3.7. Irrappresentabili Erinni

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Sono stato razionale e sono stato

irrazionale: fino in fondo.

P.P. Pasolini, Frammento alla morte

 

Nel dicembre 1968 Pier Paolo Pasolini inizia le riprese (in Tanzania e Uganda) di Appunti per un’Orestiade africana, film tratto dall’Orestiade di Eschilo che avrebbe dovuto far parte di un progetto mai realizzato dal titolo Poema del Terzo Mondo, riguardante i cinque continenti in via di sviluppo (Africa, India, Paesi Arabi, America del Sud, Nord America).

Il tema principale degli Appunti, ricercato attraverso la lettura della tragedia trasposta nell’Africa moderna, è la trasformazione delle Furie, definite fin da subito «le dee del terrore atavico, ancestrale», in Eumenidi, o meglio la possibile attuazione di tale processo, il quale consente infine che le divinità dei sogni e dell’irrazionale coesistano accanto alla democrazia razionale. Di particolare interesse è dunque l’immagine che Pasolini sceglie per le Erinni, «irrappresentabili sotto l’aspetto umano» e quindi rintracciabili solo nella mostruosità e nella terribilità di grandi alberi «perduti nel silenzio della foresta», che incarnano l’irrazionalità animale contrapposta alla ragione delle Eumenidi. Le Furie sono ritrovate, più in generale, nella solitudine, nei silenzi e nelle forme mostruose che può assumere la natura, proprio perché, come afferma la voce narrante, «sono le dee del momento animale dell’uomo». Così, di fianco all’immagine degli alberi, Pasolini ipotizza anche quella di una leonessa ferita, «perduta nel suo cieco dolore». La possibilità di concepire diversi alias per i ‘personaggi’ (vale per le Furie ma anche per Agamennone) veicola le due idee portanti del progetto: la centralità dell’autore quale artefice unico e il pretesto degli appunti. Tale dicotomia è d’altronde rivelata fin da subito: nella prima inquadratura Pasolini, camera in spalla, si specchia nella vetrina di un negozio di una città africana, spiegando: «sono venuto evidentemente a girare, ma a girare che cosa? Non un documentario, non un film, sono venuto a girare degli appunti per un film». Credo sia precisamente con tale strategia che l’autore riesce a rispettare la volontà di caratterizzarsi quale unico creatore dell’opera, dall’ideazione alla realizzazione. Questo intento parte da un presupposto metodologico: Pasolini cerca negli Appunti di riproporre le modalità creative di cui si serve in scrittura, caratterizzate da continue modifiche, cancellature, revisioni e riletture. Può farlo proprio in quanto unico autore: oltre a porsi fin da subito come concreto realizzatore delle scene (operatore di camera), presta anche la propria voce ad ogni immagine, esegue il montaggio e chiede personalmente a Gato Barbieri di commentare in senso musicale le riprese. Si tratta di un possesso completo, dall’intuizione all’espressione, che permette cambiamenti e correzioni: negli Appunti Pasolini dimostra di non avere bisogno di operatori, voci narranti, addetti alle luci, costumisti, e nemmeno di attori (è lui infatti a scegliere chi inquadrare in una moltitudine di volti). L’idea stessa di portare nell’Africa contemporanea la tragedia di Eschilo è modificata in corso d’opera: in un primo momento sono scelti l’ambiente e i personaggi, poi il racconto è interrotto da una parte musicale, che risponde alla nuova intuizione di Pasolini di «fare cantare anziché far recitare l’Orestiade. Farla cantare per la precisione nello stile del jazz e, in altre parole, scegliere dunque come cantanti-attori dei negri americani».

È dunque all’interno di questo dispositivo che si inserisce perfettamente l’ipotesi della rappresentabilità delle Furie attraverso elementi naturali, ma non solo: Pasolini deve trovare una corrispondenza visiva per la trasformazione delle Erinni in Eumenidi. La centralità di questo momento (le Furie sono destinate a essere sconfitte e scomparire, e con esse a scomparire è il mondo degli avi, il mondo ancestrale) emerge d’altronde a partire dalla scelta stessa dell’ambientazione nell’Africa moderna, rivelata nel corso della prima intervista agli studenti africani, quando l’autore riconosce esplicitamente le analogie tra la situazione dell’Orestiade e quella dell’Africa di oggi (si sottolinea in particolare la vicinanza tra la civiltà tribale africana e quella arcaica greca). D’altronde, per Pasolini l’apice della tragedia è costituito proprio dal momento in cui Atena attua la trasformazione: nella Lettera del traduttore si legge che «nessuna vicenda, nessuna morte, nessuna angoscia delle tragedie dà una commozione più profonda e assoluta di questa pagina». L’autore si mostra particolarmente interessato a questo passaggio, perché tocca uno dei nodi di tutta la sua poetica: le Eumenidi non si sostituiscono completamente alle Erinni, cancellandole, ma si compenetrano le une con le altre. L’irrazionale, dopo aver perso il lato oscuro e distruttivo, permane: è questo il tema profondo dell’Orestiade, che, come propone Pasolini, sembra riassumere la storia dell’Africa degli ultimi cento anni, cioè il passaggio brusco da uno stato selvaggio e a uno stato civile e democratico.

Avviandosi verso la conclusione, l’autore deve trovare un’immagine che possa rendere tale trasformazione, e quindi un’immagine dell’Africa nuova (sintesi dell’Africa moderna, indipendente e libera, e dell’Africa antica): tutto ciò sembra concretizzarsi in scene di danze tribali, dove può avverarsi la sintesi tra razionalità e irrazionalità (quella che Fusillo definisce «utopia della sintesi»). Pasolini riprende, infatti, la danza della tribù dei Wa-gogo: qui la trasformazione si mostra chiaramente. Quelli che un tempo erano movimenti carichi di significati profondi, ora sono solo gesti allegri, svuotati del loro antico valore: «ecco una metafora di quella che potrebbe essere la trasformazione delle Furie in Eumenidi». Un’altra situazione analoga, in grado di rappresentare poeticamente tale passaggio, è colta in occasione di una festa di matrimonio: di fronte alle immagini di donne che danzano accennando a un mondo magico, l’autore lascia la parola a Eschilo, citando il passaggio in cui Atena parla alle Furie subito dopo la loro trasformazione: «chi non capisce che è giusto accettare tra noi queste primordiali divinità, non capisce i contrasti della vita».

 

Bibliografia

M. Fusillo, La Grecia secondo Pasolini. Mito e cinema, Scandicci, La Nuova Italia, 1996.

P.P. Pasolini, Per il cinema, a cura di W. Siti e F. Zabagli, Milano, Mondadori, 2001.