2.4. «Ci sono scivolata dentro come se fosse la cosa più naturale». Mara Blasetti: una vita consacrata al cinema*

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Una ricognizione dei titoli di testa dei film italiani realizzati tra gli anni Cinquanta e Settanta mette in evidenza la presenza femminile in una serie di campi attorno al reparto della produzione. Dalla situazione tutta maschile nel finire degli anni Quaranta cominciano a comparire nomi di donne. Il ruolo di segretario di edizione viene pian piano femminilizzato. Pochi i nomi di donna tra le qualifiche di direttore di produzione e ispettore di produzione.

Le rare dichiarazioni di lavoratrici nel campo dello spettacolo, commentando il basso tasso d’occupazione negli anni Sessanta e Settanta, denunciano una condizione sfavorevole rispetto ai colleghi, motivata dalla tensione tra due polarità: se congedi matrimoniali e maternità vengono riconosciuti dalle aziende come fattori determinanti per i vari gradi d’occupazione, per le qualifiche più alte è l’istruzione e in particolare l’istruzione professionale a essere un dato di svantaggio imposto (Bellumori 1972); saranno solo due le donne iscritte al corso di produzione al Centro Sperimentale di Cinematografia nel decennio Sessanta (a differenza dei 27 uomini), e andranno negli anni successivi a ricoprire ruoli marginali per poche produzioni.

Una lettura ravvicinata a partire dal sondaggio condotto da Bellumori, Le donne del cinema contro questo cinema, sull’occupazione femminile nell’industria cinematografica degli anni Sessanta e Settanta rivela un certo numero di casi interessanti, tra i quali spicca Mara Blasetti, donna libera, effervescente, dedita al lavoro, umile ma capace di imporre la sua presenza, confermatasi in più di trent’anni di carriera un’eccezione nella filiera produttiva.

Basterebbe sfogliare uno dei tanti faldoni che vanno a comporre l’archivio personale – conservato presso la Fondazione Cineteca di Bologna – per comprendere la poliedricità di Blasetti. Basterebbe rileggere alcuni passi delle poche interviste da lei rilasciate per notare il forte legame e l’ammirazione, contro ogni snobismo, nei confronti del padre, Alessandro Blasetti, che definisce lei stessa un «antesignano» regista della storia del cinema italiano. Basterebbero le lettere e i biglietti a lei inviati da registi e produttori internazionali con i quali ha collaborato per comprendere il suo alto livello di professionalità. Tuttavia, nel bacino delle dinamiche della produzione cinematografica italiana attive a partire dal secondo dopoguerra, quella di Mara Blasetti rimane ancora una figura poco indagata.

Nasce il 14 agosto 1924 dall’unione di Alessandro Blasetti e Maria Laura Quagliotti (Verdone 1989). Si evince, dai pochi racconti emersi, che l’infanzia e l’adolescenza siano state felici [fig. 1], e che entrambi i genitori siano stati figure partecipi della formazione della giovane donna. La madre, amante dei viaggi e appassionata conoscitrice d’arte, si occupa principalmente degli studi della figlia organizzando lezioni private di pianoforte e di lingue – francese e tedesco – garantendole un accesso facilitato al primo ginnasio presso uno dei migliori istituti di Roma, il Torquato Tasso. Qui Mara segue solo un semestre in quanto il padre, quando scopre che si tratta di una scuola mista, la trasferisce presso l’Istituto Sacro Cuore di Trinità dei Monti, all’epoca gestito da «suore francesi […] frequentato da sole signorine della migliore società» (Toso e Nazzari 2016, p. 21). A scuola Mara può approfondire lo studio della lingua inglese, all’epoca – siamo sul finire degli anni Trenta – riservato a poche. Il suo sogno è quello di essere una donna di casa, moglie e madre. Tuttavia, appena le è possibile trascorre il suo tempo libero con il padre, nei set o nella sala montaggio, vivendo momenti che contribuiscono ad accrescere nella giovane donna non solo la passione nei confronti dell’esperienza cinematografica, ma anche la consapevolezza dei meccanismi propri dell’industria. Al riguardo afferma: «praticamente avevo già cominciato a cinque anni quando seguivo papà in tutte le lavorazioni […] Si potrebbe dire che sono nata in una macchina da presa» (Toso e Nazzari 2016, p. 21).

A soli 19 anni sposa l’ingegnere Rodolfo Venturoli, il 23 maggio 1943, dal quale avrà un figlio, Giorgio, cinque anni più avanti. Nel 1951, dopo la fine del matrimonio, nonostante l’aspirazione ‘casalinga’ di cui si è detto, l’intraprendenza e il non voler dipendere dalla famiglia portano Mara Blasetti a lavorare a fianco al padre:

 

Come figlia di Blasetti, era difficile che mi assumessero altre persone; sia perché dicevano che con i soldi di papà non potevo avere bisogno di lavorare […], sia perché come figlia di Blasetti temevano che andassi a criticare molto e lavorare poco. Gli handicaps per me sono stati molti, e per dieci anni ho potuto lavorare solo con mio padre (Bellumori 1972, p. 45).

 

Il decennio a cui Mara Blasetti si riferisce è quello degli anni Cinquanta, quando avvia la propria carriera come volontaria nel ruolo di runner durante le riprese di Altri tempi (1952), dimostrando una forte attitudine al lavoro sul set. Nelle poche interviste rilasciate emerge come le mansioni svolte in tali circostanze le assicurino «un’accettazione» da parte del padre tanto da coinvolgerla – prima come aiuto regista poi come segretaria di edizione accanto a Isa Bartalini – in tutti i suoi lavori successivi: da La fiammata (1953), Peccato che sia una canaglia (1955), La fortuna di essere donna (1955), sino a Amore e chiacchiere (1957).

Sono due gli incontri che le hanno permesso di perseguire una carriera indipendente dalla condizione di ‘figlia d’arte’. Il primo con Antonio Altoviti, direttore di produzione di Amore e chiacchiere, che la chiama a lavorare per lui, e a ricoprire il ruolo di ispettrice di produzione per Europa di notte (1959). Il secondo con i fratelli Dino e Luigi De Laurentiis: l’ottima conoscenza delle lingue e la diplomazia dimostrata nel mediare i capricci del padre durante la lavorazione di Io amo, tu ami (1961) sono le principali ragioni per cui Luigi la ingaggia come ispettrice di produzione di I due nemici (G. Hamilton, 1961), da lui prodotto. Per quegli anni, «una donna Direttrice di Produzione è una vera rarità», afferma Blasetti, «due sole mi avevano preceduto»: si presume possa fare riferimento a Jone Tuzi e Bianca Lattuada, attive nei ruoli di segretaria di edizione e direttrice di produzione dagli anni Cinquanta sino al finire degli anni Settanta. Lo conferma uno studio incrociato dei credits a partire da fonti ANICA realizzato nel corso della ricerca PRIN Modi, memorie e culture della produzione cinematografica italiana (1949-1976) (Comand e Venturini 2021): seppure non del tutto esaurienti, i dati hanno permesso di tratteggiare una embrionale fotografia dello stato di occupazione femminile nell’industria cinematografica italiana di quegli anni, da cui emergono i nomi delle tre donne.

Per Mara Blasetti tanto l’esempio di una madre e di una nonna alla ricerca di una propria indipendenza intellettuale, quanto l’istruzione e la formazione in un ambiente come quello dei set del padre, circondata da personaggi progressisti come Zavattini, sono certo fattori utili per comprendere la sua esigenza di uscire dai meccanismi della produzione italiana che, salvo alcuni rari casi di cui si è detto, non appare ancora pronta ad affidare le lavorazioni a una donna. Diversa la situazione oltre oceano, dove non solo la figura della donna lavoratrice, ma anche il ruolo del direttore di produzione gode di maggiore considerazione quale «responsabile dell’andamento dell’intera produzione» (Brosio 1956, p.7). Primo tra altri, Victor Lyndon si dimostra felice di lavorare con Mara in occasione del film Darling (1965), quando gli serve un direttore di produzione per le riprese a Capri. Il felice avvio della collaborazione con Lyndon, che riconosce la professionalità di Mara e stringe con lei una profonda e duratura amicizia, le assicura i primi veri ingaggi di ampio respiro internazionale quale direttrice di produzione, sino ad arrivare a The Adventurers, colossal della Paramount del 1968 (la paga raggiunge le 300 mila lire alla settimana), uno dei film più cari alla donna.

Ma è a partire dalla fine degli anni Settanta che Mara Blasetti si dimostra una figura capace di adottare un approccio ampio ed efficace nel campo dell’organizzazione della produzione, collaborando in co-produzioni tra Italia, Francia, Stati Uniti – Il mostro è in tavola… barone Frankenstein (1973) e Dracula cerca sangue di vergine e… morì di sete!!! (1973) – tra Italia, Regno Unito e Germania – Cassandra Crossing (1976) Francia e Tunisia per Pirates (1986), ritornando a lavorare con Roman Polanski dopo What? (1972) – solo per citare alcuni titoli. A testimonianza della posizione raggiunta, il suo nome compare nei credits a pari grandezza, rispettando i termini contrattuali, del direttore della fotografia e del production designer, in altri casi del produttore.

Da una prima consultazione dell’archivio personale, fondamentale strumento per conoscere la sua attività, risulta complessa la ricostruzione dei processi e delle modalità di lavorazione: in un primo momento si è colpiti dalla meticolosa raccolta del materiale di carattere descrittivo-filmografico. Ci sono infatti numerosi dossier dedicati ai film, suddivisi in faldoni contenenti materiali tecnici come la lista del cast, i titoli di testa e saltuariamente storyboard, sceneggiature, nonché i contratti degli attori, ma anche ritagli di giornale riguardanti l’uscita dei film [fig. 2] e scambi epistolari dove Blasetti esprime le proprie opinioni tecniche sulla buona, o meno, riuscita delle pellicole.

Solo ‘scavando’ tra i faldoni più generici emerge la figura gestionale di Mara Blasetti direttrice di produzione. In particolare il suo essere un’anima libera, pronta a nuove sfide, come testimoniano le collaborazioni con diverse case di produzione, con le quali stipula contratti più o meno duraturi (con Compagnia Cinematografica Champion, Falcon ma anche Eon Production, Paramount e United Artists). Grazie a queste esperienze costruisce una rete di relazioni professionali di ampio respiro.

A spiccare fra i materiali d’archivio sono gli ‘strumenti del mestiere’, i piani di lavorazione usati in diverse produzioni per Confidential, Istituto Luce, sino a 20th Century Fox. Quest’ultimo, benché contrassegnato come il migliore e il più dettagliato, è chiosato da Blasetti con l’aggiunta di numerose voci, mostrando una precisione dai tratti quasi ossessiva. Le annotazioni rintracciate nei documenti dei faldoni sembrano dialogare con le epistole e i messaggi scambiati durante le riprese e a termine lavori con produttori e registi, come Jerry Bresler, Pasquale Lancia e Lewis Gilbert, pronti a rimarcare la professionalità di Mara; in particolare quest’ultimo, in occasione del citato The Adventurers, le scrive:

 

It is very difficult to express one’s true appreciation and thanks for all the effort and energy expended by one’s colleagues during the course of a film. However, this is the reason for my writing to you Mara, namely to thanks you for your support, co-operation and excellent efficiency which has done so much towards making this enormous project smoothed running and manageable [fig. 3].

 

Gilbert conclude il messaggio augurandosi di collaborare nuovamente in una successiva produzione, proposta che la donna accetta ringraziandolo [fig. 4].

Queste parole mettono bene in evidenza la convinzione, sinteticamente espressa in questa sede, di come Mara Blasetti sia stata promotrice di quel complesso processo che ha portato nel secondo dopoguerra all’ingresso di donne professioniste in un’industria cinematografica dominata da figure maschili, dimostrando una razionalità organizzativa sino all’ultimo lavoro, Tempest (1981) di Paul Mazursky, dopo il quale si ritirerà. Complice l’educazione e l’istruzione ricevuta, va riconosciuto a Blasetti il coraggio di rompere gli schemi imposti o radicati nella consuetudine, sviluppando capacità professionali e strategie di mediazione capaci di garantire continuità alla sua carriera e alla categoria tutta.

 

Bibliografia

L. Bizzarri, L. Solaroli, L’industria cinematografica italiana, Firenze, Parenti, 1961.

C. Bellumori (a cura di), ‘Le donne del cinema contro questo cinema, intervista a Mara Blasetti’, Bianco e Nero, 1-2, 1972.

V. Brosio, Manuale del produttore di film, Roma, Edizioni dell’Ateneo, 1956.

L. Cardone, C. Jandelli, C. Tognolotti (a cura di), Storie in divenire: le donne del cinema italiano, Quaderni del CSCI, 11, 2015.

M. Comand, S. Venturini, ‘Anica Cinematic Universe’, L’Avventura [in corso di pubblicazione].

C. Giannini, C. Guido, ‘Mi farà piacere lavorare con un’amica che sa fare il cinema!!! Dal set alla produzione: il lavoro organizzativo di Mara Blasetti’, La valle dell’Eden, 34, 2019, pp. 5-12.

S. Toso, E. Nazzari, Fratelli d’Arte. Storia Familiare del Cinema Italiano, Cantalupo in Sabina, Edizioni Sabinae, 2016.

L. Verdone, I film di Alessandro Blasetti, Roma, Gremese Editore, 1989.

 

 

*Questo articolo nasce nell’ambito del progetto di ricerca PRIN 2017: Modi, memorie e culture della produzione cinematografica italiana, che vede come Principal Investigator Mariapia Comand (Università degli Studi di Udine) e come responsabili delle altre unità coinvolte nel progetto Luisella Farinotti (Libera Università di lingue e comunicazione IULM), Vito Zagarrio (Università degli Studi Roma Tre) e Sara Martin (Università degli Studi di Parma).

Si ringrazia Michela Zegna per le preziose informazioni e la guida al fondo personale di Mara Blasetti conservato presso la Fondazione Cineteca di Bologna.