4.4. Paolo e Francesca nei due film sull’Inferno del 1911

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Nel 1911, in occasione dei cinquecentonovanta anni dalla morte di Dante e dei cinquanta dell’Unità d’Italia, escono due pellicole, distribuite a livello nazionale e internazionale, entrambe adattamento dell’Inferno dantesco. La loro novità consiste nel riprodurre intere cantiche e non più singoli personaggi o episodi come era avvenuto per i cortometraggi di ispirazione dantesca realizzati in Italia negli anni precedenti (Pia dei Tolomei, Cines 1908; Francesca da Rimini, Comerio 1908; II conte Ugolino, Itala Film 1909) che pure testimoniano il ruolo di Dante nel processo di costruzione dell’identità nazionale italiana (Welle 2004 e Havely 2012).

Nel gennaio 1911 esce con grande successo in Italia, e poi in Francia, Spagna, Gran Bretagna, Ungheria e Stati Uniti, Visioni dell’inferno (Helios Film 1911), regia di Giuseppe Berardi e Arturo Busnengo, lunghezza 400 metri per un totale di 15 minuti, 25 quadri animati e 18 didascalie, ritrovato nella Filmoteca Vaticana e restaurato nel 2008. Tre mesi dopo viene distribuito l’Inferno della Milano Films (restaurato dalla Cineteca di Bologna [De Sanctis, Marotto 2007] e pubblicato in DVD nel 2011), diretto da Francesco Bertolini e Adolfo Padovan, film in 5 bobine, lunghezza di 1000 metri per un’ora circa di proiezione, composto da 54 quadri animati. Viene proiettato sotto l’egida della Società Dante Alighieri per la prima volta il 1° marzo 1911 al Teatro Mercadante di Napoli, presenti Benedetto Croce, Roberto Bracco e Matilde Serao. Una proiezione privata venne riservata al re. Entrambi i film dedicano un episodio a Paolo e Francesca, che la didascalia di Visioni dell’inferno introduce con queste parole: «Paolo e Francesca la coppia peccaminosa / “Vagano nell’aria trascinati / da turbini di vento, / raccontano a Dante la storia / del loro triste amore”», e Inferno, più filologicamente: «Paolo e Francesca. “Quali colombe dal disio chiamate / Con l’ali alzate e ferme, al dolce nido / Volan per l’aere; dal voler portate».

Prima di procedere a un’analisi comparativa dei due episodi, sarà necessario sintetizzare la diversa genesi delle opere e la loro diversa importanza nella storia del cinema. Per lunghezza, costi, effetti speciali innovativi e imponente campagna pubblicitaria l’Inferno della Milano Films viene ricordato come il primo colossal italiano (Welle 2004, Canosa 2007 e 2011). Inferno colleziona numerosi primati, fra cui quello di essere stato censurato, nel 1914, per l’ultimo quadro, espunto dalla pellicola per ragioni ideologiche e politiche legate all’irredentismo: scompare la ripresa ‘dal vero’ del monumento di Dante eretto a Trento con cui nel 1911 si chiudeva la sontuosa opera di adattamento cinematografico che eleggeva il poeta a guida identitaria della patria [fig. 1]. Inferno è anche il primo film iscritto al Registro pubblico generale della proprietà intellettuale, cioè per la prima volta in Italia si chiede il copyright per un film. Infine viene distribuito mediante un sistema di vendita ‘in esclusiva per zona’ ideata da Gustavo Lombardo (poi fondatore della Titanus) per trarre il massimo profitto economico da uno sfruttamento intensivo delle copie, sia in Italia che all’estero. Ma il primato che più di tutti gli altri si riconosce all’opera della Milano Films è culturale: il film diffonde e spettacolarizza a livello transnazionale la cantica più nota del poema dantesco, intrattiene e insegna, e contemporaneamente chiede il riconoscimento artistico del cinema ormai in grado, per ambizioni e durata dello spettacolo, di rivaleggiare con il teatro. Però Inferno non sarebbe un’opera così conosciuta e discussa fin dalla sua prima uscita nelle sale se tutte queste promesse di successo non fossero state insidiate da un piccolo film realizzato in fretta e furia per sfruttare l’imponente campagna commerciale e pubblicitaria allestita da Lombardo mentre Inferno posticipava l’uscita a causa della sua complessa realizzazione. La messa in scena di Inferno era supervisionata da Adolfo Padovan, epigrafista e saggista, studioso di Dante e di edizioni dantesche nonché redattore Hoepli della Divina Commedia, riveduta nel testo e commentata da G.A. Scartazzini (1899). Per Padovan Dante rappresenta un caso esemplare di ‘poeta scultore’, così lo studioso si propone di amplificare le doti plastiche della cantica con l’ausilio del modello iconografico fornito dalle tavole di Gustave Doré. Il set è assai complesso, gli effetti speciali numerosi, Inferno tarda a uscire e nel frattempo agli esercenti è offerta l’occasione di comprare un altro film invece dell’attesissimo lungometraggio dantesco.

Visioni dell’Inferno e Inferno si collocano agli antipodi sia in una prospettiva storiografica che dal punto di vista realizzativo. Il primo viene prodotto da una piccolissima casa di produzione, la Helios di Velletri, il secondo inizia vincendo un concorso per pochi quadri e completa l’impresa in un importante stabilimento di Milano (De Berti 2000). Il budget del primo è irrisorio quanto lo sforzo economico profuso nel secondo appare imponente. Di Inferno si dice: «it contributed significantly to a tendency toward multi-reel or feature length film» (Welle 2004, p. 36). Visioni dell’inferno è invece una sorta di breve instant movie, viene così recensito su «The Moving Picture World» del 6 gennaio 1912: «There is no pretense of art; the thing is evidently a very hurried effort to give a very cheap edition of the marvelous original». Il primo è un lussuoso film d’arte, l’altro un breve film fantastico-spettacolare. Con Inferno il distributore Gustavo Lombardo inaugura una nuova strategia di diffusione nazionale e internazionale dei prodotti italiani, per Visioni dell’Inferno la dinamica e giovanissima poliglotta Frieda Klug che lo rappresenta su diversi mercati internazionali («one of the most formidable rivals of Lombardo», secondo Colonnese Benni 2004, p. 21) si muove in modo spregiudicato, tanto da venir accusata di concorrenza sleale e da subire una causa giudiziaria (Dall’Asta 2010). L’uscita anticipata di Visioni dell’Inferno intralcia gli affari di Lombardo e sfrutta il clamore mediatico suscitato dal colossal. Di qui un aggressivo annuncio, negli Stati Uniti, della Monopol Film Co., che aveva acquistato il film da Lombardo e lo proponeva con didascalie in inglese, pubblicato sul «New York Dramatic Mirror» del 1911:

Beware of fraud! (Look out for pirates): “We have reason to know that the same group of light weight [Jeffries-Johnson] is making all speed to foist upon the trade and the public a fake production of the genuine Dante’s Inferno by the Milano Films Co. We understand that it is a hurried steal of the autentic Dante which has been endorsed by the Italian press and applauded by the King of Italy, and for which we hold the American rights.

Lombardo vende l’autentico Dante’s Inferno (titolo americano di Inferno), l’altra è una frode, un atto di pirateria. Il rilievo che viene dato al caso di concorrenza sleale sulle principali riviste di cinema italiane e su alcuni periodici americani mostra le reazioni della stampa quasi totalmente schierate a favore di Lombardo, personalità nota nel comparto industriale italiano che, a differenza di Klug, possedeva una lussuosa rivista alla moda, Lux, dalle cui colonne tuonava contro il fake film. L’intraprendente distributrice cinematografica venne sostenuta in Italia solo da La Vita Cinematografica, antagonista della Lux. Eppure sia in Italia che in Spagna e negli Stati Uniti l’accoglienza di Visioni dell’Inferno fu sostanzialmente positiva (Colonnese Benni 2004, pp. 61-63).

Il caso di Visioni dell’Inferno costituisce la riprova di quanto, nei primissimi anni Dieci del Novecento, il confine fra film d’arte e film di trucchi fosse labile, dal momento che Inferno presenta doppie, triple e quadruple esposizioni, sovrimpressioni per far apparire e scomparire personaggi, trasformazioni a vista, numeri circensi e acrobatici, con personaggi ‘volanti’ e largo impiego di fondali neri: nel film il supervisore Emilio Roncarolo impiegò tutti i principali trucchi mélièsiani, combinandoli e adattandoli agli episodi narrati nella cantica (Bernardini 1985 e 1996). Visioni dell’Inferno è più rudimentale, breve, nervoso ma anche maggiormente stilizzato, quasi espressionista nel trattamento delle luci e nelle figurazioni geometriche dell’impianto scenografico. È più rapido e dinamico e avvicina maggiormente gli attori alla macchina da presa. Ma i due film si basano sulla stessa concezione strutturale a quadri animati, con ampio l’impiego di effetti speciali e la composizione dell’inquadratura ricalcata, in entrambi i casi, sulle popolari illustrazioni di Gustave Doré. Tale similarità di impianto permette di entrare più a fondo nella rappresentazione visiva e sensoriale di un modo di adattare l’episodio dantesco di Paolo e Francesca allo stesso tempo assai simile e piuttosto diverso, come due perfette variazioni su tema. In questo senso i due film procedono in modo sostanzialmente parallelo, perfino dedicando all’episodio del V canto una certa estensione narrativa e prevedendo l’inserto di un flashback. «Nei due Inferno si punta all’inganno spaziale, all’illusione ottica, nell’intento di restituire in maniera plausibile le fantasie visionarie di Dante (e di Doré)» (Lasi, Gherardi 2011): in entrambi i film le incisioni dell’illustratore ottocentesco sono impiegate come modello visivo esplicito, a livello di composizione figurale ma anche per quanto riguarda il valore plastico dell’immagine, laddove il nero, che in Doré contrappone lo spazio oscuro a quello illuminato, viene reso cinematograficamente attraverso lo sfondo o parti di inquadratura nere che costituiscono uno spazio vuoto ma anche un luogo di meraviglie, una Wunderkammer dove gli effetti speciali prendono vita. Del resto «La Commedia è composta con una tale serie di dispositivi linguistici e retorici legati al segno iconico che si presta a una vera e propria lettura cinematica, ovvero una lettura che metta in evidenza le immagini pre-cinematografiche evocate nel lettore dal poema» (Tigani Sava 2007, p. 53).

Per evidenziare la diversa eppure similare concezione dei quadri in entrambi i film, ci si può riferire al segmento di Minosse che compare sia in Visioni dell’Inferno che in Inferno. Doré ne mostra la figura di spalle, in torsione, con la luce puntata sull’imponente muscolatura, la coda che lo avvolge come un serpente, il volto nascosto sotto la corona: la stessa posizione, sulla destra dell’inquadratura, è riprodotta in entrambi in film, con calco visivo molto evidente. Il quadro in Inferno è introdotto dalla didascalia descrittiva: «Ogni anima colpevole si presenta davanti al giudice Minosse che gli assegna la punizione. Consente ai poeti di passare». L’attore robusto che interpreta, totalmente nudo, Minosse, compie gesti ampi di deissi, atteggia il volto in modo marcato, la sua coda non si muove e fa smorfie di profilo mentre la fotografia dell’inquadratura appare estremamente accurata, uniformemente illuminata con scarso contrasto: nel recente restauro, è virata in un delicato tono verde azzurro.

In Visioni dell’Inferno il quadro è anticipato dalla didascalia descrittiva: «Ingresso al secondo girone. I poeti vedono Minosse, il giudice dell’Inferno, che assegna ad ogni dannato il proprio posto». L’attore che interpreta Minosse è inquadrato più da vicino dell’altro, non mostra il fisico scultoreo del personaggio di Doré, il dorso è più comune, meno muscoloso ma, a differenza dell’altro personaggio cinematografico, appare coperto dalla vita alle cosce da un’ampia spira di serpente che si muove all’estremità, anche se in modo rudimentale: il movimento della coda e la coda in sé, evidenziata dal chiaroscuro con la pelle diafana dell’attore, costituisce un’attrazione visiva esibita del quadro dantesco. Rispetto all’altro, l’attore che interpreta il Minosse della Helios Film viene inquadrato più da vicino ed è meglio esposto, il corpo imponente è illuminato di spalle e non si vede il suo volto che Dante sullo sfondo è intento a guardare, isolato contro una parete nera, molto piccolo a confronto, e rivolto verso lo spettatore. La sproporzione figurale e il gioco di sguardi evidenziano l’accuratezza della messa in scena [fig. 2].

Si direbbe che Visioni dell’Inferno rivisiti l’episodio in modo meno convenzionale, mentre Inferno propone un’iconografia più tradizionale (Gailleurd 2011) e una resa figurale meno incisiva. Si ha molto da guardare dentro l’inquadratura di Giuseppe Berardi e Arturo Busnengo, i piani di visione sono molteplici e ben delineati, le figure più vicine e incombenti rispetto all’altra pellicola. È quanto accadrà anche con l’episodio di Paolo e Francesca che, rispetto alla messa in scena della Milano Films, nel film Helios prevede una sorpresa clamorosa, destinata a suscitare una vasta eco.

Niente bacio, per questi galeotti cinematografici, in nessuno dei due casi. Ma per entrambi una sequenza narrativa che interrompe il flusso monotono, anche se visivamente sorprendente, delle inquadrature fisse precedenti. Per Paolo e Francesca, in entrambi i film, dal semplice quadro animato si passa al racconto in tre parti: tre episodi di cui il centrale, si è detto, in flashback. In Inferno questa articolazione fa parte di un disegno più generale. Alla maniera dei film d’arte dell’epoca, ciascuna delle parti in cui è suddiviso il film propone un episodio narrativo: Paolo e Francesca è quello della prima, la seconda racconta l’accecamento di Pier delle Vigne e la terza il conte Ugolino. Visioni dell’Inferno, seguendo il racconto dantesco, utilizza un flashback in costume in modo più rapido e ‘ravvicinato’, ma soprattutto mostra la morte degli amanti, omessa da Inferno. In Visioni dell’Inferno, quando i corpi di Paolo e Francesca scendono dal loro scenografico volo, introdotto dal flusso delle anime che dura oltre un minuto, l’attrice della Helios coperta di leggere garze mostra un seno nudo mentre l’altro è lievemente sorretto dall’attore che interpreta l’amante. È una scena decisamente erotica, Francesca si sostiene al busto muscoloso di Paolo e lo cinge discinta con il braccio destro. Dante e Virgilio li osservano e ci danno le spalle, ritagliati dentro un contromascherino posto in basso a sinistra dell’inquadratura, doppi dello spettatore sorpreso dalla sensuale apparizione [fig. 3]. Di qui si passa bruscamente al flashback in costume del duplice omicidio [fig. 4]. Una scena da grand guignol dell’Ottocento: Visioni dell’Inferno dispone la morte degli amanti in avampiano, Paolo cade con garbo cortese sopra Francesca, mentre Gianciotto si dispera. Il quadro successivo mostra le anime che si allontanano e Dante che si abbatte al suolo come fulminato, anche se la caduta finisce fuori dal quadro.

In Inferno l’episodio di Paolo e Francesca è meno clamoroso e brutale, più composto: il volo degli amanti su fondo scuro (mentre Dante e Virgilio vengono mostrati a figura intera di spalle) appare flessuoso, più fluido e meno brusco dell’altro che conduceva gli attori repentinamente a terra. In Inferno i due amanti restano sospesi in aria coperti da veli chiari, Francesca con uno strascico liberty sfiora il suolo [fig. 5] e declama rivolta a Dante con gestualità ampia, fino a levare completamente in alto il braccio destro, per poi avvicinarlo al petto, secondo la tradizione magniloquente della tradizione teatrale. Qui si inserisce una seconda didascalia: «Il racconto di Francesca. “Noi leggevamo un giorno per diletto / Di Lancillotto, come amor lo strinse: / Soli eravamo e senza alcun sospetto”». Segue il flashback. In un interno decorato di arazzi gli amanti, in abiti damascati, parlano a lungo fra loro con gesti di disperazione. L’attore mima, in piedi, davanti a un leggio, le parole del libro galeotto [fig. 6] e Francesca, dalle lunghe trecce, gli si avvicina fino appena ad abbracciarlo quando interviene bruscamente una nuova didascalia: «Dante si commuove al racconto di Francesca e sviene. “E caddi come corpo morto cade”». A questo punto gli amanti si congedano da Virgilio e Dante e l’attore che interpreta il poeta, Salvatore Papa, si distingue per una caduta supina perfettamente orizzontale, secondo il dettato poetico e precipita esattamente al centro dell’inquadratura.

Rispetto all’episodio narrativo della Helios Film quello della Milano Films appare ampiamente castigato, inscenato seguendo la lettera del film d’arte, dove i ricchi interni storici riproducevano le scene teatrali e la relativa gestualità che, per l’assenza della parola, rimaneva inerte nel racconto cinematografico. A descrivere l’episodio dantesco restano i corpi fluttuanti, resi con trucchi scenotecnici di tradizione secolare, e un abbraccio repentinamente mozzato dal montaggio. Nessun accenno diretto al desiderio, alla passione e alla morte.

Resta da indagare quale ruolo abbia, nel contesto dell’episodio di Paolo e Francesca, l’opera grafica di Gustave Doré. L’incisione numero tredici mostra uno spazio affollato da centinaia di anime al cui interno la luce isola i due amanti. La scelta di entrambi i film va in una direzione diversa rispetto al dettato iconografico ottocentesco, che però appare ancora una volta analoga nelle due soluzioni cinematografiche adottate. Si è detto che Visioni dell’Inferno apre l’episodio con una lunga inquadratura di corpi sospesi, fasciati di garze e veli, contro il nero dello sfondo [fig. 7]: si tratta di una sorta di ingrandimento della scena di Doré, con numerosi corpi che sfilano in orizzontale vicino alla cinepresa e dunque davanti allo spettatore, ma mancano Paolo e Francesca. Lo stesso quadro è riprodotto anche ne L’Inferno, e dura a lungo. In entrambi i film, a questa visione d’insieme di corpi fluttuanti segue, introdotto da didascalia, il vero e proprio racconto dell’incontro di Dante con Paolo e Francesca, quello che Doré, in una sola incisione, non poteva che condensare in un’immagine riassuntiva [fig. 8]. Il cinema dilaziona l’ingresso dei protagonisti dell’incontro dantesco, orchestra, organizza il tempo del racconto. In Inferno prende vita una rievocazione morigerata e purgata dell’incontro di Dante con gli amanti dannati, attenta a non turbare la sensibilità degli spettatori intellettuali e borghesi. A Visioni dell’Inferno bastano pochi secondi per inscenare un sensazionale tripudio di lussuria.

 

Bibliografia

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