4.5. Imitation of life. Derek Jarman nei panni di Pasolini

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Pasolini aveva indovinato il suo bersaglio. Mi chiedo se gli piacerebbero i miei film; come i suoi, appartengono a una tradizione antica e questo è il motivo per cui vengono fraintesi dai dirigenti della TV, abituati al mondo florido della pubblicità, cooptati dalla necessità del successo.

Questo appunto, datato giugno 1987 e icasticamente intitolato Quando prendiamo un appuntamento al buio con la consunzione, è solo uno dei tanti in cui compare il nome di Pasolini. Per Jarman il poeta bolognese rappresenta una sorta di feticcio, il modello di un’audacia letteraria ed erotica che fin dalla giovinezza assurge a paradigma, declinandosi poi in vari modi.

Provando a pedinare le diverse forme di contatto fra i due, è possibile individuare almeno tre livelli di convergenza. Il livello più immediato è quello biografico-artistico, che si traduce in una serie di analogie dai risvolti interessanti. Sul piano delle relazioni parentali di Jarman si segnala il rapporto contrastato col padre – uomo d’ordine di una severità esemplare – e di contro il rapporto privilegiato con la madre, di cui egli ammira la dedizione e il carattere. La rigidità dell’educazione ricevuta condizionerà molto l’orientamento emotivo di Jarman, come emerge da numerosi passaggi dei suoi diari in pubblico dedicati al ricordo della durezza paterna e, insieme, al rimpianto per la figura della madre. Alla luce di tale rapido quadro familiare è facile intuire le somiglianze con la vita di Pasolini, che però non si limitano al dato meramente biografico ma si traducono presto in una sorta di reciprocità di destino e di sentimenti, come lascia intendere in fondo lo stesso Jarman:

C’è una componente di follia nella tua rabbia?
Sì, sono completamente folle! Tuti gli artisti lo sono – la divina follia. Pasolini era matto come un cappellaio. Quando lo incontrai riconobbi quella parte di me.

Al di là del carattere aneddotico dell’episodio (che si riferisce al periodo dei sopralluoghi per I racconti di Canterbury), quello che conta è il riconoscimento di uno stemma comune, di una stessa radice, sia pure conficcata nel solco della «divina follia».

A proposito di follia creativa, va detto che entrambi scelgono di attraversare tutti i generi (pittura, narrativa, cinema, poesia), con esiti formali differenti, accomunati però dal medesimo presupposto: il riconoscimento della funzione pubblica dell’intellettuale. Per Jarman, infatti, vale quanto Pasolini scrive nel novembre del 1974 nel famoso articolo Che cos’è un golpe, dove percepisce l’intellettuale come colui «che cerca di seguire tutto ciò che succede», ma soprattutto «di immaginare tutto ciò che non si sa e si tace». L’arte di Jarman ha, quindi, un carattere militante, espresso attraverso una presa di posizione polemica nei confronti dell’establishment inglese: basti pensare all’appassionato pamphlet dedicato al racconto della propria sessualità, A vostro rischio e pericolo. Testamento di un santo, che non a caso lo stesso autore paragona a Salò o le 120 giornate di Sodoma: «Il mio Salò non è nei film; potrebbe essere questo libro».

Jarman è tra i pochi ad apprezzare la poetica di Salò («Ecco perché penso che Salò sia importante; Pasolini vi esibisce il proprio sfacelo. Questa è la cosa più coraggiosa che si possa fare, non vi pare?»): da questa sintonia scaturisce il secondo livello di convergenza, che è possibile definire stilistico-formale. Tale livello riguarda questioni propriamente estetiche, in parte già esplorate da Ellis e soprattutto da Dillon nel suo Derek Jarman and Lyric Film. Per Dillon il cinema di Jarman costituisce uno degli esempi più efficaci di «cinema di poesia» (Lyric Film), genere codificato da Pasolini e poi variamente ripreso da Tarkovskj, Deren, Paradjanov, tutti autori vicini all’immaginario del regista inglese. Jarman riprende quasi alla lettera le intuizioni modellizzanti enunciate nel saggio Il cinema di poesia, e così il suo repertorio visivo annovera tutti gli stilemi propri della teoria pasoliniana:

l’alternanza di obiettivi diversi […], lo sperpero dello zoom, […] i controluce continui e fintamente casuali con i loro barbagli in macchina, i movimenti di macchina a mano, le carrellate esasperate, i montaggi sbagliati per ragioni espressive, gli attacchi irritanti, le immobilità interminabili su una stessa immagine.

Dagli homemovies ai film della maturità, Jarman non fa che sperimentare nuove soluzioni, distanti dalle pose del cosiddetto cinema narrativo e aperte invece a contaminazioni linguistiche interessanti: l’esito di tali sperimentazioni è un cinema frammentario, episodico, soggettivizzante che eredita da Pasolini, oltre a una serie di marche stilistiche, anche un denso repertorio di motivi.

Il terzo livello di convergenza fra i due non può, allora, che essere di ordine tematico. L’ossessione pasoliniana di Jarman passa innanzitutto attraverso l’evidenza del corpo nudo, l’esuberanza (gioiosa e disforica) dell’eros, la volontà di rivedere alcuni paradigmi del passato combinandoli con le ambigue icone del presente. Basterebbe il solo Sebastiane per chiudere il discorso, date le forti implicazioni dell’opera con l’imagery pasoliniana, ma in realtà l’ombra di Pasolini si allunga su quasi tutti i film: si pensi al vivido sottotesto di Caravaggio, alle vibrazioni oniriche di The garden, alla citazione di Salò presente in The Last of England.

A esaltare la trama di rimandi fin qui costruita ci pensa, poi, lo stesso Jarman quando nel 1988 veste i panni di Pasolini nel film di diploma del semisconosciuto Julian Cole, Ostia, a cui presta probabilmente più che la sua interpretazione. Nel 1985, infatti, Jarman aveva scritto un abbozzo di sceneggiatura intitolato PPP in the garden of Earthly Delight, ennesimo indizio di quella che a tutti gli effetti può dirsi una ‘fulgurazione’. Lo script si compone di appena tre sequenze, distribuite in scene di diversa ampiezza che contrappongono l’asciutta solitudine di esterni notturni alla caotica eccitazione del set di Salò, ricreato dentro il quadro di Bosch – come suggerito dal titolo. Dai pochi appunti rimasti, pubblicati sulla rivista Afterimage, emerge la dimensione metacinematografica del racconto, la costruzione di uno sguardo doppio, interno ed esterno alla storia. L’ultimo giorno di vita di Pasolini, alternato alle riprese di Salò, diviene per Jarman il banco di prova di uno stile al quadrato, capace di sviare l’orrore dello sterminio della villa attraverso l’insistito rimando all’artificio del cinema (e dell’arte tout court). Non essendo riuscito a portare a termine il progetto di un film interamente dedicato a Pasolini, Jarman si ‘consola’ sul set di Cole trasformando il proprio corpo nel simulacro del suo idolo, secondo un processo di immedesimazione che non diviene mai piatta imitazione (come tante volte accade in riferimento a PPP) ma potente metafora.

Girato secondo la formula del low budget, il film di Cole presenta un’ambigua struttura narrativa e un taglio visuale marcatamente anni ’80, con luci al neon (figg. 1-2), moda casual e una patina british che prende le distanze dalla romanità delle borgate evocata dal titolo, offrendo una chiave di lettura eccentrica mai banale. Il racconto si apre con un breve prologo che recupera alcune immagini di repertorio del funerale di Pasolini: la morte è insieme fuori e dentro il quadro, è un antefatto ma anche il focus principale del discorso, secondo una logica di duplicazione dell’evento-trauma. In poco più di venti minuti il regista mette in scena gli ultimi istanti di vita del personaggio attraverso la progressiva immersione in un flusso di pensieri da cui si evince una profonda consapevolezza degli snodi espressivi e biografici dell’opera di Pasolini. L’espediente della voice over crea un efficace effetto di risonanza tra il corpo di Jarman/Pasolini e il corpus letterario dello scrittore; la figura abita lo spazio grazie alla mediazione del commento sonoro, il paesaggio non è mera illustrazione ma incarnazione di un destino.

Pur nella sua brevità, Ostia annovera una serie di scene cult, ora ad alto tasso erotico ora invece nostalgicamente spettrali (figg. 3-4), nelle quali l’assunzione dello stigma sacrificale di Pasolini da parte di Jarman fa scintille. La sequenza più emblematica in tal senso è quella in cui Cole mette in quadro, dentro la cornice di un televisore vintage (fig. 5), un’intervista televisiva in bianco e nero con Jarman nelle vesti del Pasolini polemista apparso spesso in tv. Nel corso della breve apparizione in video il protagonista invita a non accettare la manipolazione dei media, rivendica la natura ‘poetica’ della sua arte, la scelta di esprimere la propria soggettività, di «gettare il proprio corpo nella lotta». Re-citando una delle espressioni più care a Pasolini, guarda caso già annotata nella pagina di apertura di Dancing Ledge («My body was thrown into the struggle, bringing me into a spotlight in a way I never expected or wanted»), Jarman spinge fino in fondo ‘il gioco delle parti’.

 

Bibliografia

S. Dillon, Derek Jarman and Lyric Film. The Mirror and the Sea, Austin, University of Texas Press, 2004.

J. Ellis, Derek Jarman’s Angelic Conversation, Minneapolis, University of Minnesota Press, 2009.

D. Jarman, Dancing Ledge [1984], Minneapolis, University of Minnesota, 2010.

D. Jarman, ‘PPP in the Garden of Earthly Delights’, Afterimage, 12, Autumn 1985, pp. 23-25.

D. Jarman, Modern nature. Diario 1989-1990 [1991], Milano, Ubulibri, 1992.

D. Jarman, Ciò che resta dell’Inghilterra [1987], Padova, Alet, 2007.

D. Jarman, A vostro rischio e pericolo. Testamento di un santo [1993], Milano, Ubulibri, 2008.

P.P. Pasolini, ‘Il cinema di poesia’, in Empirismo eretico, Milano, Garzanti, ora in Id., Saggi sulla letteratura e sull’arte, a cura di W. Siti e S. De Laude, Milano, Mondadori, I, 2001.

W. Pencak, The films of Derek Jarman, Jefferson, McFarland & Company, 2002.

S. Rimini, ‘Un bacio che brucia, brucia e muore. Ciò che resta di Derek Jarman’, Uzak, nn. 16-17, autunno-inverno 2014, <http://www.uzak.it/rivista/16-17-2014/lo-stato-delle-cose/727-un-bacio-che-brucia-brucia-e-muore-cio-che-resta-di-derek-jarman-incroci-fra-letteratura-e-cinema.html> [accessed 20 settembre 2015].