4.3. Pinocchio. Lo Spettacolo della Ragione di Armando Punzo

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Per la realizzazione di Pinocchio. Lo Spettacolo della Ragione, Armando Punzo pensa alla genesi del romanzo Le avventure di Pinocchio, ricordando che, nelle intenzioni di Carlo Collodi, Pinocchio non doveva crescere e trasformarsi in umano. La sua fine coincideva con la morte per impiccagione al ramo della Quercia grande, per mano del Gatto e della Volpe: furono le pressioni dell’editore del «Giornale per i Bambini», sulle pagine del quale il romanzo era uscito a puntate nel 1881, assieme all’insistenza del pubblico infantile, a spingere l’autore a resuscitarlo attraverso l’intervento della fata bambina, vera genitrice della sua metamorfosi. L’essere di carne e di legno di Pinocchio e, quindi, la diversità che lo anima prima dell’acquisizione di un destino condizionato da una morale perbenista, spinge invece Punzo a ipotizzare che, una volta affacciatosi alla realtà, Pinocchio la respinga e inverta il processo, per ‘ritornare burattino’. Il regista disconosce, quindi, il telos della trasformazione umana e riscrive Pinocchio per dire, piuttosto, le ‘proprie ragioni’. Nello specifico, per raccontarsi e rivendicare la dimensione artistica del proprio lavoro: meglio essere diversi e circondarsi degli amici che la storia ha relegato al ruolo di cattivi, che accettare la bontà di una vita normale, che non sembra tale, o l’impiego di un teatro ridotto alla sua funzione sociale.

Il primo studio di Pinocchio. Lo Spettacolo della Ragione debutta il 23 luglio 2007 ed è seguìto, nell’estate successiva, dalla versione definitiva, secondo la consueta gestazione degli spettacoli di Punzo, esito di tempi lunghi di creazione e prova. Alla Fortezza Medicea di Volterra il pubblico accede attraverso una serie di cancelli e controlli, lasciando dietro di sé ogni effetto personale, per assieparsi sulle gradinate interne a una scatola nera dalle alte pareti, che fanno da tramite tra il cielo di una cocente giornata estiva e l’abbondante sabbia che ricopre il suolo, nonché da appoggio a teste d’asino nere rivolte verso il basso, dove gli spettatori si trovano, così, isolati dalla realtà carceraria appena esperita. Punzo è in scena al loro ingresso, vestito della giacca e dei pantaloni neri che sono ormai segno riconoscibile della sua ‘persona’. Cammina nervosamente, si dimena e fruga tra la sabbia, mentre la sua voce fuori campo ne ricorda l’aggirarsi inquieto tra le stanze e gli oggetti della casa d’infanzia. In fondo, un ciuco dalle lunghe orecchie (Aniello Arena) regge la cornice bucata di un quadro che lo mostra immobile, come una maschera atemporale che si anima per mano e in funzione dell’attore-regista [fig. 1]: il suo vissuto personale slabbra la trama del racconto e indica, chiaramente, nella persona-Punzo, e nel suo teatro, l’autore-artifex di questo Pinocchio.

Approssimatosi a un microfono, Punzo prova a pronunciare alcune parole, ma la voce si altera, cede a un raglio asinino, inceppa in un balbettio impedito fino a sfociare in una sonorità esile: il respiro di Pinocchio è così ‘estratto’ dal corpo e fa da prologo alla nascita figurale del personaggio, quando l’attore chiede a uno spettatore di attaccargli un naso posticcio [fig. 2] e, muovendosi a scatti, trasforma l’espressione smarrita del volto in un sorriso forzato. Porta in scena alcuni oggetti, come un busto che reifica l’immagine umana, e un fantoccio identico per fisionomia e abiti alla propria immagine quotidiana [fig. 3], fantoccio-cadavere cui si rivolge con il nome di Sancho, perciò alludendo al realismo e alla praticità del personaggio di Cervantes.

Avverso al processo di umanizzazione del romanzo collodiano, il Pinocchio di Punzo invoca la morte della fatina e il proprio funerale, subito accontentato da uomini dal volto coperto che lo portano in spalla come un defunto [fig. 5]. Chiama i propri amici, che obbediscono, invadendo la scena nelle loro maschere carnevalesche: Gatto e Volpe, il Coniglio bianco e altre figure che pescano nei costumi (e nella storia) di precedenti spettacoli. Dietro di lui, una finestra e una porta si aprono su una normalità rappresentata da una cucina e da personaggi che inneggiano alla morale e alle logiche del sano vivere quotidiano. Cuochi indaffarati tagliano e affettano cibo, richiamando i progetti di slow food che minacciavano l’esistenza della Compagnia della Fortezza nel periodo di creazione dello spettacolo e, indirettamente, l’idea di una società ridotta a bisogni biologici e al consumo. Uno scolaro uscito dalle Avventure collodiane, con grembiulino e libro in mano, sollecita Pinocchio a seguirlo e, in un’inversione di ruoli rispetto al romanzo, lo sprona a una perdizione che coincide col richiamo all’ordine, contrastante il raglio dolente dell’amico Lucignolo. Si unisce, in seguito, a Mangiafuoco e a un improbabile Elvis in blu che attira il burattino dentro il proprio teatrino della realtà [fig. 5] con l’esca di una vita spensierata: meglio una birra o «La Gazzetta dello Sport» che non quei libri che agitano la mente.

Incastonata dentro le geometrie di porte e finestre, la realtà contrasta, pertanto, con lo spazio fisicamente chiuso, ma simbolicamente indefinito e potenzialmente immenso della spiaggia, dove le tracce di Pinocchio si perdono in un caos crescente che, solo nel finale, è stemperato dall’immobilità silente di una solitudine ritrovata. Inizialmente vuota, la scena si riempie, così, dei relitti del mondo immaginario e atemporale del teatro, come un’armatura o l’elmo di Don Chisciotte che Pinocchio indossa, andando in cerca dei mulini a vento, assieme all’amico Lucignolo [fig. 6]. È inoltre invasa da casse di libri, un baule, maschere, legni e, infine, petali di rose rosse.

La Volpe legge Rabelais, come Pinocchio stralci dall’Artaud di Pour en finir avec le jugement de Dieu e di Succubi e Supplizi, giustapponendo sonorità vocali estreme che lottano dentro il suo corpo, dall’abito ancora quotidiano e dal volto segnato dal naso pinocchiesco. Se dalla bocca di Bene, nelle vesti di Pinocchio, uscivano le voci degli altri personaggi del romanzo, quella di Punzo piuttosto ospita presenze che derivano dalle sue letture e dai suoi personali ‘compagni’ di strada: attraverso una phoné che si divarica a lasciare spazio a diverse maschere vocali, i molteplici sé dell’artista entrano progressivamente sul palco, prescindendo dalla storia del burattino collodiano. Intanto, Gatto, Volpe, Lucignolo affiancano i fantasmi della cultura, da Artaud a Rimbaud al Don Chisciotte: sono, anzi, le parole di quest’ultimo a restare come sottofondo finale, fungendo da contraltare alle memorie d’infanzia inizialmente udite. Con gran frastuono, entrano marinai in lotta contro una tempesta di shakespeariana memoria [fig. 7], un angelo e persino la Madonna addolorata, ma Pinocchio chiede a tutti il silenzio, per sentire ancora quella voce che non si ferma, che non si arrende: rimasto solo, sulle note del Chiaro di Luna di Beethoven indossa i panni di un fantoccio dal colletto rosso, con una maschera e dei pantaloni colorati che lo trasfigurano in un corpo ‘ir-reale’, né umano, né burattino, nell’aspirazione, infine, a un tempo che non sia più ordinario [fig. 8].

Come rivela la conclusione, il percorso del regista dentro la storia di Pinocchio è un percorso verso lo straniamento a partire da un’ipotetica, mai realmente compiuta, identificazione con il personaggio letterario, quale strumento drammaturgico per una scrittura scenica autonoma. Punzo abbandona, infatti, la linea diegetica e il sistema di relazioni dell’opera di Collodi, per esprimere un concetto di diversità affine alla natura del primo Pinocchio ed evocare un senso residuale dell’umano, contrastante l’avvilente normalità percepita oltre le mura del proprio teatro.

 

Bibliografia e videografia

R. Fedi (a cura di), Carlo Collodi. Lo spazio delle meraviglie, Milano, Amilcare Pizzi Editore, 1990.

E. Garroni, Pinocchio uno e bino, Roma-Bari, Laterza, 2010.

A. Mancini (a cura di), A scene chiuse. Esperienze e immagini del teatro in carcere, Corazzano (Pisa), Titivillus, 2008.

R. Mazzaglia, ‘Metamorfosi di Pinocchio nella nuova scena italiana’, Acting Archives Review. Rivista di studi sull’attore e la recitazione, VI, 12, 2016, pp. 66-100, <http://www.actingarchives.unior.it/Rivista/RivistaIframe.aspx?ID=5a7115f1-1c12-4387-9981-6e3412adc470>.

A. Punzo, È ai vinti che va il suo amore. I primi venticinque anni di autoreclusione con la Compagnia della Fortezza di Volterra, Edizioni Clichy, Padova, 2013.

Mi interessa Don Chisciotte [film-documentario sulla realizzazione di Pinocchio. Lo Spettacolo della Ragione], produzione: Carte Blanche – Compagnia della Fortezza, regia: Lavinia Baroni, 2008.