1. Lettrici pericolose
Che cosa c’è di più pericoloso di una donna che legge? Per rispondere a questo interrogativo è sufficiente osservare delle rappresentazioni di una lettrice in arte e in letteratura: perlopiù danno luogo a temibili crisi mimetiche; il libro si trasforma nella porta d’accesso per mondi ‘altri’, nei quali le donne si lasciano risucchiare confondendo realtà e finzione, bene e male.
Il noto episodio dantesco dei due cognati di Rimini rientra a pieno titolo in una galleria visiva e letteraria di lettrici affette da pericolose patologie legate ai libri. Francesca, infatti, occupa il centro della scena come protagonista quasi assoluta di tutto il canto; anche nella scena della lettura, nella quale a Paolo viene momentaneamente trasferita la agency – saldamente detenuta per il resto dalla cognata – nel momento del fatidico bacio, il fulcro della narrazione resta inequivocabilmente la lettrice, fino al «punto che li vinse» (v. 132).
Tuttavia, sebbene la centralità della lettura e dei suoi effetti sia innegabile, i commentatori del canto V dell’Inferno, sin dai tempi di Boccaccio, spesso si sono lasciati distrarre da elementi accessori rispetto alla straordinaria essenzialità e forza narrativa con cui Dante mette in scena l’incontro con i due «peccator carnali» (v. 38). La vicenda di amore e morte ha suscitato infatti reazioni molto accese sia in coloro che, sull’onda dell’Esposizione sopra la Comedia di Boccaccio, hanno voluto assolvere Francesca da ogni colpa, sia in chi ha acerbamente castigato la fedifraga signora di Rimini (su questi due schieramenti opposti si veda almeno la ricostruzione di Renzi 2007, pp. 105-240).
In tal modo il libro galeotto è stato incluso come accessorio secondario in un più generale scontro tra il partito degli innocentisti e quello dei colpevolisti. Così, spesso, si è perso di vista quanta rilevanza abbia per Dante, per il quale Paolo e Francesca meritano la dannazione tra coloro «che la ragion sommettono al talento» (v. 39), la scena di lettura e il modo in cui la lettrice ne riporta i pochi ma eloquenti dettagli e, soprattutto, gli effetti.
Dato che i critici, nonostante le indicazioni di Contini (Contini 1976, pp. 42-48), hanno spesso trascurato o scarsamente considerato Francesca, ma anche Paolo, come lettrice o lettore e le conseguenze che sulla loro storia ha la lettura, resta da valutare appieno quanto tale aspetto sia stato valorizzato e recepito nella secolare storia della traduzione in immagini del canto V dell’Inferno.
2. Tempo del racconto e tempo delle immagini
Prima di procedere con l’analisi delle principali rappresentazioni visive della scena aperta dal «noi leggiavamo», è necessaria una precisazione sui modi in cui a partire dalle illustrazioni antiche della Commedia gli artisti si sono confrontati con i diversi piani narrativi della poesia dantesca (su questo aspetto rimando alla scheda di Lalomia contenuta in questa Galleria). Come già osservato da Renzi (2007) e Battaglia Ricci (2018), gli artisti che per primi realizzarono dei raffinati corredi iconografici per accompagnare le terzine della Commedia puntarono generalmente la loro attenzione sul livello diegetico di primo grado, ponendo in risalto soprattutto i momenti in cui i due pellegrini si imbattono nei memorabili dannati, nelle anime purganti o negli icastici beati.
Per ragioni tutte intrinseche alla rappresentazione per figuras della poesia narrativa, il salto da un primo livello del racconto a quello più complesso delle narrazioni di secondo grado venne nella maggior parte dei casi rifuggito – in virtù della verosimiglianza narrativa della rappresentazione iconica, dunque, tutta concentrata nelle illustrazioni della Commedia sulla rappresentazione della componente odeporica. La visualizzazione degli incontri è in tali corredi illustrativi una soglia oltre la quale si apre per il lettore uno spazio del racconto affidato alla sua capacità immaginativa, sorretta naturalmente dalla narrazione in versi.
Dunque negli apparati iconografici che dal Trecento accompagnano la Commedia la descrizione (affidata a Francesca) dell’atto di lettura che conduce i due amanti al «doloroso passo» (v. 114) non poteva che essere allusa dall’incontro tra Dante e Virgilio e i due cognati. Spicca per la sua eccezionalità la miniatura che accompagna il ms. 1076 della Biblioteca Trivulziana [fig. 1]; differenziandosi dalle illustrazioni che corredano i manoscritti tra Tre e Quattrocento, qui l’anonimo artista decide di includere nella scena dell’incontro anche il libro incriminato, ma ponendolo nelle mani di Paolo a mo’ di immagine allusiva che rimandi alla descrizione della scena di lettura (cfr. Battaglia Ricci 2018, pp. 80-81). Tuttavia, non è solo questo l’elemento di originalità che contraddistingue la miniatura trivulziana: l’illustratore rinuncia a dar conto della «bufera infernal, che mai non resta» (v. 31) e colloca i due cognati con i piedi saldamente a terra, anzi su un bel praticello verde che non ha nulla del «loco d’ogni luce muto» (v. 28) descritto da Dante. In questa cornice, che rende il secondo cerchio dell’Inferno come un insolito locus amoenus, i due peccatori, vestiti e agghindati come Dante e Virgilio, si fermano per dar modo a Francesca di proferire il suo racconto, come denuncia chiaramente il dito indice della donna rivolto verso l’alto, mentre il ‘tremante’ Paolo sta alle spalle di questa volitiva oratrice, con una mano le sfiora la spalla e con l’altra regge l’oggetto che ha causato la loro perdizione. Il libro finalmente è presente, prende parte alla scena come compendio di quella «prima radice» (v. 124) di cui il pellegrino Dante chiede conto. L’illustratore con grande finezza ermeneutica coglie pienamente la relazione gerarchica che il poeta assegna ai due amanti e rappresenta dunque colui che da Francesca «mai non fia diviso» (v. 135) come un pavido gregario, che si limita a ostendere il libro galeotto a vantaggio del lettore-osservatore, ma al contempo allontanandolo da sé e dal proprio sguardo.
Al di là di questo raro caso in cui il volume causa di perdizione e dannazione eterna viene incluso nella narrazione per immagini del canto V, gli illustratori antichi della Commedia sono in maggioranza unanimi nel dedicarsi soltanto al racconto di primo grado. Si susseguono così dal Trecento alla prima età moderna numerose declinazioni dell’incontro con i «due che ’nsieme vanno» (v. 74), senza che la centralità dell’atto di lettura trovi spazio nelle transcodificazioni visive dell’episodio.
La lettura si fa largo nella storia per immagini dell’episodio di Paolo e Francesca quando, liberati dalle imposizioni della continuità illustrativa dei corredi delle edizioni manoscritte e a stampa, gli artisti possono finalmente concentrarsi sul racconto della lettrice-peccatrice e dar spazio sia al racconto di secondo grado e sia, in alcuni casi, persino al ‘racconto nel racconto’ al quale Francesca allude, ovvero al bacio tra Ginevra e Lancillotto.
3. Le conseguenze di un libro
Se è indubbio che la narrazione di Francesca si regge sull’aureo precetto retorico della brevitas (vd. ancora Renzi 2007, pp. 243-254), l’essenzialità del suo racconto consente ugualmente di cogliere gli aspetti più rilevanti della scena di lettura che fa da cornice al peccato e alla morte violenta che ne consegue. Spazio, modalità e tempo della lettura – benché appena accennati – emergono proprio in virtù di quella enargeia che contraddistingue tutta la poesia dantesca:
«[…] Noi leggiavamo un giorno per diletto
di Lancialotto come amor lo strinse;
soli eravamo e sanza alcun sospetto.
Per più fïate li occhi ci sospinse
quella lettura, e scolorocci il viso;
ma solo un punto fu quel che ci vinse.
Quando leggemmo il disïato riso
esser basciato da cotanto amante,
questi, che mai da me non fia diviso,
la bocca mi basciò tutto tremante.
Galeotto fu ’l libro e chi lo scrisse:
quel giorno più non vi leggemmo avante».
(Inf. V, vv. 127-138)
Nello spazio di quattro terzine Francesca condensa mille dettagli dell’atto di lettura ricostruito attraverso il doloroso sforzo memoriale («Nessun maggior dolore / che ricordarsi del tempo felice / ne la miseria», vv. 121-23) al quale si sottopone per accontentare Dante. I versi si aprono proprio con l’imperfetto durativo del «Noi leggiavamo», che dà l’idea del protrarsi della lettura «per diletto» che impegna i due cognati; e ancora «Quando leggemmo», posto al centro della narrazione, fa da soglia per il momento fatale del bacio; infine, la sequenza del racconto si conclude (non a caso) col ben più secco perfetto del «non vi leggemmo avante». Benché l’ellissi e la reticenza marchino le parole della narratrice, queste terzine consentono comunque di ‘visualizzare’ i due innamorati intenti insieme, come evidenzia la prima perona plurale impiegata da Francesca, nella lettura del Lancelot en prose (nel quale si trova la scena del bacio); e come nei versi danteschi la ‘voce’ del racconto è quella di Francesca, così potremmo immaginarla quale lettrice ad alta voce a vantaggio del compagno, silenzioso in vita come in morte. Brevi efficaci pennellate alludono a pratiche di lettura reali e perfino a un concreto volume nel quale è possibile riconoscere il libro Galeotto (vd. Lombardi 2018, pp. 154-186). La lettura «per diletto», del resto, consente subito di identificare la tipologia di lettori alla quale Dante allude (cfr. Masi 2015): siamo in presenza di una ‘consumatrice’ di romanzi e di poesia d’amore, una delle tante pericolose vittime della confusione che deriva dal contatto con questi generi letterari. E anche se tali considerazioni ci porterebbero lontano dall’oggetto di questo contributo, valga ricordare che in questa lettrice, vittima di una profonda confusione mimetica, Dante riesce a immedesimarsi pienamente, riconoscendo i rischi di una lettura eccessivamente confusiva ed empatica (cfr. da ultimo Gragnolati 2012, pp. 17-18).
Che cosa di questo denso racconto di una lettura e dei suoi effetti colpisce la fantasia degli artisti? Quali dettagli della breve ed efficace descrizione di Francesca trovano spazio nelle traduzioni visive dell’episodio?
Per rispondere a questi due interrogativi è necessario rivolgere l’attenzione alla variegata produzione artistica dedicata all’episodio di Paolo e Francesca che si sviluppa a partire dalla fine del Settecento alla contemporaneità, perlopiù al di fuori dei confini delle edizioni illustrate. Obliterata quasi del tutto dai corredi antichi, l’immagine del libro galeotto e in generale la scena di lettura che fa da cornice al peccaminoso bacio diviene invece centrale per le traduzioni visive moderne e contemporanee del canto V dell’Inferno. All’interno di questa variegata produzione iconica si può tentare di identificare delle costanti e in che modo la lettura venga resa o meno dagli artisti che a partire dall’età romantica tradussero in figura la narrazione di secondo grado di Francesca. Se, infatti, certamente il libro diviene un elemento che accomuna quasi tutte queste immagini, la sua resa, la sua posizione e la sua materialità offrono rappresentazioni assai diverse della lettura e della sua funzione all’interno dell’episodio dantesco.
4. Il libro chiuso e il libro caduto
Tra la fine del Settecento e i primi decenni dell’Ottocento si avvia un vero e proprio revival dell’episodio dei due cognati di Rimini (vd. ancora Renzi 2007, pp. 183-216), in ragione di una riscoperta e di un generale apprezzamento della figura di Francesca, intesa quale eroina romantica vittima della passione amorosa. In tal senso è facile spiegare le ragioni di una fioritura di immagini pittoriche e non solo che da quel momento in poi diedero forma all’interlocutrice di Dante nel secondo cerchio dell’Inferno.
Il pathos del racconto di Francesca, che colpì in particolar modo la fantasia degli artisti nel corso del XIX secolo, fece sì che la scena del bacio e il sopraggiungere di Gianciotto, come allusione alla fine tragica e violenta dei due peccatori, conquistassero in modo pressoché esclusivo la ribalta delle trasposizioni visive dell’episodio. La scena di lettura divenne, dunque, una sorta di cornice per il momento fatale del bacio. Tuttavia, il libro, con la sua funzione di innesco della perdizione e mezzano per l’amore adulterino, si trasforma in queste interpretazioni figurative dell’episodio in un oggetto reietto che scivola via dalle mani di Francesca, come accade nel dipinto di Ingres del 1819 [fig. 2] o peggio giace dimenticato sul pavimento, mentre i due giovani si concedono un bacio appassionato – come nel dipinto di Amos Cassioli del 1870 [fig. 3]. La lettura passa così in secondo piano, mentre conquistano spazio i suoi effetti, compresa naturalmente la morte per mano di Gianciotto, allusa dal suo sopraggiungere alle spalle dei due amanti. Alla prima delle due tipologie sembrerebbe appartenere anche la splendida incisione che Gustave Dorè dedica a questo snodo del canto, insieme alle altre cinque illustrazioni che corredano la sua Commedia del 1861 [fig. 4]: anche qui come nel dipinto del 1819, per rendere il rapido susseguirsi di lettura, abbandono della lettura, bacio e morte, il volume sta scivolando via dalle mani di Francesca (anche se il contatto tra la lettrice e il volume persiste ancora), e il volto della donna, il suo sguardo, a differenza di quello della maliziosa Francesca di Ingres, sembrano immersi nel mondo finzionale della lettura, mentre Paolo tenta di accostare le proprie labbra a quelle della cognata, e con una postura che sottolinea il dinamismo del racconto Gianciotto emerge da dietro una cortina. L’insuperabile genio di Dorè, raffigurando lo sguardo sospeso di Francesca e il libro dal quale la mano stenta a separarsi, riesce a dar conto del «doloroso passo», come conseguenza diretta e immediata della lettura e quasi dello smarrimento che ciò provoca nella lettrice «per diletto», vittima parimenti di Amore e del libro galeotto.
In altri casi il libro, ancora saldamente nelle mani di Francesca, sembra denunciare il timore della lettrice nel passare dal mondo della lettura a quello del bacio, come accade ad esempio nell’interpretazione visiva dell’episodio offerta da William Dyce nel 1845 [fig. 5]. Il volume posto in grembo alla lettrice e dal quale la mano non si separa ancora, quasi a non volere perdere il contatto con il bacio di cui si sta leggendo, viene quasi interposto tra i due cognati. Se è probabile che tale atteggiamento di Francesca corrisponda a una generale rilettura positiva del personaggio e della sua innocenza, certamente qui la confusione tra realtà e letteratura viene smorzata dalla resistenza che la lettrice, quasi per eccesso di timidezza, sembra opporre al bacio di ‘cotanto amante’. Un residuo di lotta, prima di abbandonarsi all’imitazione dell’oggetto della lettura, è rinvenibile nella memorabile interpretazione iconica dell’episodio offerta da Dante Gabriel Rossetti. Nel suo trittico dedicato al canto V dell’Inferno del 1855 [fig. 6] Rossetti pone al centro della scena Dante e Virgilio che ascoltano il racconto dei due lussuriosi, rappresentati sulla destra nel momento dell’incontro, e a sinistra – dunque alle spalle dei due pellegrini che così non possono vederli con gli occhi del corpo ma solo con quelli della mente – nel momento della lettura e bacio.
La rappresentazione del racconto di Francesca pone al centro della scena il libro, collocato sulle gambe dei due lettori, che questa volta fanno entrambi da supporto all’oggetto che media il bacio. Qui la presenza del libro galeotto se da un lato contempla anche una certa resistenza della lettrice nel lasciarsi andare al bacio, dall’altro – cosa assai rara – include nella scena un esplicito riferimento al terzo livello diegetico, ovvero il bacio tra Ginevra e Lancillotto (vd. Battaglia Ricci 2018, p. 174-5). Rossetti, infatti, pone attenzione a rendere partecipe del suo racconto per immagini anche il ricco codice miniato, alludendo così alla centralità della storia che i due cognati stanno leggendo. La collocazione del libro, per una volta non rappresentato come attributo esclusivo di Francesca, sottolinea la compartecipazione dei due cognati all’identificazione con i personaggi di cui stanno leggendo, la cui rilevanza diegetica è evocata dai colori sgargianti delle pagine miniate.
Tuttavia, sebbene il trittico del 1855 metta in giusto risalto la funzione narrativa della lettura e la sua centralità all’interno dell’episodio, anche in questo caso è comunque il bacio a venire rappresentato, ovvero il momento in cui dal «Noi leggiavamo» si passa «al non vi leggemmo avante».
Solo in pochissime traduzioni visive del canto V dell’Inferno gli artisti hanno deciso di compendiare l’intera narrazione di Francesca raffigurando esclusivamente l’atto di lettura. Tra queste rare eccezioni, spiccano una traduzione scultorea dell’episodio del 1876 di Aristide Croisy (<https://www.youtube.com/watch?v=t7IMFNoiGeg>
Un’altra nota interpretazione della scena di lettura descritta da Francesca è offerta dal dipinto di Anselm Feuerbach del 1864 [fig. 8]: l’artista tedesco raffigura i due lettori in un boschetto di allori, volto a evocare l’ideale sfondo delle letture amate dalla peccatrice, e benché raffiguri entrambi i personaggi intenti nella lettura e concentrati sul volume che torna in grembo alla lettrice, quest’ultima recupera il centro della scena. Potremmo senz’altro collocare questa Francesca tra le tante lettrici di romanzi d’amore che affollano l’immaginario visivo e letterario ottocentesco. Il lettore – pur sedendo al suo fianco – è una figura accessoria e trascurabile rispetto alla straordinaria forza attrattiva esercitata dal libro, porta d’accesso a straordinari mondi finzionali nei quali è facile perdersi, ancor più che in un bacio.
Bibliografia
L. Battaglia Ricci, Dante per immagini: dalle miniature trecentesche ai giorni nostri, Torino, Einaudi, 2018.
G. Boccaccio, ‘Esposizioni sopra Comedia di Dante’, a cura di G. Padoan, in Tutte le opere di Giovanni Boccaccio, a cura di Vittore Branca, Milano, Mondadori, 1965, vol. VI, pp. 315-317.
G. Contini, ‘Dante come personaggio-poeta della «Commedia»’, in Id., Un’idea di Dante, Torino, Einaudi, 1976, pp. 33-62.
R. Girard, ‘Il desiderio mimetico di Paolo e Francesca’, in Politiche della mimesi. Antropologia, rappresentazione, performatività, a cura di A. Borsari, Milano, Mimesis, 2003, pp. 41-48.
M. Gragnolati, ‘Inferno V’, in Lectura Dantis Bononiensis, a cura di E. Pasquini e C. Galli, Bologna, Bononia University Press, 2012, vol. 2, pp. 7-22.
G. Masi, ‘«Noi leggiavamo un giorno per diletto»: il senso della lettura e della letteratura nel canto V dell’Inferno’, Soglie, XVII, 1, 2015, pp. 27-46.
E. Lombardi, Imagining the woman reader in the age of Dante, Oxford, Oxford University Press, 2018.
L. Renzi, Le conseguenze di un bacio. L’episodio di Francesca nella «Commedia» di Dante, Bologna, il Mulino, 2007.