Sono stato razionale e sono stato
irrazionale: fino in fondo.
P.P. Pasolini, Frammento alla morte
Nel dicembre 1968 Pier Paolo Pasolini inizia le riprese (in Tanzania e Uganda) di Appunti per un’Orestiade africana, film tratto dall’Orestiade di Eschilo che avrebbe dovuto far parte di un progetto mai realizzato dal titolo Poema del Terzo Mondo, riguardante i cinque continenti in via di sviluppo (Africa, India, Paesi Arabi, America del Sud, Nord America).
Il tema principale degli Appunti, ricercato attraverso la lettura della tragedia trasposta nell’Africa moderna, è la trasformazione delle Furie, definite fin da subito «le dee del terrore atavico, ancestrale», in Eumenidi, o meglio la possibile attuazione di tale processo, il quale consente infine che le divinità dei sogni e dell’irrazionale coesistano accanto alla democrazia razionale. Di particolare interesse è dunque l’immagine che Pasolini sceglie per le Erinni, «irrappresentabili sotto l’aspetto umano» e quindi rintracciabili solo nella mostruosità e nella terribilità di grandi alberi «perduti nel silenzio della foresta», che incarnano l’irrazionalità animale contrapposta alla ragione delle Eumenidi. Le Furie sono ritrovate, più in generale, nella solitudine, nei silenzi e nelle forme mostruose che può assumere la natura, proprio perché, come afferma la voce narrante, «sono le dee del momento animale dell’uomo». Così, di fianco all’immagine degli alberi, Pasolini ipotizza anche quella di una leonessa ferita, «perduta nel suo cieco dolore». La possibilità di concepire diversi alias per i ‘personaggi’ (vale per le Furie ma anche per Agamennone) veicola le due idee portanti del progetto: la centralità dell’autore quale artefice unico e il pretesto degli appunti. Tale dicotomia è d’altronde rivelata fin da subito: nella prima inquadratura Pasolini, camera in spalla, si specchia nella vetrina di un negozio di una città africana, spiegando: «sono venuto evidentemente a girare, ma a girare che cosa? Non un documentario, non un film, sono venuto a girare degli appunti per un film». Credo sia precisamente con tale strategia che l’autore riesce a rispettare la volontà di caratterizzarsi quale unico creatore dell’opera, dall’ideazione alla realizzazione. Questo intento parte da un presupposto metodologico: Pasolini cerca negli Appunti di riproporre le modalità creative di cui si serve in scrittura, caratterizzate da continue modifiche, cancellature, revisioni e riletture. Può farlo proprio in quanto unico autore: oltre a porsi fin da subito come concreto realizzatore delle scene (operatore di camera), presta anche la propria voce ad ogni immagine, esegue il montaggio e chiede personalmente a Gato Barbieri di commentare in senso musicale le riprese. Si tratta di un possesso completo, dall’intuizione all’espressione, che permette cambiamenti e correzioni: negli Appunti Pasolini dimostra di non avere bisogno di operatori, voci narranti, addetti alle luci, costumisti, e nemmeno di attori (è lui infatti a scegliere chi inquadrare in una moltitudine di volti). L’idea stessa di portare nell’Africa contemporanea la tragedia di Eschilo è modificata in corso d’opera: in un primo momento sono scelti l’ambiente e i personaggi, poi il racconto è interrotto da una parte musicale, che risponde alla nuova intuizione di Pasolini di «fare cantare anziché far recitare l’Orestiade. Farla cantare per la precisione nello stile del jazz e, in altre parole, scegliere dunque come cantanti-attori dei negri americani».