4.1. Epica e icone di Ciro e Genny in Gomorra - La serie

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La catena di trasformazioni narrative che ha portato Gomorra di Roberto Saviano a Gomorra - La serie è sufficientemente ampia da indicare un processo culturale in atto nella scrittura audiovisiva industriale italiana. Sostenuta principalmente da un operatore/produttore come Sky, la serializzazione dei prodotti narrativi (cominciata con Romanzo criminale e giunta all’apice proprio con la serie tratta da Saviano), dà i suoi frutti anche presso altri player, da quelli più tradizionali (si pensi alla RAI e al progetto La mafia uccide solo d’estate) a quelli più innovativi (Netflix e l’operazione Suburra).

L’immagine di Ciro e Genny [fig. 1] che, quasi letteralmente, ‘si mangiano la faccia’, funge da esempio simbolico e indicativo della funzione epica seriale. Chi pensa che nel romanzo di Saviano questo elemento fosse poco presente, dimentica che furono proprio quel testo (di cui si è discusso a lungo, chiedendosi se si trattasse di fiction o non fiction) e quello di Giancarlo de Cataldo a far parlare di New Italian Epic al collettivo Wu Ming.

Categoria troppo presto caduta in disuso, e probabilmente osteggiata dal mondo accademico, NIE è stata (ce ne accorgiamo oggi) una intuizione tutt’altro che peregrina, in grado di spiegare non solo come si stavano muovendo alcuni scrittori contemporanei, ma anche poi come si sarebbero trasformate le operazioni creative dell’audiovisivo italiano. Il passaggio attraverso il film di Matteo Garrone, forse l’autore che più ha ‘raffreddato’ la materia narrativa, non ha in alcun modo interrotto la catena testuale che ha infine portato all’epica trascinante di Gomorra - La serie.

I contendenti Ciro e Genny, prima legati da vincoli di amicizia quasi fraterna, poi divisi da un odio atavico, infine (forse) nuovamente alleati, offre una sorta di pivot dei casi narrativi della serie. Anche la costruzione iconica dei due personaggi ha indubbiamente funzionato, se è vero che entrambi sono diventati ‘fashion icons’ in questi ultimi anni, invitati a kermesse come Pitti Uomo o alle sfilate di Armani, cosa che appare paradossale se si pensa alla provenienza camorrista dell’ambientazione seriale. In questo senso, il lavoro narrativo della costumista Veronica Fragola – una delle figure più preparate del cinema e della televisione italiana del momento – rappresenta un’altra forma di consolidamento della scrittura industriale italiana, intesa come lavoro sul profilmico.

Ciro, alias Marco D’amore [fig. 2] si è candidato da subito a ‘celebrity’ per il suo look molto raffinato, che mescola moda artigianale campana (di botteghe di Carpi in particolare), eleganza da boss con giacche bianche e camicie sgargianti, giubbotti di pelle nera, insieme ai celeberrimi occhiali da sole ‘handmade in Italy’, come i Bob Sdrunk Faith divenuti in breve tempo un must non solo a Napoli. Per Genny – alias Salvatore Esposito – la funzione da star è giunta più lentamente, e proprio per questo poi più potente e carismatica. Il motivo è evidente: Genny [fig. 3] incarna il personaggio sottoposto a una più drastica trasformazione del personaggio, a un arco narrativo capace di metamorfosi complesse e feroci. I tatuaggi che egli esibisce dopo il percorso di formazione omicida in Honduras sono ispirati a un mix (per quanto l’affermazione risulti comica) tra disegni tribali dei guerriglieri e decorazioni dei giocatori del Napoli, secondo quanto affermato da Veronica Fragola.

Era inevitabile che questa cura per il personaggio, con conseguente costruzione divistica in grado di esondare presso gli altri settori dell’industria culturale – dalla moda alla musica – potesse incrinare il contesto di denuncia che sottende il lavoro di Roberto Saviano, e insidiare persino la figura pubblica dello scrittore, che puntualmente è dovuto intervenire con articoli e interviste per spiegare che, forme narrative a parte, ciò che conta è la negatività assoluta dell’universo rappresentato, oltre che la raffigurazione spietata dei personaggi (cui in effetti, per controbilanciare l’inevitabile fascino oscuro del gangster, gli sceneggiatori fanno di tanto in tanto compiere stragi insopportabili e omicidi di donne inermi).

Tuttavia, ciò che sfugge a chi polemizza, è che l’industria culturale contemporanea funziona così, almeno se allineata alle più recenti espressioni internazionali. Non solo la globalizzazione dei prodotti richiede uno spirito innovativo e meno legato alle prassi iconografiche tradizionali, ma l’esportazione della serialità a sua volta necessita di un attento bilanciamento di stereotipi localistici e motori narrativi universali. E in questa direzione Gomorra - La serie (come del resto Narcos di Netflix) mostra di aver perfettamente compreso il meccanismo. Napoli e la camorra sono un brand – inutile fingere che non sia vero – e dunque, per solidificare il racconto di mafia e di gangster, sono necessari accorgimenti che possano al tempo stesso risultare idiolettici (come avrebbe detto la semiotica d’un tempo) e traducibili. Il successo delle vendite estere dimostra che, in epoca di rapida trasmissibilità delle culture nazionali, il mercato globale non è più interessato solamente ai prodotti che mostrino una credibile ‘americanizzazione’ tecnica e narrativa, bensì prodotti flessibili e completi in grado di esportare epiche locali in contesti mondiali, comprensibili cioè ai pubblici internazionali (dal Sudamerica al nord Europa, dal Regno Unito ai paesi asiatici), complice la triste presenza di mafie e organizzazioni criminali praticamente a tutte le latitudini della Terra.

In particolare, la nuova serialità lavora intorno a due assi principali: il personaggio e l’universo narrativo. Il primo senza il secondo non funziona, e viceversa. Il resto viene di conseguenza. Dunque i protagonisti, di volta in volta affiancati da altri, magari figure femminili complesse e violente (pensiamo a Donna Imma, stagione 1, o a Scianel, stagione 2), devono raggiungere un grado di iconicità che necessita di un lavoro di ambientazione molto più sviluppato che in passato (specie nella fiction). Di qui la triangolazione tra la già citata costumista, lo scenografo Paki Meduri – autore a sua volta di una specie di rivisitazione ‘design’ degli stereotipi iconografici camorristici – e musica (dei Mokadelic). Solo con questa ‘acclimatazione’ all’ecosistema Gomorra (cui va aggiunto il ricorso al dialetto napoletano in funzione verista) i personaggi poi possono svilupparsi e funzionare.

Tutto torna dunque nuovamente a Ciro e Genny [fig. 4], dunque, con la complicità del vecchio boss, Savastano sr., che funge da padrino superato dai tempi. E in effetti, proprio la seconda stagione di Gomorra - La serie poggia su una dinamica che diventa quasi meta-industriale. Infatti, l’espansione delle attività di Genny in altre parti di Italia e il suo rapporto con lo scenario extraeuropeo mira a una trasformazione imprenditoriale della Camorra, troppo legata al territorio, alle piazze di spaccio e alle inevitabili faide che si scatenano tra una strada e l’altra di Scampia. Il contrasto tra Genny e il padre è dunque il dissidio tra due modi di interpretare la malavita, e – giocandoci un po’ – anche per metafora l’inconciliabilità di due modi di fare serialità.

 

 

Bibliografia

L. Barra, M. Scaglioni (a cura di), Tutta un’altra fiction. La serialità pay in Italia e nel mondo. Il modello Sky, Roma, Carocci, 2013.

M. Cucco (a cura di), La trama dei media. Stato, imprese, pubblico nella società dell’informazione, Roma, Carocci, 2014.

Wu Ming, New italian epic. Letteratura, sguardo obliquo, ritorno al futuro, Torino, Einaudi, 2009.

R. Saviano, Gomorra, Milano, Mondadori, 2006.