3.4. Recitazione e rotocalchi, movimento e fissità. Anna Magnani: 1945-1948

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  • [Smarginature] Vaghe stelle. Attrici del/nel cinema italiano →

1. Immagini di una nuova bellezza: le dive nel/del neorealismo

Queste note su Anna Magnani fanno da corollario a un progetto di ricerca dedicato al divismo neorealista e all’identità femminile, che mi ha visto impegnata a indagare il ruolo svolto dalla pubblicistica popolare cinematografica italiana nell’immediato secondo dopoguerra. All’interno di questo scenario ho cercato di analizzare come i rotocalchi abbiano contribuito alla promozione di volti ma soprattutto di corpi femminili ‘nuovi’; in che modo abbiano operato una cesura rispetto al passato, e che relazione abbiano stabilito con la stagione neorealista nonché con le immagini successive del femminile, quelle prodotte a ridosso degli anni del boom (Pierini 2017).

Attraverso lo spoglio di alcune delle principali testate – Star (1944-1946), Film d’oggi (1945-1947), Hollywood (1945-1949), Film rivista (1946-1948), Fotogrammi (1946-1949), Cinelandia (1946), Cinestar (1946-1947) e Bis (1948-49) – ho potuto individuare alcune linee di tensione che riguardano l’esistenza di forme plurime di divismo in epoca neorealista, ciascuna segnata da caratteristiche proprie. Si tratta di uno stardom che in parte assimila (superficialmente) alcune istanze del neorealismo e in parte invece le nega o le contraddice, in dialettica con il cinema hollywoodiano – e che per di più si muove in uno spazio autonomo ed eccentrico rispetto alla produzione cinematografica vera e propria.

All’interno di un panorama sfaccettato – che qui riassumo attraverso due collage di immagini [figg. 1-2] – sono emersi, sul versante propriamente iconografico, due paradigmi per certi aspetti complementari, che rivelano la centralità della donna come dispositivo e motore di imagery. Le copertine dei rotocalchi offrono una variegata galleria di volti, tra cui si riconoscono grandi dive del passato tornate a nuovi onori, attrici di secondo piano sospinte alla ribalta e dive esordienti: in ciascuno di questi casi stupisce l’attenzione per i dettagli, la sottolineatura di toni ora glamour ora naïf, ad assecondare diverse temperature di sguardo e di racconto. I corpi di stelle famose, o di interpreti pressoché anonime, campeggiano invece soprattutto nelle pagine interne o nel retro di copertina; si distendono su superfici insolite, in pose che disegnano geografie del desiderio piuttosto esplicite. In una stagione «di frenesie e di improvvisazioni, […] di fondazioni sistematiche o totalizzanti o di vacue divagazioni» (Pellizzari 2003, p. 469), il corpo femminile gioca un ruolo cruciale: funge da richiamo e, ovviamente, da stimolo e da appagamento di una generica pulsione voyeuristica, ma è anche l’espressione concreta di uno scenario, divistico ma non solo, che è in mutamento e in via di ridefinizione (Pierini 2017).

 

2. L’anomalia Magnani

In questo quadro, per contrasto, è emersa quella che definirei «l’anomalia Magnani». Innanzitutto una considerazione di tipo quantitativo: la presenza dell’attrice sui rotocalchi è inferiore rispetto a quella di altre attici (Calamai, Miranda, Valli, ma anche Del Poggio, Parvo, Michi), e rare sono le copertine a lei dedicate. Forse non c’è nulla di strano nel fatto che Anna Magnani non partecipi di questa temperie, o vi partecipi in una posizione del tutto singolare, facendo caso a sé. In questa sede mi interessa indagare l’anomalia, ovvero la qualità e la tipologia di presenza di Magnani, per provare a comprendere le ragioni della sua scarsa ricorrenza nel periodo immediatamente successivo a Roma città aperta – che è sì uno spartiacque nella storia del cinema italiano, e tanto più nella sua carriera, ma che evidentemente tarda o fatica a essere assimilato, almeno su queste pagine.

L’intervallo cronologico cui faccio riferimento va da Abbasso la miseria! (di G. Righelli, 1945) fino a Molti sogni per le strade (di M. Camerini, 1948): sono anni densi anche se oscillanti per quanto riguarda ruoli e tipologia di pellicole, durante i quali Magnani prende parte a ben dieci film. Nonostante questa fervida attività sul set lo spoglio delle riviste ci consegna una situazione per l’appunto anomala: se è vero che la sua bellezza non canonica, «troppo plebea e troppo poco statuaria» (G.C. Castello in Gundle, 2007, p. 200), si adatta poco al cliché della diva da copertina, audace e spesso disinibita, resta il fatto che l’attrice è molto attiva e richiama quindi l’attenzione della stampa, che dà conto di film in lavorazione, di anteprime, di progetti ecc. L’interesse verso Magnani non trova però riscontro adeguato sul piano iconografico: di lei dunque si parla, e si scrive, eppure la sua presenza, il suo volto e il suo corpo sembrano curiosamente diventare – su queste pagine che di corpi e di volti sono piene – elementi secondari.

Qual è allora il personaggio Magnani proposto sui rotocalchi? Su quali differenti piani si articola?

 

3. I ritratti

Il primo livello di presenza riguarda ovviamente i ritratti, le foto di scena e le foto promozionali. È sufficiente osservare alcuni esempi [figg. 3-5], e raffrontare questi scatti con i fotogrammi del film, per capire che l’attrice Magnani sui rotocalchi cinematografici fa problema. Se la pulsione primaria della fotografia è mostrare «qualcosa che c’è» (Sontag 1978, p. 6) potremmo dire che queste immagini in realtà rivelino ‘cosa non c’è’. Le fotografie – soprattutto alcune – interpretano infatti Magnani secondo un effetto di normalizzazione, di appiattimento: la rendono dunque bidimensionale, escludendo gli elementi propri della sua performatività, non riuscendo a catturare la sua energia in una posa. Il suo corpo attoriale e divistico eccede il carattere statico di questi scatti, e a predominare è una temperatura drammatico-patetica, laddove questa è solamente una delle sfumature della sua tavolozza. Si tratta quindi di immagini ‘mute’, ‘rigide’ che non riescono a restituire in alcun modo la qualità di presenza di Magnani sullo schermo e per di più elidono i segni riconducibili alla sua recitazione, o più precisamente al suo idioletto d’attrice.

Proviamo a scendere più nel dettaglio. La staticità che le viene imposta è particolarmente lesiva della componente stratificata, duplice o multipla della sua presenza. Le pose fissano un piano, negandone inevitabilmente altri. In questo tipo di ritrattistica le polarità di Magnani vengono cancellate: il suo muoversi sempre tra poli apparentemente contradditori («authenticity and artistry, spontaneity and technique, nature and culture» - Pitassio 2018) si cristallizza, perdendo così profondità e spessore. Dal punto di vista tecnico, le foto di scena non solo isolano Magnani dal contesto, la privano di uno dei motori fondanti del suo dinamismo (ovvero la relazione con il/la/i partner), ma non possono ovviamente rendere gli scarti continui, i cambi di ritmo, i raddoppi di battute, l’uso delle braccia, l’incessante doppio piano vocale e gestuale (che O’Rawe ha indicato nella formula «Magnani’s dynamism and active physical and vocal presence» - O’Rawe 2017, p. 161), la camminata impetuosa, le posture da sciantosa, le mani sui fianchi, la bocca aperta, e neanche la sua espressività più convenzionale, che pure c’è ed è molto rilevante proprio nella dialettica con il vettore del dinamismo. Manca quindi in questi ritratti l’aspetto profondamente agonico della sua recitazione, nonché quella «overwhelming eruption» (Pitassio 2018) su cui è costruita la sua performance più nota, ovvero quella di Pina. Magnani sembra dunque diventare, un po’ paradossalmente, un’attrice non fotografabile perché è incapace di stare ferma, di stare in posa: non può diventare mera superficie, o forse non vuole essere fissata, come se di fronte all’obiettivo del fotografo smettesse di pulsare.

 

4. I profili d’attrice e le foto rubate

Accanto a queste forme di ritrattistica che, come detto, tendono per lo più ad attenuare e normalizzare i tratti eccentrici della bellezza e dell’attorialità di Magnani, si fanno strada altre modalità di racconto della diva che confermano, in altre forme, la sua anomalia ma smussano l’attrito fra discorso cronachistico, raffigurazione iconografica e dato di realtà.

È la fama conquistata fuori dai confini nazionali (in particolare dopo il conferimento del premio del National Board of Review per Roma città aperta), a offrire lo spunto per quella che pare essere, a partire dal 1947, una parziale riconfigurazione della sua immagine su queste pagine: il nome Magnani viene spesso associato a quello di Roberto Rossellini: «I MIGLIORI DEL MONDO» recita un titolo di Fotogrammi (10 gennaio 1947), e l’apparato iconografico di accompagnamento di questa tipologia di articoli rinuncia almeno in parte alle immagini ‘ufficiali’, patinate ma un po’ polverose, e si arricchisce di foto non in posa, spesso di piccolo formato. L’attrice, distante dal gioco dell’esposizione di sé e della glamourizzazione, e apparentemente incurante della presenza di un dispositivo che ne fissa il movimento, viene finalmente catturata, come dice una delle didascalie, nelle sue «espressioni naturalissime».

Magnani compare anche in alcuni ‘profili di attrice’, ovvero brevi saggi in cui la riflessione sui modi della sua recitazione si mescola a notazioni di colore. Nell’apparato discorsivo c’è più spazio per sviscerare la complessità, e l’anomalia, della presenza di Magnani. Si pensi all’articolo di Mercutio-Vincenzo Talarico su Star (n. 7, 23 settembre 1944) precedente al film di Rossellini e significativamente intitolato Ritratto di un’eccentrica:

La sua personalità non tollera ripartizione. Uno è il suo temperamento. […] Eccentrica non già per i suoi vestiti, i suoi cani, la sua conversazione non perfettamente addomesticata, le leggende che ama creare intorno al suo nome, ecc. Eccentrica, invece, perché nel mondo illusionistico e convenzionale del palcoscenico ha un posticino tutto per sé. E guai a volerglielo usurpare.

O ancor più a quello di Fabrizio Saramani pubblicato su Fotogrammi (n. 6, 6 luglio del 1946), che sembra cominciare a fare i conti con Anna Magnani post Roma città aperta, e pure con una certa enfasi:

Il suo stile nasce dall’istinto […]. Con una prepotenza passionale e lirica che supera i compromessi, essa non serve il personaggio, ma lo diventa. Il segreto è qui. Al personaggio dà tutto il cuore. Senza risparmio. Con una prodigalità innocente, oso dire selvaggia. Taluni colori, sapori e aspetti della vita romana, della vita insomma, di una caratteristica vita che ha in sé insomma, al di sopra di ogni retorica, un valore di bellezza e di consistenza universali, Anna Magnani li ha tradotti in una potenza espressiva attraverso la quale ciò che era cronaca è diventato poesia.

Non mancano le contraddizioni e i paradossi in questi profili, da cui emerge soprattutto la difficoltà a far collimare scena e fuori scena; e se al centro dell’apparato discorsivo si colloca l’interrogazione, non priva di osservazioni acute, sul fenomeno Magnani, la colonna visiva in questi casi diventa secondaria. Un profilo firmato da Enrico Giannelli del 1948 (Cinestar, n. 31, 5 agosto 1948) sembra però parzialmente risolvere il conflitto tra star persona e performance, e tra testo e immagine, indicando un punto di equilibrio all’interno di questo tipo di pubblicistica [fig. 6]. Le due pagine individuano una chiave per riflettere su Magnani e pure per ritrarla, offrendo al «lettore-spettatore» (De Berti, 2009, p. 9) l’impressione di coglierla nel vivo del suo essere diva e attrice. E donna. Giannelli infatti scrive:

Anna Magnani non ha creato il tipo: è rimasta una donna: per questo si è imposta con una personalità che ignora le gerarchie del cinema, ed è tutta sua. Quando essa appare sullo schermo, dal suo volto irregolare e scavato, dal suo corpo, dai suoi atteggiamenti impulsivi traspare tutta la misteriosa umanità della donna; e l’anima traspare dal volto: una anima inquieta, tormentata da una sofferenza senza posa, avida e dolorante di vita.

L’apparato iconografico di accompagnamento insiste su una singolare commistione di tratti divistici e tratti di autenticità, si snoda tra posa e movimento, tra premeditazione e improvvisazione, rilanciando peraltro la presenza del suo corpo (a lungo rimosso). Magnani in queste immagini è sì in posa, ma non appare rigida. È a suo agio, a casa sua, tra oggetti a lei familiari. Persiste una patina di glamour, ma è un glamour casereccio, affabile, piccolo borghese.

Intorno al 1948 Magnani conquista dunque uno spazio che va al di là dei film, e viene sempre più spesso immortalata in contesti pubblici, a volte vestita con grande eleganza e a volte invece stretta in abiti comuni; in queste pagine prevale alla lunga la logica del gossip, con episodi perfino amari come quelli legati ad alcune foto ‘rubate’ apparse su Bis tra il 1948 e il 1949 che sembrano sadicamente ritrarne la sciatteria e l’ineleganza [fig. 7]: del resto è il periodo che precede il trionfo dei ‘paparazzi’ e in cui prende quota un fotogiornalismo che non si pone il problema dell’artisticità della fotografia, perché «l’importante è che documenti, che sia “palpitante”» (Patellani in D’Autilia, 2012, p. 233). La rigida figurazione di Magnani si frantuma, e le «espressioni naturalissime» di cui si diceva sopra possono assumere valenze opposte. Colta all’improvviso, Magnani è presenza cangiante, dialettica (cfr. Rigoletto, 2017, p. 155), segnata da una pluralità di toni, che oscillano da un’ostentata mondanità a un’autentica passione d’istinto, senza escludere la singolare e unica commistione di alto e basso.

 

5. Il fumetto

In questo torno di tempo emerge poi una questione cruciale: comincia a essere chiaro che Magnani è molto ammirata ma non altrettanto amata, e così trovano spazio commenti e ritratti ‘pungenti’ della diva, come quello se pur amichevole di Anton Giulio Bragaglia, apparso su Film rivista il 31 gennaio 1947, che lodandola e definendola «una intellettuale di primo piano» non manca di sottolineare i suoi capricci, le sue bizze e pure il suo «avido egoismo».

L’ultima immagine [fig. 8] su cui voglio soffermarmi si pone su questa linea ma rappresenta un unicum rispetto alle formule consuete di costruzione dell’immagine divistica di Magnani su questo tipo di pubblicistica. Si tratta di un fumetto, realizzato da Ciriello per 8. Settimanale di varietà (n. 9, 16 marzo 1947) che risulta particolarmente interessante per almeno due ragioni. Da una parte il disegno restituisce qualcosa di più dell’istante fotografico: mette in relazione, infatti, i piani della presenza con il corpo, il volto e alcune posture tipiche, e significativamente fa emergere la bocca e quindi il canto, ovvero due elementi/luoghi chiave della sua performance. Dall’altra, trattandosi di un’opera di stampo satirico, lo sviluppo e l’inclinazione delle tavole danno libero sfogo a quel risentimento, a quella insofferenza connessi alla difficoltà di assimilazione della figura di Magnani nel contesto di una pubblicistica fortemente irreggimentata e orientata verso una precisa visione del femminile.

Il percorso qui delineato è ancora frammentario e lacunoso, richiede evidentemente ulteriori approfondimenti e revisioni, ma mi è parso importante sondare l’ipotesi di una disgiunzione, di una dialettica tra immagine fissa e immagine in movimento, nonché tra recitazione e rotocalchi. Sono emersi alcuni elementi che corroborano l’ipotesi dell’esistenza di una specie di buco, di omissione, nella ‘rimediazione’ del percorso e della figura di Anna Magnani dopo Roma città aperta nell’ambito della pubblicistica popolare e nel contesto variegato di un divismo prevalentemente incentrato sul corpo.

L’immagine dell’interprete che aveva incarnato la più pregnante immagine della Resistenza, colei aveva dato vita alla «scena inaugurale del cinema italiano» (Grignaffini 1996, p. 376), viene messa qui pesantemente in questione, come diva, come attrice e come donna.

 

*Le immagini e i documenti riprodotti appartengono alla Collezione del Museo Nazionale del Cinema di Torino

Bibliografia

G. D’Autilia, Storia della fotografia in Italia. Dal 1839 a oggi, Torino, Einaudi, 2012.

R. De Berti, ‘Rotocalchi tra fotogiornalismo, cronaca e costume', in Forme e modelli del rotocalco italiano, a cura di R. De Berti e I. Piazzoni, Milano, Cisalpino-Monduzzi, 2009.

G. Grignaffini, ‘Il femminile nel cinema italiano. Racconti di rinascita’, in Identità italiana e identità europea nel cinema italiano, a cura di G.P. Brunetta, Torino, Edizioni della Fondazione Giovanni Agnelli, 1996, pp. 357-387.

S. Gundle, Figure del desiderio. Storia della bellezza femminile italiana, trad. it. di M. Pelaia, Roma-Bari, Laterza, 2007.

M. Pierini, ‘Inventare una nuova bellezza. Corpo femminile e rotocalchi, tra liberazione, divismo e neorealismo (1944-1948)’, La valle dell’Eden, 30, 2017, pp. 32-43.

C. O’Rawe, ‘Anna Magnani. Voice, Body, Accent’, in Locating The Voice in Film. Critical Approaches and Global Practices, ed. by. T. Whittaker, S. Wright, New York, Oxford University Press, 2017, pp. 157-172.

L. Pellizzari, ‘Il cinema pensato: tra liberazione e colonizzazione’, in Storia del cinema italiano 1945-1948, VII, a cura di C. Cosulich, Roma-Venezia, Centro Sperimentale di Cinematografia-Marsilio, 2003, pp. 467-486.

F. Pitassio, ‘Popular Culture, Performance, Persona. Anna Magnani Between Rome Open City and The Rose Tattoo’, in Journal of Italian Cinema and Media Studies, 2018 in corso di stampa. Ringrazio l’autore per avermi concesso la lettura del saggio in anteprima.

S. Rigoletto, ‘(S)vestire Anna Magnani. La costruzione del soggetto autentico attraverso i costumi’, in Intorno al neorealismo. Voci, contesti, linguaggi e culture dell’Italia del dopoguerra, a cura di G. Carluccio, E. Morreale, M. Pierini, Milano, Scalpendi, 2017, pp. 151-159

S. Sontag, Sulla fotografia [1973], trad. it. di E. Capriolo, Torino, Einaudi, 1978.