavorarono alla promozione della canonizzazione di D.W. Griffith come il ‘padre’ della cinematografia (Christie 2014, p. 244). Viceversa, però, Frick ha recuperato la visione ‘complessa’ che Barry ebbe dei film hollywoodiani (Frick 2011, p. 36). Tali contraddizioni, tuttavia, non tolgono nulla al ruolo ricoperto da Iris Barry come promotrice del film a livello nazionale e internazionale. Fu, per esempio, parte sin dall’inizio del gruppo dei fondatori della FIAF (International Federation of Film Archives) nel 1938, sostenitrice delle politiche UNESCO per l’audiovisivo, svolgendo un’attività diplomatica simile alle ‘sorelle di cinema’ Lotte Eisner e Kashiko Kawakita.

3. Lotte Eisner

Due documentari hanno raccontato la vita e la carriera di Lotte Eisner. Entrambi sono stati realizzati nel 1979 da due registi uomini: il primo porta la firma di Shaid Saless, noto regista iraniano che lavorava in Germania (anche lui in esilio, dunque), e il titolo The Long Vacation of Lotte H. Eisner; il secondo, Lotte Eisner in Germany, è opera di S. Mark Horowitz, un giovane regista americano. Abbiamo poi numerose interviste girate dal dopoguerra fino alla sua morte, avvenuta nel 1983. Nel 2018 le è stato dedicato un simposio dall’Institute of the Moving Image a Birbeck, University of London, dal titolo Lotte Eisner: Writer, Archivist, Curator.

Anche se si forma come storica dell’arte, Eisner gradualmente si sposta verso la scrittura sul cinema, unendosi allo staff editoriale di Film-Kurier dal 1927 al 1933, quando fugge da Berlino e si trasferisce a Parigi. Durante il periodo di guerra, come molti ebrei in Francia è costretta a trascorrere un periodo nel campo di concentramento di Gurs; ma già dal 1941 dà un contributo fondamentale alla fondazione della Cinémathèque Française (CF d’ora in poi) [fig. 5], lavorando come archivista e curatrice per tutta la sua vita. Già nel 1934, quando incontra per la prima volta Henri Langlois e Georges Franju, come suggerito da Decelles, li supporta «in their early efforts to collect and catalogue silent cinema artifact» (Decelles 2019, p. 2). Ma, come accade spesso nel caso di donne, sempre stando a Decelles, negli studi sulla CF «she is reductively described as the assistant or adjunct of Langlois» (Ibidem).

Il suo ruolo è invece stato rilevante prima di tutto nello studio del cinema tedesco degli anni Venti, insieme al ruolo forse ancora più importante di ‘mentore’ della nuova generazione di registi tedeschi del New German Cinema. Un aneddoto illumina quanto luminosa sia stata la stella di Eisner: Werner Herzog andò a piedi da Monaco a Parigi quando seppe che la donna rischiava di morire, nella speranza che questo ‘pellegrinaggio’ laico potesse salvarla – e di fatto Eisner recuperò la salute, anche se non per il ‘cammino’, come chiarì ironicamente lo stesso Herzog (2014). È stato ancora Herzog, tra gli altri, a rivelare quanto le dovesse il cinema tedesco: «She alone had the authority, insight and the personality to declare us legitimate» (Cronin 2002, pp. 152-153; Decelles 2019, p. 4).

Durante gli anni alla CF è stata autrice di tre libri: due dedicati a Fritz Lang e a Murnau e il terzo, L’Écran demoniaque, al cinema tedesco espressionista, che – oltre alla traduzione italiana del 1955 – è stato di recente tradotto in inglese (Eisner 1952 e 2008). Negli stessi anni si è dedicata a sostenete l’attività di acquisizione di film e artefatti della CF, garantendone la cura e contribuendo inoltre alla realizzazione del Musée du Cinéma, un progetto davvero caro a Langlois più che a lei. Decelles (2019) ha insistito che la narrazione su Lotte Eisner come ‘personaggio di supporto’, che ha circolato all’interno della più grande storia della CF e di Langlois, non poteva che essere sostenuta dal fatto che lei stessa non la contraddisse mai. Non aveva, chiaramente, nessun interesse per l’auto-promozione a dispetto dei suoi pari, incluso Langlois stesso. In ogni caso, altre testimonianze (Eisner e Williams 1975) ne documentano l’attività quotidiana alla CF (anche come volontaria per i problemi finanziari negli anni della polemica sul sostegno statale con Malraux), rispetto al quale chiedeva del tempo solo per dedicarsi alla scrittura. Negli stessi scritti appare sensibilmente attenta e consapevole dei problemi legati alla sicurezza, al reperimento dei fondi e alle criticità legate al finanziamento pubblico, prefigurando in pieno l’idea di una direttrice e non solo di una curatrice.

 

4. Kashiko Kawakita

In una dinamica non dissimile, a Kashiko Kawakita, poco ricordata negli studi curatoriali e per tanto tempo vista soltanto come personaggio di supporto per il marito Nagasama, si deve in gran parte la fondazione del National Film Library Center del 1952 (da cui l’attuale National Film Archive of Japan [fig. 6], dipartimento fino al 1970 del Museum of Modern Art di Tokyo) e del National Film Library Council del 1960 (poi Kawakita Memorial Film Institute dal 1980), avvenute anche a seguito della proposta «immediata» di Langlois di uno scambio di film (Kawakita 1986, p. 32). No ebbe seguito, invece, l’amicizia con Lotte Eisner, nata in Germania cinque anni prima, che avrebbe avuto solo il ruolo di introdurla al curatore francese, e con la quale in realtà era sorta la prima idea di una Japanese Film Week, poi rilanciata in modo più ampio da Langlois (Robinson 1987, p. 254). Ma gli sviluppi di queste istituzioni non sarebbero stati possibili senza l’attività internazionale precedente di Kawakita.

Grazie alla famiglia, impegnata in affari, Tacheuci Kashiko potè viaggiare e formarsi in una scuola internazionale avvicinandosi alle lingue e al cinema, prima ancora del suo impegno come segretaria e traduttrice di script presso la Towa Film del futuro marito nel 1928, con cui dal 1932 darà vita a una fitta attività di viaggi per esportare, importare o dar vita a coproduzioni in tutto il mondo e in Europa in particolare, partecipando anche a festival internazionali, dando vita a iniziative di scambio (soprattutto dagli anni Cinquanta) con programmi nelle più importanti istituzioni cinematografiche (tra cui la CF e il MOMA), settimane d’arte e scambi di ricerca con svariate università (Mellen 1975, pp. 61-62; Robinson 1987; Richie 1995, pp. 11 e 13; Sharp 2011, pp. 125-126).

Ricordata prima dai francesi e poi da tutti come «Madame Kawakita» (Sharp 2011, p. 126), è spesso descritta, tra altri aggettivi dedicati alla sua bellezza ed eleganza, sempre in kimono, come «gracious» (Kawakita 1986, p. 32). Di maggiore interesse però risultano descrizioni che la posizionano come una «remarkable woman of Japanese ‒ or of any ‒ culture» (Mellen 1975, p. 59), «dedicated internationalist» (Kawakita 1986, p. 32), «overseas ambassador» (Sharp 2011, p. 126).

La formazione, i viaggi ma soprattutto il costante lavoro di networking hanno alimentato conoscenze, relazioni e scambi filmici che sono diventati dinamiche fondamentali alla base dell’idea e dell’attività archivistica e museologica di Kashiko Kawakita. Robinson ricorda anzi come proprio l’interruzione di tali relazioni durante la guerra porta Kashiko a vedere il contatto con archivi e cineteche come una nuova via da seguire dopo i disastri del conflitto (Robinson 1987, p. 255). Risale, inoltre, al 1931 l’importazione del film Madchen in Uniform (Ragazze in uniforme, L. Sagan), a dispetto della volontà del marito, film censurato dai nazisti per la presenza di una storia d’amore fra due donne (Robinson 1987, p. 254). Nei fondi della CF, per esempio, come testimonia la stessa Kawakita (1959) fu depositato invece un film muto messo insieme da Nagasama Kawakita e Karl Koch in Germania dal titolo Nippon (1928) che riutilizzava due film precedenti. Durante i viaggi Kashiko ebbe modo di riscoprire anche parte della filmografia giapponese posseduta dalle istituzioni europee, tra cui la CF (Kawakita 1959, pp. 443-444). I programmi in Europa hanno alimentato, viceversa, la costituzione del National Film Center (Masatoshi 1993).

L’Art Theatre Guild, casa di distribuzione/produzione di opere più sperimentali fondata da Kawakita con il marito nel 1960, fungeva, oltre che da spazio espositivo, da ambiente di contaminazione feconda per la comunità artistica, favorendo la rigenerazione anche politica del centro di Shinjuku a Tokyo (Sharp 2011, p. 24; Ross 2010, p. 17). Anche nel campo dell’attività produttiva lo scopo culturale rimaneva centrale, legato com’era alla conoscenza e al riconoscimento dei motivi di similitudine come di differenza estetica tra le culture cinematografiche dei diversi Paesi (Mellen 1975, pp. 59-60; Masatoshi 1993), anche rispetto ai cambiamenti storici legati ad altri media, come la televisione (Variety 1973). Per i programmi pensati per altri Paesi, come descritto da Cauquy (2008), questi promuovevano lo scambio, l’idea di una promozione impegnata con un approccio culturale e patrimoniale sì di ‘qualità’ ma volto a facilitare il contatto tra mondo del cinema e spettatore, favorendo un flusso di pensiero interculturale.

Se si guarda alla prosecuzione delle attività del Kawakita Memorial Film Institute e allo storico di mostre e rassegne dal 1970 al 2020 del National Japanese Film Archive sui rispettivi siti online, è possibile rintracciare alcuni tratti o rilanci ereditari strettamente connessi all’impronta o alle idee di Kawakita. Le stesse istituzioni continuano a lavorare a partire dagli scambi, anche diplomatici, alla conoscenza delle differenze e interconnessioni attraverso il patrimonio cinematografico con altri Paesi, storie e culture sostenendo la ricerca, la produzione/distribuzione e la successiva trasmissione di oggetti e soggetti, anche meno noti o considerati marginali.

Molte istituzioni, tra cui la CF e il MOMA, hanno reso omaggio a questa figura che morì poco dopo la figlia, Kazuko, la quale aveva dato vita come la madre all’esportazione/importazione di film di qualità, fra cui le opere di Godard, Jarmush, Wenders, attraverso proiezioni nelle università prima e una casa di produzione poi, in maniera ancora più disinteressata all’aspetto commerciale rispetto alla madre (Segers 1993).

Da quest’analisi appare chiaro come le figure qui descritte abbiano prodotto una realtà e una storia così ‘vicina’ seppur distante nel tempo, dai risvolti molteplici rispetto alle relazioni fra cinema, donne e istituzioni di cultura cinematografica. Si tratta di una storia ancora da approfondire e soprattutto ancora da salvaguardare.

 

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