4.5. Collective Care is Part of a Revolution: femminismo intersezionale e attivismo illustrati

di

     
Categorie



Questa pagina fa parte di:

  • [Smarginature] Sperimentali. Cinema videoarte e nuovi media →
 

L’utilizzo di Internet e dei social media è diventato progressivamente centrale per le pratiche di attivismo, soprattutto dal punto di vista della circolazione di istanze politiche ignorate dai media mainstream. In particolare, ai social media e agli spazi digitali può essere attribuito un doppio ruolo: da un lato aiutano a connettere realtà diverse, a innescare reti, e in casi specifici permettono di coordinarsi e dare supporto nei momenti critici della mobilitazione, come hanno dimostrato gli hashtag riferiti alle proteste di Black Lives Matter all’indomani dell’omicidio di George Floyd; dall’altro sono a loro volta strumenti di creazione, a cui affidare l’espressione della propria soggettività politica.

Tenendo presente che «Internet è uno spazio relazionale ambivalente, si configura al tempo stesso come strumento per la sperimentazione di identità e relazioni, e come luogo di controllo e di normalizzazione» (Cossutta et al. 2018, p. 17), si possono attraversare le «tensioni e contraddizioni» della cultura digitale valorizzando la consapevolezza che dietro agli account e ai profili si trovano soggetti socialmente incarnati e situati (Fotopoulou 2016, p. 1). In questo senso i social media sono spazi privilegiati di convergenza tra declinazionifisiche e digitali dell’attivismo, la qualesi manifesta da una parte nel tracimare online delle pratiche offline, dalla condivisione di percorsi alla creazione di reti che oltrepassano i confini fisici, geografici, economico-sociali e diventano potenzialmente globali; dall’altra nella moltiplicazione e circolazione a volte imprevista dei contenuti prodotti dai soggetti che si riconoscono in queste reti e in queste istanze.

Con la sua focalizzazione sull’immagine, Instagram è probabilmentela piattaforma più popolare e trasversale dal punto di vista delle pratiche di attivismo visuale. Sebbene sia nato come social network incentrato sulla fotografia, che rimane uno dei principali contenuti di comunicazione sociale sulla piattaforma (Serafinelli 2018) negli ultimi anni le tipologie di forme espressive presenti si sono moltiplicate e diversificate, tra collage, video, performance, ogni forma di design.

In questo articolo si intende rendere brevemente (e tutt’altro che esaustivamente) conto della varietà di proposte visuali da parte di artiste attiviste che lavorano con l’illustrazione su Instagram e che si identificano nell’interconnessione contemporanea tra femminismo intersezionale, movimenti per i diritti civili e lotta per la giustizia sociale.

Disegnatrici, illustratrici, fumettiste, grafiche, visual storyteller: la varietà di definizioni è indicativa di una produzione artistica alla quale stanno strette le categorizzazioni e che nella sua forma digitale diventa ancora più esplicitamente contaminata e contaminabile. Tradizionalmente costrette a lottare per una visibilità data per scontata per i colleghi maschi – basti pensare al caso del premio internazionale dedicato al fumetto di Angoulême, che nel 2016 fu oggetto di una campagna di boicottaggio in seguito alla presa di parola del Collectif des créatrices de bande dessinée contre le sexism che denunciò la totale assenza di candidate donne tra i finalisti – le illustratrici e fumettiste hanno trovato in Instagram uno spazio a costo zero di esibizione e messa in circolo delle proprie idee e creazioni, che invita all’interconnessione e alla partecipazione ad un flusso di temi e battaglie condivise attraverso le proprie forme di espressione. Utilizzando tutti gli strumenti messi a disposizione dalla piattaforma, dal singolo disegno o tavola, alla gallery che diventa il corrispettivo della pagina da sfogliare, fino alle stories a cui affidarei backstage del proprio processo creativo, le illustratrici possono sfruttare il disegno anche per aggirare le restrizioni arbitrariee sessuofobe dei termini di utilizzo di Instagram, che come è noto prevedono la censura di parti del corpo femminili.

Negli account di queste disegnatrici si intrecciano varie identità: quella professionale, declinata più o meno esplicitamente e secondo i casi in diversi livelli di autopromozione (alcune lavorano su commissione anche per realtà conosciute come The New Yorker o NPR); quella politica, veicolata attraverso la scelta di cosa rappresentare e cosa condividere; quella espressiva, somma del proprio vissuto personale e delle scelte artistiche.

Tenendo presente l’impossibilità di categorizzare in modo univoco forme creative e di circolazione di contenuti che fanno della permeabilità tra media e dell’immediatezza della condivisione i propri cardini, è comunque possibile suddividere queste opere in base ad alcune traiettorie ricorrenti, come la prevalenza grafica di immagine o parola, le scelte tematiche, le opzioni tecniche e stilistiche, il peso dell’elemento biografico.

 

1. You Are Magic: celebrare la non conformità

Il disegno delle illustratrici attiviste si configura come luogo ricorrente di apertura rispetto alle convenzioni di una rappresentazione e autorappresentazione femminile che su Instagram è incline all’idealizzazione di caratteristiche di genere normate. «Self-representation on Instagram can normalise diversity and challenge restrictive views of the representation of women» (Caldeira et al. 2018, p. 25): sono allora molte le artiste cheusano il disegno per proporre rappresentazioni di identità e corpi spesso ‘invisibilizzati’ e non conformi rispetto ai canoni, evidenziando la diversità e ribadendo, anche nella forma dematerializzata del disegno digitale, come il corpo sia spazio attraverso cui “si agisce il cambiamento” (Cossutta et al. 2018, p. 14).I soggetti di CaitlinBlunnie (https://www.instagram.com/liberaljane/) sono persone queer, corpi variegati e performance di genere non binarie [fig. 1]. Su questi corpi campeggiano frasi che sottolineano inequivocabilmente le parole chiave dell’attivismo femminista e queer come grida di lotta collettiva. RozaNozari (https://www.instagram.com/yallaroza/) mette nei suoi disegni l’esperienza di donna musulmana, social worker e psicoterapeuta. Nelle sue illustrazioni incentrate sull’accettazione di sé dal punto di vista fisico e mentale, disegna corpi non bianchi ed esprime e diffonde consapevolezza sul self-care, sia individuale che collettivo, decostruendo i cliché sociali che ingabbiano e rendono impossibile la conversazione sulla salute mentale, e opponendo la varietà dei corpi e delle forme alla più canonica body positività [fig. 2]. Anche Maggie Cole (https://www.instagram.com/maggiecoledraws/) pone al centro delle sue colorate illustrazione figure femminili e i loro corpi. Nei suoi disegni il corpo femminile è libero di muoversi, danzare, capovolgersi, incline all’intimità ma anche capace di opporsi fieramente [fig. 3].

 

2. My Journey: raccontarsi e disegnarsi

Un punto di partenza ricorrente per le disegnatrici è la propria biografia, che si trasforma in una versione illustrata (e magari esagerata) della propria vita, delle proprie abitudini e difficoltà. Molto spazio è dedicato a problemi e ostacoli quotidiani tradizionalmente assenti dal discorso collettivo, per superficialità oppure perché celati dietro lo stigma della vergogna o dell’imbarazzo.

Come esprime il nome stesso, le animazioni di Weird Helga (https://www.instagram.com/weirdhelga/), spesso in collaborazione con altre disegnatrici, sono caratterizzati da un ricercato tasso di weirdness, nel senso di vagamente disturbante, che è attribuibile sia allo stile – tratti fumettosi bidimensionali poco abbelliti e molto lontani da un’estetica ‘carina’– sia ai contenuti, che comprendono situazioni imbarazzanti o sgradevoli raccontate con umorismo ma anche con l’evidente intenzione di normalizzare, rompere tabù legati alla corporeità (brufoli, peli, mestruazioni) e abbattere la versione contemporanea della ‘donna perbene’. I fumetti colorati e pop di Wednesday Holmes (https://www.instagram.com/hellomynameiswednesday/) partono dalla propria esperienza di attivista non binaria per lanciare messaggi di inclusione, comprensione ed empatia, in uno stile lineare che trasforma la sua versione disegnata in un riflesso di molte esperienze condivise nella comunità LGBTQ+ [fig. 4].

Anche per Nourie (https://www.instagram.com/nouriflayhan/) il disegno parte dalla sua esperienza di vita come figlia di migranti spostatasi in diversi continenti. Tra il Libano e Londra, Nourie sceglie i suoi soggetti concretizzando il desiderio di decostruire gli stereotipi occidentali sulla vita delle donne e delle nuove generazioni in Medio Oriente, alternandolo al supporto ai movimenti femministi e alla causa anti-Kafala, un sistema discriminatorio che colpisce i lavoratori stranieri nei paesi del Golfo [fig. 5].

 

3. How to Stay Safe: guide per la lotta

Illustrazioni in forma di guida o istruzioni per dirimere definizioni e questioni chiave del proprio posizionamento politico sono un altro genere di disegno molto diffuso e condiviso su Instagram.

MalakaGharib (https://www.instagram.com/malakagharib/) alterna un uso tradizionale del proprio feed e le sue illustrazioni, con cui intercetta l’attualità sociopolitica. Tra esse varie guide create durante le mobilitazioni per chiedere giustizia per George Floyd e per tagliare i fondi alla polizia, che riassumono consigli pratici per protestare in sicurezza ai tempi del distanziamento [fig. 6]. Altri disegni illustrano le regole di comportamento ideali da tenere durante la pandemia, o come creare una zinefatta in casa. Un’altra artista le cui produzioni grafiche hanno avuto ampia diffusione durante il lockdown è Courtney Ahn (https://www.instagram.com/courtneyahndesign/): americana di origine coreana, mette la parola al centro di molte illustrazioni, creando gallerie da ‘sfogliare’. Tra i suoi postmolti consigli e istruzioni dirette alle persone alleate attraverso i quali propone come evitare il rischio di sovrapporre la propria voce a quella delle persone oppresse, come la sua Guide to White Privilege [fig. 7].

 

4. Cosmic Care: universi alternativi

Esistono poi disegnatrici che si allontanano dal referente reale per inventare universi fantasmatici e micronarrazioni irreali. È il caso di Polly Nor (https://www.instagram.com/pollynor/), che nelle sue tavole e animazioni dallo stile underground disegna le donne e i loro demoni, letteralmente raffigurati come esseri mostruosi femminili antropomorfi e invadenti: piuttosto che spaventarsi, le protagoniste sembrano confrontarsi e imparare a conviverci, fino, a volte, a trasformarsi in loro.

Robin Eisenberg (https://www.instagram.com/robineisenberg/) disegna invece donne aliene e sirene, tante e diverse creature immaginarie sessualmente libere che abitano gioiosamente mondi alternativi e sicuri [fig. 8].

Per le artiste citate in questo percorso Instagram è dunque evidenza del potenziale di un attivismo politico tecnologico che più che tradizionalmente collettivo è connettivo e affettivo (Papacharissi, Taylor Trevey), esercitabile e fruibile come un flusso sempre aperto a possibili percorsi tortuosi e interconnessi.

 

 

Bibliografia

S.P. Caldeira, S. De Ridder, S. Van Bauwel, ‘Exploring the Politics of Gender Representation on Instagram: Self-representations of Femininity’, DiGeSt. Journal of Diversity and Gender Studies, v. 5, n. 1, 2018, pp. 23-42.

C. Cossutta, V. Greco, A. Mainardi, S. Voli (a cura di), Smagliature digitali. Corpi, generi e tecnologie, Milano, Agenzia X, 2018.

A. Fotopoulou, Feminist Activism and Digital Networks: Between Empowerment and Vulnerability, London, Palgrave Macmillan, 2016.

Z. Papacharissi, M. Taylor Trevey, Affective Publics and Windows of Opportunity. Social Media and the Potential for Social Change, in M. Graham (ed.), The Routledge Companion To Media And Activism. London, Routledge, 2018, pp. 87-96.

E. Serafinelli, Digital Life on Instagram: New Social Communication of Photography, Bingley, Emerald Publishing, 2018.

S. Vivienne, J. Burgess, ‘The Digital Storyteller's Stage: Queer Everyday Activists Negotiating Privacy and Publicness’, Journal of Broadcasting & Electronic Media, v. 56, n. 3, 2012, pp. 362-377.