4.1. Il calcio di poesia

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C’è un libro o un saggio su quasi tutto quello che ha fatto Pasolini nella sua vita. Ammesso che si possa ancora prendere per buona la teoria della doppia articolazione su cui si baserebbero sia la lingua del cinema sia quella della realtà, le circostanze hanno portato ad una paradossale accumulazione di speculazioni. Si è iniziato, ovviamente, dai testi che si occupavano della storia nel suo insieme (la vita e le opere di PPP). Quando il tema si è saturato, si è passati ad analizzarne i differenti «sintagmi», accorpati o scomposti: il cinema di Pasolini, le sceneggiature di Pasolini, le poesie di Pasolini, per poi concentrarsi, in modo sempre più parziale e capillare, su ciascuna singola componente di questi «monemi»: il singolo film, il singolo verso, le relazioni connettive, tutto ciò che stava dietro e davanti ad esse, i documenti rivelatori e ogni minimo scartafaccio. Quando anche su ciascuno di questi aspetti si sono moltiplicati i testi, le notazioni, i punti di vista, si è giunti ad analizzare con la stessa pedante acribia anche i «fonemi pasoliniani», gli elementi spuri, magari isolati dal contesto, privi di un senso autonomo. Singoli fatti bruti, inquadrature non montate, capaci di dire tutto e il contrario di tutto, come qualsiasi fotografia; capaci di manipolare, dunque utili per partecipare alla beatificazione e al linciaggio – due facce della stessa medaglia – che ancora impedisce di storicizzare Pasolini e lo obbliga a essere ininterrottamente ucciso, da quarant’anni a questa parte.

Due aspetti sono però difficilmente manipolabili, perché hanno a che fare con una dimensione dell’essere talmente profonda, incorporata, comunicabile e comunicata su un piano così intimo e diretto che è impossibile metterci sopra troppe sovrastrutture. Sono il modo di vestire e il piacere di muoversi. Detto in altri termini, l’amore mai rinnegato, tutt’altro, di Pasolini per la moda e per lo sport – il gioco del calcio in particolare.

Anche su questi due temi, apparentemente così bizzarri e marginali – chi si è mai occupato di come vestiva Carducci? E quali erano le attività ricreative più amate dal Manzoni? – ci sono oggi dei saggi, peraltro assai interessanti. Segnatamente, L’eleganza Faziosa. Pasolini e l’abito maschile (Marsilio, 2007) di Paola Colaiacomo e una serie di scritti di Giovanni Santucci, Angela Molteni e altri sulle passioni sportive del poeta. E circolano sul web, facilmente accessibili, le immagini di Comizi d’amore in cui Pasolini conversa con Bulgarelli e gli altri giocatori del Bologna, le sue apparizioni televisive per commentare il Giro d’Italia e una serie considerevole di fotografie che lo ritraggono mentre gioca a pallone. Fra queste, le più note e commentate riguardano un momento celebrativo, artatamente costruito, in qualche modo funereo. Forse l’ultima partita di Pasolini, quella celebre fra le troupe di Novecento e di Salò, tenutasi a Parma, dietro al Tardini, per festeggiare il compleanno di Bertolucci, che ovviamente se ne tenne alla larga. Immagini tristi, come predisposte per una divulgazione mediatica (tant’è che il giorno successivo erano già su tutta la stampa, prima locale e poi nazionale). Per una partita che Pasolini giocò male, forse perché, a una certa età, correre sulla fascia diventa proibitivo, forse perché semplicemente di cattivo umore. E infatti uscì prima, contrariato, scontento, infelice, come certe star del firmamento professionistico quando vengono sostituite dall’allenatore o espulse, dopo una sconfitta da dimenticare, in polemica con se stessi e con il mondo.

Ma non è quella l’immagine del Pasolini calciatore e calciofilo che preferiamo ricordare. Di immagini più belle, gioiose, spontanee, ce ne sono tante. Ma fra tutte quelle che abbiamo visto ce n’è una che risulta indimenticabile, quasi miracolosa per la sua qualità sintetica e per immediatezza.

Dispiace doverla spiegare, perché sembra quasi di violentarla e banalizzarla, ma ne vale la pena. Perché siamo in un campetto di periferia, forse in un lotto edificabile (ma tutt’altro che edificato) di un quartiere che sta nascendo nel modo irregolare con cui è nata tutta la Roma periferica, la borgata, forse tutta Roma, comprese Piazza Venezia, San Pietro e i Fori Imperiali.

In questa foto c’è un signore serio e maturo che corre dietro a un pallone, in mezzo a una folla di ragazzi di borgata. È vestito di tutto punto, giacca, scarpe eleganti, gilet e cravatta, e ha lo sguardo fisso sulla sfera, come dovesse scagliare il tiro della sua vita in una finale del campionato del mondo. Intorno a lui, vestiti con maglie di fortuna, a maniche lunghe o corte, calzoni lunghi o corti, un esercito di ragazzetti che si guardano fra loro sorridendo. Sullo sfondo, in alto, un solo traliccio dell’elettricità, senza parenti, come un segno di modernità abbandonato a se stesso, un totem.

Ancora, ai bordi, i casermoni dell’Ina-Case, la location privilegiata di tanti racconti pasoliniani, il fiore all’occhiello di un’amministrazione che stava provvedendo all’inserimento urbano di masse di diseredati che abbandonavano le campagne dei latifondi per entrare nella modernità industriale, e la pietra dello scandalo dell’abusivismo e della speculazione. L’una e l’altra cosa assieme e a giorni alterni. Casermoni spuntati in modo improvviso e irregolare al centro del nulla, fra lotti edificabili che a breve sarebbero stati occupati anch’essi e una campagna ancora del tutto priva di infrastrutture.

Attorno ad essi, la peggio gioventù dell’Italia del boom economico, la futura ossatura di quella Roma cialtrona e volgare che ancora oggi costituisce la fauna umana della Capitale e che Pasolini amava visceralmente, avendo ribaltato la decadenza selvaggia dei volti e del linguaggio nella paradossale resistenza di una purezza antica allo schema ideologico ed esistenziale della rivoluzione borghese. Insomma, attorno a lui c’è praticamente tutto il cast della Ricotta e del Vangelo secondo Matteo. Con i capelli ancora corti, le camicie con le maniche lunghe ancora non risvoltate, le andature pigre e impacciate dei fratelli Citti e di Ninetto, i sorrisi beffardi e timidi al contempo.

Al centro dell’immagine, in basso, Pier Paolo Pasolini sta correndo dietro al pallone, giocando una sua partita immaginaria. Nel senso che la potenza della foto sembra esplodere proprio nel contrasto, nella contraddizione. Quella piuttosto ovvia, fra l’età del giocatore e la serietà dell’abito, del tutto fuori contesto, fuori posto, rispetto ad una partita di calcio su un campo di periferia. E il paradosso raddoppia quando ci si rende conto che questo alieno – basta notare il suo sguardo, letteralmente assorbito dal pallone – è l’unico che sta giocando davvero, che si sta impegnando, in mezzo a un gruppo di autoctoni, perfettamente inseriti nell’ambiente, che prendono il pallone per quello che è: un gioco.

Ecco, probabilmente in questa immagine c’è tutto Pasolini. Il poeta-podema che si ingegna per raccontare, fisicamente, la sua storia, restando rigorosamente legato ai codici della realtà e alla lingua della poesia. Il serioso apologeta della borgata, il severo critico della mutazione antropologica e della società dei consumi, circondato da una folla di esclusi che lo guarda con tenerezza e sembra suggerirgli di darsi una calmata, di prenderla con filosofia. Che correre dietro a un pallone non era una questione di vita o di morte ma solo un modo per stare insieme e far passare il tempo. Quello necessario a far sì che la modernità arrivasse a completare anche quella parte di Roma e di cui tutti avrebbero beneficiato.

Ecco, l’immagine di questo bambino-adulto, totalmente immedesimato nella sua fantasia, pieno di passione e ideologia anche nel giocare una partita di pallone tutta sua, fuori tempo (massimo) e fuori luogo, con la concentrazione di un Biavati o di un Pascutti, spiega Pasolini meglio di mille saggi e convegni. La tenerezza infinita e tutto l’affetto che è ancora capace di suscitare.

 

Bibliografia

P. Colaiacomo, L’eleganza faziosa. Pasolini e l’abito maschile, Venezia, Marsilio, 2007.

A. Molteni, ‘Pasolini: Il calcio «è» un linguaggio con i suoi poeti e prosatori’, in Pasolini e il calcio, passione di una vita, < http://www.centrostudipierpaolopasolinicasarsa.it/panoramiche/pasolini-e-il-calcio-passione-di-una-vita/ > [accessed 30 luglio 2015].

P.P. Pasolini, ‘Il calcio è un linguaggio con i suoi poeti e prosatori’, in Id., Saggi sulla letteratura e sull’arte, a cura di W. Siti e S. De Laude, Milano, Mondadori, 1999, II, pp. 2545-2551.

V. Piccioni, Quando giocava Pasolini. Calci, corse e parole di un poeta, Arezzo, Limina, 1996.

G. Santucci, ‘Il calcio di Pasolini’, Storie, 37-38, 1999.