Se le sale dell’Ermitage all’improvviso dessero fuori di matto, se i quadri di tutte le scuole e di tutti i pittori, all’improvviso si staccassero dai chiodi, penetrassero l’uno nell’altro, si mischiassero fra loro e riempissero di urla futuristiche e di una furiosa eccitazione cromatica l’aria che odora di chiuso, ne deriverebbe qualcosa di simile alla Commedia dantesca (Mandel’stam 2007, p. 118).
In un passo della sua Conversazione su Dante, il poeta russo Osip Mandel’stam concepisce l’opera dantesca come una fusione cromatica intensa e violenta e compone, a parole, un’immagine che desta fascino e terrore. Dentro questa bufera di colori l’autore scopre un Dante diverso, nuovo, che la tradizione letteraria è restia a tramandare; ci presenta un poveraccio, «un uomo senza fiducia in se stesso», goffo, tormentato e ramingo, incapace di mettere un piede avanti all’altro e costretto a farsi accompagnare da un poeta latino. L’intento di Mandel’stam è di tramandare la Commedia che sente più reale e vera, non ancorata agli aspetti simbolisti e romantici esibiti dalla cultura europea e vivi nella Russia del suo tempo; un poema, per usare i termini dello stesso autore, «sonoro e minerale», in grado di andare oltre la visione esclusivamente storica, politica e teologica di Dante. È «un’inquietudine spirituale», scrive Mandel’stam, che fa da sfondo alla scrittura del poeta fiorentino, «una imprimitura psicologica» – e ritorna di nuovo la pittura – che conferisce all’intero poema incanto e dramma.
Anche la ‘conversazione’ che l’autore russo intrattiene col Sommo Poeta possiede la stessa inquietudine e agitazione spirituale, ed ha convinto alcuni studiosi dell’affinità dei due destini, tormentati dal peso di idee di bellezza e di libertà. È tuttavia il poeta russo ad essere condannato a un vero inferno sovietico. Costretto all’esilio per attività controrivoluzionaria, Osip Mandel’stam verrà deportato e internato dentro un campo di transito nei pressi di Vladivostok, capolinea della ferrovia transiberiana. Qui morirà prima di raggiungere i lager della Kolyma.
Nello scritto di Mandel’stam si scorge, pertanto, una nitida consapevolezza, rara a trovarsi nei commenti sulla Divina Commedia. Per l’autore russo l’opera di Dante è destinata all’avvenire e alla modernità: è opera viva, «è impensabile leggere i canti di Dante senza rivolgerli al presente. È per questo che sono stati creati. Sono armati per percepire il futuro. Ed esigono un commento in Futurum» (Mandel’stam, 2007, pp. 79-80). Sguardi e visioni, miste a realtà e sogno, sono gli elementi favoleggiati da Dante nella creazione dell’immagine-mondo oltre la vita, e risuonano seppur con diversa frequenza anche dentro la Conversazione di Mandel’stam.
Le grida, l’agitazione e il delirio a cui allude il poeta russo aderiscono indiscutibilmente alle immagini di tutti i gironi infernali, ma sembrano richiamare con forte evidenza soprattutto la cantica dei lussuriosi. Così pare, infatti, che «le strida, il compianto e il lamento» (v. 35) che Dante vede «[nel]la bufera infernal» (v. 31) bene si adattino a quell’improvvisa follia dell’Ermitage, dove quadri, storie e personaggi, compenetrandosi e fondendosi lussuriosi dentro un coagulo cromatico, riempiono l’aria delle sale «di urla futuristiche e di forsennata agitazione». Una tempesta cromatica che, come quella dantesca, «mena gli spiriti con la sua rapina» e «voltando e percotendo li molesta» (vv. 32-33).
Se volessimo rifarci alla storia di Paolo e Francesca affiancando un’immagine, o una proiezione visuale, capace di tradurre le parole del poeta russo e il vivido scrivere di Dante, fra tante si potrebbe considerare Il vortice degli amanti di William Blake (1817) [fig. 1]. Nel raffigurare il quinto canto il pittore e poeta inglese rinuncia all’immagine del libro, e con enfasi e modernità ‘scioglie’ i corpi dei lussuriosi dentro un vortice fluido, una pellicola cinematografica che ripete a loop lamenti e grida. Paolo e Francesca, uniti dentro una bolla come un Cristo in mandorla, sono un faro lucente, un grande occhio-cinepresa che proietta una luce – forse salvifica – sugli altri lussuriosi. L’artista riscatta così la storia dei due amanti dentro una mandorla mistica, che accoglie un bacio sacro fatto di carne.
A questa altezza cronologica la ricezione dell’episodio dantesco come prototipo dell’amore romantico è già avvenuta, e le ideologie e i significati moralistici ad esso legati, che Dante aveva ben chiari, cominciano ad essere smussati. Il bacio diventa garanzia di un amore sacro e puro.
La qualità ecfrastica della Divina Commedia e la (pro)vocazione visuale che si riscontra nell’intera Conversazione di Mandel’stam, riportano alla mente le questioni sempre aperte della lingua che si presta alle immagini e delle immagini che, sigillate nel segreto del loro essere, rimangono mute (Carboni 2018).
Questa trasferibilità del verbale nel visivo e, al contempo, del visivo nel verbale, richiama il quinto canto dell’Inferno dantesco nei suoi elementi fondanti la narrazione: la scrittura nel libro e il bacio narrato diventano le parole di Francesca e l’immagine del bacio.
La storia di Paolo e Francesca, infatti, nasce dall’incontro, narrato nel libro galeotto, di Lancillotto con Ginevra. Intorno a questi personaggi c’è la scrittura e l’immaginazione che, attraversate dal desiderio, scaturiscono nel bacio. Quest’ultimo non è un Leitmotiv della cantica, ma, per mimesi dell’atto sessuale, è il peccato da cui nasce la loro dannazione: le labbra non più dedite alle parole e alla lettura si sfiorano per lussuria.
La tradizione iconografica relativa alla storia di Paolo e Francesca si intreccia nel tempo con quella letteraria. Non sempre le due tradizioni camminano parallele, ma la rilettura che ne fanno i moderni, sia essa testuale che visuale, si basa su nuove emozioni, su nuove interpretazioni. È a partire dall’Ottocento, come argomenta Lorenzo Renzi nel suo saggio Le conseguenze di un bacio (2007), che si manifesta nelle arti figurative una variatio iconografica e una totale libertà di rappresentazione della storia dei due amanti: non più incentrata sul peccato, epurata dalla colpa carnale e riletta come narrazione di un amore vero – romantico per l’appunto – dalla quale nessun artista, nessuno scrittore da questo momento in poi, potrà prescindere.
Assieme alle tradizioni del canto dei lussuriosi (quella letteraria e quella iconografica) si tramandano anche due immagini di Francesca: quella ritratta da Dante, che la condanna all’inferno perché peccatrice passionale, e quella invece disegnata da Boccaccio, che la presenta come una femminista del Trecento capace di rivalersi, grazia ad un bacio, sull’inganno maschilista.
Questa doppia tradizione dell’immagine di Francesca si interseca a spazi e tempi del bacio sempre diversi. Gli artisti hanno scelto di raffigurare i due amanti, infatti, o a partire dal ricordo di Francesca, rivedendo il momento della lettura del libro galeotto, quando ingenui e vicini erano ignari delle loro labbra; o scegliendo il racconto dell’incontro con Dante, dove i due amanti, avvolti come dalle lenzuola del loro desiderio carnale, si sganciano dal vortice della bufera per avvicinarsi ai due sommi poeti. In entrambi i casi il bacio non si vede ma esiste. All’interno di questi due topoi iconografici della storia dei due amanti vanno aggiungendosi importanti variazioni, escamotage figurativi che focalizzano l’attenzione sulla narrazione del bacio. Il libro, che rappresenta il punctum visivo e rende riconoscibile l’episodio, è sempre letto da Francesca, ‘colpevole’ di essere colta. Spesso scivola dalle sue mani nel momento in cui, le parole lette, trasformate in immagine mentale, diventano il desiderio del bacio.
La figura di Gianciotto, reo di aver ucciso i due amanti scoperti nel momento delle loro effusioni letterarie, è quasi sempre ritratta nell’ombra, come dietro le quinte della scena principale, ma diventa figura chiave per le sue sorti imminenti, enfatizzando il bacio che sta per accadere. Il torbido fatto di sangue vede i due amanti vestiti o nudi, ai piedi di un letto o tra le lenzuola, ma sempre trafitti dalla stessa spada, oppure, nei casi più romantici, dentro un abbraccio mortale. Il bacio è già avvenuto.
Prima che nell'Ottocento il bacio trovi la sua rappresentazione figurale, Paolo e Francesca spesso sono ritratti nella nudità adamitica, quella tipica di un’altra coppia di peccatori: Adamo ed Eva, cacciati dall’immeritato Paradiso e condannati al dolore e alla fatica all’inferno terrestre. La tendenza per tutto il Medioevo, dove la tradizione dell’episodio dei due amanti possiede un preciso valore morale, sarà infatti quella di rendere la coppia anonima; nuda perché è così che l’anima viene rappresentata, mescolata agli altri lussuriosi dai quali si allontanano solo per avvicinarsi a Dante e Virgilio.
Può valere, a questo punto, il confronto con la pittura di Masaccio. Ne La cacciata dei progenitori dall’Eden del 1425 ca. [fig. 2] i corpi nudi di Adamo e Eva, i loro volti contratti, straziati di dolore perché scoperti nel loro peccato, sembrano quelli di Paolo e Francesca e alla stregua dei due amanti italiani paiono pronunciare le stesse parole della cantica per giustificare la loro ingenuità: «soli eravamo e sansa alcun sospetto» (v. 129). La stessa immagine di Adamo affrescata da Masaccio somiglia a quella di Paolo descritta da Dante; mentre Francesca accusa il galeotto libro come Eva accusa il serpente, «l’altro piangea».
Il bacio fino all’Ottocento, quindi, non ha uno spazio figurativo, rimane relegato alla dimensione testuale delle poche terzine che ce lo tramandano. L’attenzione, nella maggior parte dei casi, è rimasta per lungo tempo tutta rivolta alle ‘migrazioni narrative’ di Dante, nonché agli aspetti allegorici e moralizzanti delle cantiche. La critica letteraria, tuttavia, è d’accordo nell’identificare nel bacio di Paolo e Francesca uno dei primi baci della letteratura italiana ed europea: non è lirico o cortese, afferma ancora Renzi, ma narrato e passionale.
Il bacio vero e proprio, dimenticato nel Seicento, riappare dunque tra Sette e Ottocento con la rinascita dell’interesse per Dante, quando Francesca da peccatrice lussuriosa diventa eroina dell’amore romantico. Questa metamorfosi epura il bacio e lo trasforma in un flashback di forte impatto emotivo: incastonato dentro una storia secondaria, il bacio esce dalla cornice del poema e aspetta di essere raccontato come fosse un’immagine cinematografica. Da qui in poi gli artisti contemporanei salvano dalla damnatio iconografica la scena dei due amanti, dando al verso-chiave «la bocca mi basciò tutto tremante» (v. 136) una nuova interpretazione visuale, e creando così una diversa ricezione iconografica dell’episodio. Gli artisti, infatti, a partire dalla fine del Settecento, non solo si rifanno a una ‘storia seconda’ interna al racconto di Dante – che sbuca dal sottofondo della cantica con tutta la sua forza passionale –, ma sono pionieri di un modo differente di recepire iconograficamente il canto dei lussuriosi. La visione privilegiata di un Dante simbolo di libertà e patriottismo assolve gli artisti dalla moralità insita negli intenti del poeta fiorentino. Così, ad esempio, Giuseppe Cades nel disegno acquerellato Paolo e Francesca: il bacio, il libro (1795 ca.) [fig. 3] ambienta il bacio in un lussureggiante giardino, lontano da occhi indiscreti, dove la figura di Gianciotto è sostituita da un Eros alato che punta il libro con il suo dito come fosse un dardo, quasi suggerendo di imitarne il contenuto. La bella Francesca mostra un seno nudo al suo amante che rivolge il corpo verso di lei, sfiorandole già le labbra. Da qui in poi l’episodio dantesco diventa pretesto per mettere in risalto con le arti figurative le passioni eterne dell’uomo.
Succede anche con formule più discrete, lì dove il bacio non è espressamente messo in scena, come nell’opera Paolo e Francesca di Anselm Feuerbach (1864) [fig. 4]. La lettura del galeotto libro, che risalta cromaticamente per le ‘lance bianche’ delle pagine tra le dita di lei, è immersa dentro una cornice di forte impatto sensuale. Nell’olio su tela di Feuerbach, il collo nudo e le braccia candide di Francesca, la mano di Paolo quasi pronta all’abbraccio, presagiscono il bacio che avverrà. Eros e thanatos, la pulsione alla vita e la forza distruttrice, estremi assoluti dentro il canto dei lussuriosi, sono come separati diagonalmente dagli arti dei due amanti. Alla stoffa cangiante del vestito di Francesca, che lussuriosamente si estende per più della metà della tela, si contrappone in alto a destra l’ombra minacciosa di una selva oscura, che pare inghiottire Paolo, ignaro di smarrire la retta via.
A questa altezza cronologica il bacio di Paolo e Francesca non è più censurato, e artisti come Igres, Gabriele Rossetti, Flaxman e Doré sono liberi di raffiguralo come ‘bacio dell’amore ritrovato’, seguendo lo stereotipo iconografico di un Paolo audace e impaziente, tutt’altro che tremante come nel racconto di Francesca a Dante, proteso con il suo corpo e le sue labbra verso la donna che ritrosa sembrerebbe non concedersi.
Vale la pena soffermarsi sull’episodio dei due amanti rappresentati dallo scultore August Rodin che, sul finire dell’Ottocento, riceve l’incarico per la realizzazione di una porta decorativa pensata per il nuovo Musée des Arts Décoratifs di Parigi. La creazione di una Porta dell’Inferno, su modello della Porta del Paradiso del Battistero di Firenze, realizzata nel Quattrocento da Ghiberti, ha per soggetto personaggi e episodi della Commedia, qui narrati in bassorilievo. Dal 1880, data della commissione della porta-scultura, fino al 1887, anno che sancisce una forma quasi definitiva della porta, si susseguono una serie di ripensamenti, varianti e rielaborazioni che faranno dell’opera un vero e proprio laboratorio creativo di Rodin. La scena che racconta l’episodio di Paolo e Francesca, inizialmente pensato per decorare una lesena della porta-scultura, viene rimossa dall’autore, consapevole del fatto che l’immagine dei due amanti, dentro un momento di felicità pura, non può armonizzarsi con il resto della composizione.
I personaggi della Commedia di Rodin, infatti, si staccano sempre di più dal portale di gesso e dal racconto dantesco, per incarnarsi in corpi a tutto tondo che non avranno più una specifica identità. Così se il Dante che pensa sul timpano della porta diventa Il pensatore, il gruppo scultoreo di Paolo e Francesca, scollandosi dalla cornice del portale, comincia a vivere un’esistenza propria. Pur alludendo ancora al canto dei lussuriosi i due amanti perdono la loro identità e diventano Le Baiser, [fig. 5] il loro stesso bacio, e insieme tutti i baci possibili. Il Bacio di Rodin diviene un’icona atemporale, rappresentando già nella cultura visuale di poco posteriore un simbolo per eccellenza della passione amorosa. Senza nomi e senza storie, senza tempo e senza spazio, questo fermo-immagine di verve michelangiolesca pare diventare una formula di passione; per dirla alla Warburg, una pathosformel, da cui possono ritornare o possono originarsi altre immagini, altre storie e altri baci.
Dove immaginare una Pathosformel del bacio dantesco? Dove trovare un’altra Francesca che bacia? Un simile invito a una visione più ampia e genuina è stato suggerito da Benedetto Croce, che nella Poesia di Dante consiglia di leggere la Commedia «come tutti i lettori ingenui la leggono e hanno ragione di leggerla», ossia badando poco alle allegorie e alle moralità, «godendo delle rappresentazioni poetiche, in cui tutta la sua multiforme passione si condensa, si purifica e si esprime» (Croce 1958, pag. 67).
Ancora Lorenzo Renzi, ne Le conseguenze di un bacio, ricerca una possibile discendenza di Francesca, tra seduzione e letteratura; anche l’ombra di un possibile bacio. Un valido e originale confronto è quello che vede incarnare in Emma Bovary una nuova Francesca, a cui Contini avrebbe potuto dare la stessa colpa, tutta letteraria, che addossa alla donna della cantica dantesca: essere un’intellettuale di provincia. Il bacio nel romanzo di Flaubert si avverte come atto di seduzione femminile, di passione e tradimento, e diviene causa di delusione, abbandono e morte. Anche la donna della Sonata a Kreutzer di Tolstoj è una Francesca che paga con la vita l’essersi innamorata di un altro uomo. Il racconto dell’uxoricida è la condanna di un bacio che sappiamo essere esistito.
La moderna Francesca incarnata, invece, in Anna Karenina vede l’impossibilità dell’amore sia nel suo matrimonio che nella relazione extraconiugale. Qui è il fallimento del bacio. Se all’interno di questi romanzi valgono le storie di Francesche dai nomi diversi, è possibile intercettare immagini di baci danteschi nella storia dell’arte e delle immagini che ci tramanda.
I corredi figurativi che illustrano le versioni contemporanee della Divina Commedia, commentati da Lucia Battaglia Ricci in Dante per immagini, appartengono ad artisti del calibro di Amos Nattini, Alberto Martini, Salvator Dalì, Mimmo Paladino, Achille Incerti. A questa disamina iconografica si aggiungono i Transfer Drawings di Robert Rauscherberg, e le originali rielaborazioni di Tom Phillips, Lorenzo Mattotti, Domenico Ferrari. Tuttavia, queste versioni contemporanee vivono dentro una comfort zone dove è prevedibile trovare l’immagine del bacio o suoi possibili rimandi. Interessante potrebbe apparire, invece, rintracciare l’iconografia del bacio dantesco lì dove sembra sia arrivata solo poggiandosi sulla superficie di storie e immagini diverse, lì dove, per la porosità insita nelle immagini, si avverta una remota somiglianza, una energia patetica, che ipotizzerebbe una Pathosformel. Il bacio di Rodin, infatti, slegatosi ormai dai due personaggi della cantica e trasformato in tutti i baci possibili, è diventato un modello che tramanda una gestualità intensa e piena di pathos, in grado di suggestionare l’immaginario di molti artisti. Diverse immagini, infatti, appartenenti a storie altre e lontane dal canto dei lussuriosi, svelano nella loro trama visiva e tra le loro tessiture cromatiche, elementi di baci passionali e di vortici amorosi. Oltre ai baci più famosi – quelli di Klimt, di Hayez e di Magritte –, ne esistono altri che sembrano far emergere una Pathosformel del bacio passionale.
I due amanti de Il bacio di Eduard Much (1897) [fig. 6], fusi dentro le stesse cromie, uniscono le loro labbra perdendosi l’uno dentro l’altra. Qui la bufera infernale è una stanza buia, ‘silenziata’ da lunghe pennellate di colore scuro. Anche Il compleanno del pittore bielorusso Marc Chagall, del 1917, [fig. 7] sintetizza nei due amanti che planano nell’aria senza tempesta un bacio che allunga i loro corpi, quasi fondendoli dentro un lento vortice. Il bacio di Picasso, del 1925, [fig. 8] esposto qualche anno fa a Palazzo Reale accanto a quello di Rodin e al Paolo e Francesca di Ingres, riduce dentro una forma cubista di linee morbide, vicina appena a un figurativo riconoscibile, un bacio che incastra i corpi dei due amanti in cromie crude e accese di gioia.
Il cinema non è da meno. Basti ricordare i pochi secondi di bacio nel film tratto da un romanzo, Da qui all’eternità, del 1953 [fig. 9], censurato e mutilato nelle bobine perché ritenuto scandaloso. Nella scena tante volte citata, Lancaster e la Kerr, amanti adulterini non solo per finzione cinematografica, si baciano distesi sulla battigia, travolti dal furore dalle onde. Questo fotogramma ricorda tutti i baci censurati che il protagonista del film Nuovo cinema Paradiso, del 1988, riguarda con malinconico voyerismo, dentro la scena più meta-cinematografica dell’intera pellicola. Nel film, le decine di baci proibiti e passionali ricordano tutti i possibili baci di Paolo e Francesca. Il bacio dei due amanti danteschi, infatti, nel senso narratologico espresso dalle teorie di Genette, è una ‘scena’ quasi madre, seppur originatasi dalle poche terzine che il canto gli dedica. Una scena che si stacca dalle ragioni testuali per abitare nel multiverso dell’espressione artistica, dilatandosi ed estendendosi fino al nostro presente.
Se nella Francesca da Rimini, tragedia in versi del 1901, il poeta vate D’Annunzio trova nel volto di Eleonora Duse l’immagine più reale e valida per rappresentare la femme fatale del canto dei lussuriosi [fig. 10], la dantista americana Teodolinda Barolini, scavando nella mitografia contemporanea, ci presentata Francesca come Lady Diana e viceversa; la storia e il destino della principessa del Galles richiamano alla memoria la peccatrice lussuriosa di Dante.
Barolini sostiene, infatti, che la figura di Francesca – personaggio secondario rispetto ai parenti da Polenta e Malatesta – sia stata trasformata da Dante in una protagonista letteraria, da romance, nel significato stringente di ‘saga’ o ‘romanzo rosa’. Da tale lettura, che veicola in sé connotati di narrazione gendered, proviene la crasi visuale proposta dalla dantista: Francesca e Diana, dentro fatti reali di cronaca, sono prigioniere di un matrimonio. Vittime di un tragico destino, condividono la stessa ricerca dell’amore vero, che trovano in Paolo e Dodi. E il bacio? Se della storia tra la Duse e D’Annunzio conosciamo le vicende nella sola testimonianza testuale che lascia a noi la libertà di immaginare – quasi con assoluta certezza – le loro effusioni lussuriose; nel caso della principessa Diana e Dodi Al - Fayed, possiamo attingere alla puntuale e inoppugnabile cultura delle immagini. Lo scatto fotografico che un paparazzo riuscì a rubare ai due novelli amanti, comparve nel mese di agosto del 1997 sul Sunday Mirror [fig.11]. Qui Diana e Dodi si stringono in un abbraccio intenso e, dirà il fotografo Mario Brenna autore dello scatto, si baciano per dieci secondi. La tragica fine sotto il Tunnel de l’Alma a Parigi in seguito condannerà i due amanti a un infelice destino.
L’occhio indiscreto della macchina fotografica, lo sguardo che spia i due amanti nella loro intimità come un Gianciotto nascosto nell’ombra pronto a colpire, sono parte integrante del fatto di cronaca, sono materiale narrativo. Le foto drammatiche dello schianto circolarono in rete ma nessun quotidiano decise mai di pubblicarle. Erano foto di morte. L’immagine di quel bacio in Costa Smeralda, invece, di Diana e Dodi seminudi e stretti l’uno tra le braccia dell’altra si è caricato e stratificato di tutti gli sguardi romantici, entrando a pieno diritto dentro la nostra cultura visuale, una foto di vita che ha mitizzato l’immagine della ‘principessa triste’. Il titolo emblematico che riportava il tabloid inglese era ‘The kiss’.
Bibliografia
L. Battaglia Ricci, Dante per immagini. Dalle miniature trecentesche ai giorni nostri, Torino, Einaudi, 2018.
M. Carboni, L’occhio e la pagina, tra immagine e parola, Jacka Book, Milano, 2018.
B. Croce, La poesia di Dante, Roma-Bari, Laterza, 1958.
F. Farina, ‘Dinamica, Sintetica e Visionaria: Francesca da Rimini tra futurismo, Marinetti e Masnata’, in Parola di donna, Giornate Internazionali di studio dedicate a Francesca da Rimini, Terza edizione, Rimini, Museo della Città, 26 - 28 giugno, 4 luglio 2009; Rimini, Romagna arte e storia.
F. Farina, ‘Dall’inferno a paradiso; appunti sulla trasformazione di Francesca da Rimini nelle arti visiva tra XV e XX secolo’, in Donne all’Inferno. Francesca da Rimini & Co. Tra peccato, virtù ed eroismi, Giornate Internazionali Francesca da Rimini, Sesta edizione, Los Angeles, 20 - 21 aprile 2012; Rimini Romagna arte e storia.
O. Mandel’stam, Conversazione su Dante, a cura di Remo Facciari, Genova, Il Melangolo, 2007.
L. Renzi, Le conseguenze di un bacio. L’episodio di Francesca nella Commedia di Dante, Bologna, Il Mulino, 2007.
Sitografia
B. Aveillan (regia di), Rodin, Divino inferno, Arte production, Francia, 2017, in Raiplay, https://www.raiplay.it/programmi/rodin-divinoinferno.
L. Renzi, Per Francesca, dal Lancillotto in prosa al Canto V, Lezioni dei maestri della scuola di Filologia Patavina, DiSLL, Università degli Studi di Padova, 13 luglio 2017, https://www.youtube.com/watch?v=iap-VsAAyaA.